Se la chiesa nel nostro secolo si è riscoperta come comunione, nel secolo che ci sta davanti approfondirà la sua dimensione mariana

 

Il principio mariano nella chiesa

Di Fabio Ciardi

 

L’approfondimento in senso trinitario della chiesa comunione ha portato ad un ripensamento dei rapporti inter-ecclesiali. È la riscoperta del principio mariano che apre la chiesa al dialogo al suo interno e col mondo.

 

Don Silvano Cola nella sua relazione ha accennato anche a diverse polarizzazioni nel campo ecclesiale. In particolare a quella sacerdozio battesimale/sacerdozio ministeriale. In questa stessa linea si colloca il dualismo carisma/ministero, così come la contrapposizione, sempre nell’ambito ecclesiale, tra uomo e donna. Se nella chiesa si è arrivati a simili contrapposizioni è perché si è perduto il punto di riferimento fondamentale della sua vita e della dinamica dei suoi rapporti: la Trinità.

Uno dei meriti dell’ecclesiologia contemporanea è appunto quello di aver riletto l’intero mistero della chiesa partendo dalla Trinità. La chiesa riscopre nella comunione una delle categorie costitutive del suo mistero e trova nella pericoresi trinitaria il modello esemplare della dinamica della sua vita.

Se le Persone, nella Trinità, sono in comunione reciproca, l’una con l’altra, l’una per l’altra, l’una nell’altra, la stessa reciprocità e circolarità dovrà caratterizzare una chiesa che si definisce Ecclesia de Trinitate.

Quest’orizzonte della riflessione dell’ecclesiologia fonda il senso della reciprocità dei rapporti fra le persone, le chiese, i carismi, i ministeri e chiama ad una apertura verso una mentalità comunionale e dialogica.

La chiesa comunione
accoglie il principio mariano

L’ecclesiologia di comunione, mettendo in evidenza la circolarità pericoretica delle varie vocazioni e presenze nella chiesa, apre la via ad una lettura mariologica della chiesa.

L’insegnamento di Giovanni Paolo Il

Vorrei iniziare con un testo rivolto da Giovanni Paolo II nel 1987 alla curia romana. Parlando del posto di Maria nella chiesa, il papa operava una specie di rivoluzione copernicana, mettendo in primo piano non l’ufficio, ma l’amore. Lo faceva soprattutto nel confronto tra Maria e il carisma petrino. "Maria, l’immacolata – affermava in quella circostanza – precede ogni altro e, ovviamente, lo stesso Pietro e gli apostoli (…). Come bene ha detto un teologo contemporaneo (alludeva a H. U. von Balthasar), "Maria è regina degli apostoli, senza pretendere i poteri apostolici. Ella ha altro e di più".

E proseguiva: "La Vergine Maria è archetipo della chiesa a causa della sua maternità divina e la chiesa, come Maria, deve e vuole essere madre e vergine. La chiesa vive di questo autentico profilo mariano, di questa dimensione mariana. Questo profilo mariano è altrettanto – se non lo è di più – fondamentale e caratterizzante per la chiesa quanto il profilo petrino, al quale esso (il profilo mariano) è profondamente unito. Questo legame fra i due profili della chiesa, quello mariano e quello petrino, è dunque stretto, profondo e complementare, pur essendo il primo (quello mariano) anteriore (a quello petrino) tanto nel disegno di Dio quanto nel tempo; ed è più alto e preminente, più ricco di implicazioni personali e comunitarie (…). In questa luce (…) dobbiamo vivere tutti noi. (…) Maria precede anche tutti noi, come precede l’intera chiesa per la quale noi viviamo. Che Lei ci aiuti a scoprire sempre meglio e a vivere sempre più autenticamente questa ricchezza che per noi, starei per dire, è vitale e decisiva. L’attenzione a Maria e ai suoi esempi porti un di più di amore, di tenerezza, di docilità alla voce dello Spirito".

In queste parole Maria appare come la forma che plasma la chiesa dal di dentro in maniera onnicomprensiva. La persona e la missione di Maria si estendono in modo unico a tutta la chiesa, abbracciano tutte le missioni ecclesiali.

Come Madre del Verbo incarnato ella, in certo senso, ha la capacità di abbracciare ogni vocazione e missione ecclesiale, in quanto espressioni dell’unico Verbo. E quindi, se così possiamo dire, mette in comunione e dà unità a tutte le realtà della chiesa all’origine, nel suo stesso nascere.

Nello stesso tempo, come Sposa del Verbo, accoglie pienamente, nell’amore, le sue parole e quindi, ancora una volta, è icona della chiesa che accoglie e vive nell’unità dell’amore la molteplicità delle parole del Verbo, nelle quali si esplicitano vocazioni e missioni.

Il riferimento di Giovanni Paolo II a von Balthasar ci invita ad approfondire questa visione mariologica della chiesa partendo dall’insegnamento del teologo svizzero1.

Il ruolo di Maria nell’articolazione
dei profili nella chiesa

Per comprendere il principio mariano della chiesa occorre guardare all’insieme delle persone che attorniavano Gesù durante la sua vita storica, da Pietro, Giovanni, Paolo Giacomo, fino a Giovanni Battista, Maria Maddalena, le sorelle di Betania... Von Balthasar le vede come rappresentative delle diverse missioni ecclesiali. Insieme queste persone costituiscono una "costellazione umana" attorno a Gesù che non si limita alle origini della chiesa: attraverso lo Spirito Santo, non solo Pietro ma anche altri "hanno delle missioni fondanti e, a modo loro, hanno una vita non meno continuativa e una rappresentanza nella chiesa"2. Pietro, ad esempio, rappresenta il ministero, Giovanni l’amore, Paolo la novità e la libertà nello Spirito, Giacomo la tradizione e la fedeltà ad essa.

Ognuna di esse partecipano al tutto della chiesa e ognuna partecipa dell’altra. Pietro ad esempio ha potuto essere rivestito del suo ufficio in virtù del suo "amore" (Gesù infatti affidandogli tutta la chiesa gli ha chiesto: "Mi ami tu più di costoro?": Gv 21, 15), che è più tipico di Giovanni. Giovanni tuttavia è colui che "rimane" accanto a Pietro, lo mette in luce, lo sostiene e, quando è necessario, stabilisce come Pietro l’ordine nella chiesa locale. Paolo, è colui che annuncia la libertà nello Spirito, ma dice che questa va esercitata nella legge di Cristo, e introduce nelle comunità un regime di tipo "petrino". Allo stesso tempo indica come ideale l’amore, che è tipico di Giovanni (vedi 1 Cor). Giacomo, che rappresenta la tradizione, presiedendo il primo "Concilio" a Gerusalemme, dove per la prima volta si è affrontato il problema dell’evangelizzazione ai pagani, è proprio lui che propone una soluzione di apertura nuova verso di loro.

Ogni dimensione fondamentale della chiesa ha dentro anche le altre. Si rispecchia, ancora una volta, l’unità caratteristica che Dio ha partecipato alla chiesa: la sua unità, il suo stesso rapporto pericoretico.

In questa visione Maria non è una dimensione accanto alle altre, ma quella che le "comprende" tutte. Von Balthasar, per spiegare graficamente la pluralità e unità di espressioni nella chiesa disegna, secondo i punti cardinali, il posto che ognuno occupa idealmente: Pietro a destra, Giovanni a sinistra, Giacomo a nord, Paolo a sud. Traccia poi una ellissi attorno ad essi, a significare che Maria abbraccia tutti. La dimensione mariana costituisce il "fattore d’unità" fra tutte le dimensioni ecclesiali.

Principio mariano e principio petrino

Si profila così quello che egli chiama il principio mariano nella chiesa.

Non possiamo seguire von Balthasar nella sua ricca articolazione del principio mariano attorno agli aspetti caratteristici di Maria in rapporto alla chiesa: l’apertura verginale al mistero di Dio (Ancilla Domini), la risposta sponsale alla Parola che edifica la comunione (Sponsa Verbi), la missione continuativa di Maria come Madre della chiesa (Mater Dei). Qui ci basta cogliere le conclusioni a cui egli giunge per quanto riguarda il rapporto con il principio petrino e le sue conseguenze nella comunione ecclesiale.

Per quanto riguarda il rapporto con il principio petrino, von Balthasar ricorda che la chiesa di Cristo, secondo le parole di san Paolo, è fondata sugli "apostoli e profeti" (Ef 2, 20-22), ossia "sull’ufficio e sul carisma; o, più precisamente – dato che l’ufficio non dovrebbe essere senza il carisma – sul carisma oggettivo e soggettivo, sulla santità oggettiva e soggettiva"3.

Il principio petrino, in quanto principio gerarchico, è legato alle strutture esterne della chiesa dove vi è uno "spirito oggettivo" o una "santità oggettiva" dato dalla Scrittura, dai sacramenti, dall’ufficio pastorale, e abbraccia altri elementi come il diritto canonico.

Il principio mariano è quello "spirito soggettivo" o "santità soggettiva" presente in Maria e vissuto in maniera dinamica nella santità della chiesa. È un amore vissuto sia nelle missioni ecclesiali che nella santità quotidiana.

Così enunciata, la formula dei due principi sembrerebbe avvalorare la tesi di un dualismo ecclesiologico. Invece von Balthasar li polarizza, in modo quasi ipostatico, proprio per meglio evidenziare la relazione dinamica di amore reciproco che intercorre tra di essi.

Entrambi i principi sono co-estensivi con la chiesa ed entrambi sono carismi che provengono dallo Spirito Santo per la chiesa. "L’istituzione ed il carisma, l’ufficio e la santità sono inseparabilmente uniti nella stessa origine e nello stesso fine"4.

Da un lato, il popolo che forma la polarità "soggettiva" della chiesa è "sotto" il principio petrino, in quanto esso ha la funzione di guida, di discernimento, di garante dell’ortodossia della fede. Dall’altro lato, il principio petrino è "sotto" quello mariano, proprio in quanto interamente a servizio del popolo di Dio, ed è anch’esso espressione d’amore.

Il rapporto tra i principi mariano e petrino – e analogamente quello tra tutte le altre espressioni della chiesa – è un rapporto di dinamismo circolare in una chiesa la cui vita d’amore è partecipazione alla stessa vita del Dio trino, che è Amore. Von Balthasar cita spesso, al riguardo, una frase di san Paolo che getta luce sull’intero piano di Dio che continua nella chiesa: "Tuttavia, di fronte al Signore, la donna non esiste senza l’uomo né l’uomo senza la donna. Infatti, se è vero che la donna è stata tratta dall’uomo, è altrettanto vero che ogni uomo nasce da una donna..." (1 Cor 11, 11-12).

Riflettendo su queste affermazioni di von Balthasar, Chiara Lubich scriveva recentemente: "La prima effusione dello Spirito Santo è quella di Gesù crocifisso su Maria e Giovanni ai piedi della croce: lì nasce la chiesa mariana, quella dell’amore... Ma anche la chiesa istituzionale Gesù la fa nascere prendendo a prestito l’amore dal principio mariano. Infatti, chiede a Pietro: "Mi ami tu?". Sì, – conclude Chiara – tutta la chiesa è fondata sull’amore!".

Una chiesa modellata
sul principio mariano

Von Balthasar delinea poi alcune conseguenze.

Il principio mariano oggi, ad esempio, può aiutare a superare il rischio di un super-attivismo. La chiesa non può essere solamente la chiesa delle opere sociali, accantonando le sue caratteristiche mistiche. A volte, nella prassi ecclesiale, prevale una preoccupazione troppo unilaterale su questioni di carattere strutturale e giuridico. Von Balthasar ripropone perciò Maria: "Senza la Mariologia (...) la chiesa rischia di diventare funzionalistica, senza anima, una dura impresa senza nessun momento di tregua, estraniata dalla sua vera natura. E poiché, in questo mondo mascolinizzato, tutto ciò che abbiamo è un’ideologia in sostituzione di un’altra, tutto diventa polemico, critico, amaro, senza umore, e infine noioso, e da una tale chiesa la gente scappa in massa..."5.

In questo senso riscoprire il principio mariano, non vuol dire rinnovare semplicemente la devozione a Maria, ma piuttosto trovare un modo nuovo di essere chiesa, che mette in rilievo il suo essere amore, i rapporti di comunione tra le persone e le diverse vocazioni, la ricchezza dei suoi carismi, la bellezza della sua armonica varietà.

Il principio mariano rivaluta inoltre il ruolo proprio del laicato con la riscoperta del sacerdozio comune e della sua missione non solo nei vari campi, come il giornalismo, l’urbanizzazione, i mezzi di comunicazione, il problema ecologico, gli impegni in politica, ma nella stessa vita ecclesiale. E il modello della cristianità laica è soprattutto Maria.

Sottolineando il principio mariano, von Balthasar corregge l’idea, presente in tanti cattolici, che la gerarchia sia al centro della chiesa e i laici ai margini.

Il principio mariano, ancora, è visibile in un modo particolare nelle donne nella chiesa. Von Balthasar parla, al riguardo, di una autorità mariana. Egli vede che il ruolo primario delle donne nella sfera ecclesiastica è quello di custodire la fiamma dei valori fondamentali della chiesa come l’amore. Le donne hanno spesso una comprensione maggiore dell’impegno totale, e in questo senso sono più vicine alla richiesta primaria di una radicale sequela del vangelo.

Infine il principio mariano è legato a quella crescita creativa nella chiesa frutto delle "opere più grandi" costruite dallo Spirito. Von Balthasar considera come un’ulteriore espressione del principio mariano i movimenti spirituali che hanno avuto o hanno un ruolo importante nella storia della chiesa, a cominciare dagli ordini religiosi.

La chiesa comunione
accoglie i carismi

L’ecclesiologia di comunione e il principio mariano in particolare consentono di mettere in luce la natura carismatica della chiesa, valorizzandone le differenti espressioni storiche in cui essa si manifesta.

Lo Spirito Santo viene riscoperto sempre più come il regista nascosto della storia, per usare una felice immagine di lreneo. Egli è costantemente all’opera e "stimola la chiesa a svilupparsi" (AG 4). È lui che, fin dal sorgere del cristianesimo, suggerisce i percorsi dell’evangelizzazione e che mette sulle labbra dei missionari le parole evangeliche. A ragione gli Atti degli Apostoli sono stati definiti vangelo dello Spirito. Da allora la Parola di Dio non ha arrestato la sua corsa, ed ecco la grande diffusione geografica del cristianesimo nel mondo intero.

La Parola, insieme alla dimensione spazio-temporale, cresce anche in profondità. Di conseguenza la storia della chiesa può essere letta sia come il dilatarsi nello spazio e nel tempo della Buona Novella, sia come la progressiva penetrazione nella Parola da parte dei credenti e del loro sempre nuovo adeguarsi ad essa.

È lo Spirito Santo che lungo i secoli porta la chiesa sempre più dentro al Mistero (cf Ef 3, 5). Egli è infatti lo Spirito di rivelazione (cf 1 Cor 2, 10-12), lo Spirito di verità che, insegnando ogni cosa e ricordando le parole di Cristo, guida alla verità tutta intera (cf Gv 14, 25-26; 16, 13).

I carismi perenne giovinezza evangelica della chiesa

I carismi vanno compresi a partire da questa logica dello Spirito, come strumenti per la diffusione della Parola e per la sua più intima comprensione e attuazione. Sono ordinati a rendere sempre fresche e attuali le origini evangeliche, contribuendo alla perenne giovinezza della chiesa .

I carismi non sono mai astratti. Lo Spirito Santo parla alla chiesa attraverso persone concrete a cui offre missioni particolari. Sono soprattutto i santi e le sante, e tra questi emergono quanti sono all’origine di nuove spiritualità o di movimenti storici come gli ordini religiosi.

Lo Spirito introduce nel mistero di Cristo e della sua Parola le persone che gratuitamente si sceglie. Le conforma a lui rendendole donne e uomini evangelici, capaci di vivere e capire la Parola di Dio con sensibilità e accentuazioni particolari. Le porta ad operare quel particolare tipo di esegesi di cui parla la Dei Verbum del Vaticano II, quando afferma che il progredire dell’intelligenza della fede avviene, non soltanto grazie ai pronunciamenti del magistero o allo studio dei teologi, ma anche grazie all’"esperienza data da una più profonda intelligenza delle cose spirituali" (n. 8).

Von Balthasar, da parte sua, scrive che "solo chi abita egli stesso lo spazio della santità può comprendere e interpretare la Parola di Dio".

Sotto la guida dello Spirito, i santi e le sante compiono un tipo di esegesi unico: una esegesi vivente. Infatti la lettura del vangelo, a cui sono iniziati dallo Spirito, si manifesta e si traduce in vita, in azione apostolica o ministeriale, in un proprio stile di vita, in un’opera, in una famiglia religiosa che, con la sua stessa presenza, diventa, a sua volta, esegesi vivente collettiva di quei determinati aspetti del vangelo.

In definitiva, il susseguirsi di sempre nuovi carismi può essere letto come un dispiegarsi di Cristo lungo i secoli, come un vangelo vivo che si attualizza in forme sempre nuove.

I carismi inoltre, assieme ad una valenza illuminativa, possiedono anche una valenza operativa. Appaiono come interventi dello Spirito volti a guidare la storia. Lo Spirito, che scruta e conosce i segreti di Dio (cf 1 Cor 2, 11), scruta e conosce anche i segreti del cuore umano e i bisogni dei tempi. Lui sa l’anelito e i gemiti insiti in ogni generazione e vi risponde suscitando nuove energie vitali.

In ogni momento storico di crisi, di difficoltà, di trasformazioni lo Spirito ripropone, con la propria creatività, la fecondità del vangelo.

I carismi, in definitiva, sono la risposta dello Spirito ai segni dei tempi.

Lasciarsi interpellare dai carismi

Se la teologia dei carismi, soprattutto quelli della vita consacrata, ha conosciuto un ricco sviluppo, la sua integrazione nella teologia della chiesa rimane ancora piuttosto marginale. E questo ha le sue ripercussioni anche nel campo pastorale.

In una ecclesiologia di comunione occorre riservare una migliore considerazione ai carismi storici dei santi, alle loro persone, alle loro opere, alla missione e spiritualità e quindi alle famiglie religiose come autentici carismi dello Spirito Santo. Questo vale anche per i carismi attuali, che si esprimono soprattutto nei nuovi movimenti ecclesiali. Essi, al pari delle forme carismatiche apparse lungo la storia, continuano ad essere interpellanze dello Spirito alla chiesa e come tali vanno ascoltati e accolti.

È necessario – scrive il papa in Tertio millennio adveniente – che "siano valorizzati ed approfonditi i segni di speranza presenti in questo ultimo scorcio di secolo".

Tra questi, – ha detto ancora il giorno di Pentecoste – "uno dei doni dello Spirito al nostro tempo è certamente la fioritura dei movimenti ecclesiali, che sin dall’inizio del mio Pontificato continuo a indicare come motivo di speranza per la chiesa e per gli uomini".

Questa attesa del papa è nella logica della destinazione ecclesiale dei carismi. Ogni carisma è un dono per l’intera chiesa. È evidente quando pensiamo alla preghiera di santa Teresa d’Avila, o agli esercizi spirituali di sant’Ignazio. Francesco d’Assisi è modello per tutti riguardo alla povertà, come Vincenzo de’ Paoli per le opere di carità.

Se in altri tempi sono stati soprattutto i religiosi e i sacerdoti a creare, nutrire spiritualmente e dirigere forme aggregative di laici, oggi può succedere che siano i movimenti ecclesiali, con forte maggioranza di laici, con la loro forza carismatica e la loro aderenza ai bisogni della chiesa attuale, a coinvolgere i sacerdoti e i religiosi e ad aiutarli nel loro cammino spirituale e pastorale.

Lo afferma un passo della Esortazione postsinodale Christifídeles laici: "... gli stessi fedeli laici possono e devono aiutare i sacerdoti e i religiosi nel loro cammino spirituale e pastorale" (n.63).

La comunione e la reciprocità non possono essere mai a senso unico. Per questo anche dai laici e dai movimenti si può e si deve attendere un aiuto per i sacerdoti e per i religiosi, sia per progredire nel cammino della vita spirituale, sia per un rinnovato slancio pastorale.

Nessuno – come scrive Jesús Castellano – deve gridare allo scandalo se si afferma quindi che anche dai movimenti laicali nella chiesa possono venire alla vita sacerdotale e religiosa motivi e stimoli di orientamento nel campo spirituale e pastorale6. Lo Spirito Santo, che agisce con sovrana libertà all’interno della comunione reciproca, può provocare una salutare tensione di rinnovamento spirituale e pastorale che può venire alla vita religiosa e ai sacerdoti anche da parte dei movimenti ecclesiali.

In realtà, questa visione della reciprocità delle vocazioni che costituisce l’orizzonte teologico della chiesa comunione, è iscritta in una pagina luminosa dello stesso Vaticano II, nella Costituzione dogmatica sulla chiesa: "In virtù di questa cattolicità, le singole parti portano i propri doni alle altre parti e a tutta la chiesa, di maniera che il tutto e le singole parti si accrescono con l’apporto di tutte, che sono in comunione le une con le altre, e coi loro sforzi si orientano verso la pienezza dell’unità. Ne consegue che il Popolo di Dio, non solo si raccoglie da diversi popoli, ma in se stesso si sviluppa mediante l’unione di vari ordini" (LG 13).

In questo nuovo clima di comunione ecclesiale i sacerdoti, i religiosi e i laici, lungi dall’ignorarsi vicendevolmente o dall’organizzarsi soltanto in vista di attività comuni, o dal rapportarsi solo attraverso una certa subordinazione nella quale i laici sarebbero solo dipendenti da sacerdoti e religiosi, possono ritrovare il giusto rapporto di comunione e una rinnovata esperienza di fraternità evangelica e di vicendevole emulazione carismatica.

Modellata sull’unità trinitaria, la comunione che la chiesa è chiamata a vivere non è chiusa in se stessa. Come la Trinità si apre e condivide la propria unità, così la chiesa, per sua natura, è "cattolica", universale. Di questa unità e di questa universalità, la chiesa è sacramento; e oggi prende sempre più viva coscienza e si lancia verso la realizzazione della missione.

Fabio Ciardi

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1. Per questa sintesi mi sono avvalso dello studio di B. Leahy, The Marian Principle in the Church according to Hans Urs von Balthasar, Frankfurt 1996; Id., Il principio mariano nella Chiesa, in P. Coda - A. Tapken (edd.), La Trinità e il pensare. Figure percorsi prospettive, Città Nuova, Roma 1997, pp. 399-419. Riprendo anche le note di M Cerini, Dimensione mariana, in "Unità e Carismi" 8 (1998), n. 1, pp. 2-4.

2. Der antirömanisch Affekt, Freiburg im Breisgau 1974, pp. 115-187, qui p. 133.

3. Teodrammatica, III, Jaca Book, Milano 1983, p. 313

4. Der antirömanisch Affekt, p. 170.

5. Klarstellungen, p. 72.

6. Vita religiosa e Movimenti ecclesiali. Una lettura a partire dalla Chiesa comunione, in "Unità e Carismi", 6 (1996), n. 3-4, p. 43.