Sostituire alla logica duale quella trinitaria

 

Nuovi orizzonti per la teologia e la pastorale

Di Silvano Cola

 

Questa conversazione non pretende essere un tema compiuto, né ha intenzione di dare nuove formule dottrinali per risolvere i problemi che si sono affacciati e si affacciano nella chiesa attuale; si limita a esporre e a sottolineare un’esigenza che negli ultimi anni si sta facendo strada nel vasto mondo della cultura e che può avere un impatto trasformante su tutta la realtà creata. Si tratta di cambiare nientemeno che alcune categorie del pensare.

La crisi della logica duale

È noto a tutti, infatti, come il pensiero occidentale si sia sviluppato sulla base della filosofia greca, in particolare di Aristotele, il quale aveva messo al centro del filosofare l’essere inteso come "sostanza" e il principio di identità o di non-contraddizione (l’essere è; il non-essere non è; l’essere non è il non-essere) e su questo dualismo "essere/non-essere" avevano costruito tutto il sapere e l’interpretazione della realtà. Oggi si dice che nel principio filosofico di identità condotto fuori del suo ambito, che è, appunto, quello della sostanza, si rischia sempre, sul piano morale e sociale, di abolire ogni differenza "subordinando le parti al tutto"1, poiché è solo l’amore che rende conto della diversità (o distinzione) salvando l’eguaglianza e rendendo possibile l’unità. In altre parole: che solo l’amore è capace di unificare senza confondere, di unire senza abolire le differenze, e di cogliere il rapporto di ogni cosa con l’unità del tutto.

Non voglio certo fare un’analisi, qui, delle dottrine filosofiche. Ma mi pare che, di fatto, tutto l’insegnamento che abbiamo ricevuto, almeno in Occidente, e sul quale si sono poi costruiti la persona e la società e i giudizi di valore, in campo laico come in campo ecclesiastico, sia stato basato su quella logica dualistica che ha generato – oggi ce ne rendiamo conto appieno – conseguenze individuali e sociali nefaste.

Forse è più facile accennare ai grossi problemi che ancora oggi travagliano la società, per capire l’insufficienza degli schemi mentali del passato, e come si possa parlare, nella cultura cosiddetta post-moderna, di una "rivolta antidualistica che attraversa il nostro pensiero contemporaneo"2.

Italo Mancini, nel volumetto Tornino i volti, è anch’egli persuaso che occorre oggi un arrovesciamento di cultura e di mentalità, passare dalla conoscenza alla responsabilità, dall’io sono all’eccomi, da un umanesimo ego-logico, ad un umanesimo etero-logico3.

La logica duale del o io o tu ha praticamente dominato dal tempo di Caino e Abele. Un filosofo attuale, E. Lévinas, denunciando la stessa logica si rifà a questo paradigma di ogni tragedia sociale. Nella risposta di Caino a Dio: "Sono forse io il guardiano del mio fratello?" egli vede l’affermazione del principio duale in ontologia: Io sono io, e lui è lui: siamo esseri ontologicamente separati. La risposta di Caino è sincera, dice Lévinas, ma in essa manca semplicemente l’etica, la coscienza della relazionalità e quindi della responsabilità.

Mi pare superfluo esemplificare le infinite conseguenze spesso drammatiche che si sono viste nella storia a causa di questo principio ontologico condensabile nel detto: mors tua vita mea ancora oggi vigente a dimensione planetaria, sia tra singoli individui e tra famiglie, sia tra etnie, popoli, aziende industriali e commerciali, multinazionali.

Il già citato teologo Italo Mancini, sulla scia di Lévinas, affermava che è giunto il momento di superare la logica occidentale, tutta incentrata prima sull’essere e poi sull’io, concepiti come totalità o come assoluti capaci di fagocitare tutto ciò che è altro. "L’essere ha dominato incontrastato per tutta l’antichità e il medioevo. Ad esso si è sostituito l’Io dall’epoca moderna fino ai nostri giorni, sempre però sotto il medesimo segno: l’identità unificatrice e totalizzante che esclude il confronto e la valorizzazione della diversità, intesa come apertura all’altro"4.

La scelta oggi: Trinità o pazzia

Ma già precedentemente un teologo del calibro di Walter Kasper, parlando della definizione di Dio che scaturiva dalla teologia trinitaria "Dio è relazione", scriveva che oggi "assistiamo a una rivoluzione nel modo di intendere l’essere. La realtà ultima e suprema non è quella della sostanza, ma quella della relazione". Se per Aristotele, infatti, la relazione è uno degli accidenti più deboli, bisogna dire che "per il fatto che Dio si presenta come il Dio dell’Alleanza e del dialogo, il Dio per noi e con noi, la relazione non viene dopo la sostanza, ma prima (...); il senso dell’essere allora non è la sostanza in se stessa, ma l’amore che si comunica"5.

Nel 1991 il teologo M. Ange Santaner, per un articolo che trattava di "economia a due velocità" prendeva a prestito un titolo da un teologo ortodosso che dice: "La scelta oggi è tra la Trinità e la pazzia", e faceva precedere il discorso economico da riflessioni teologiche tese a combattere la tendenza abituale a proiettare sui problemi della vita la dialettica del "sì o no". Si dimentica – scrive – che il "sì o no", pur essendo fratelli gemelli, sono anche fratelli nemici. Appoggiarsi ad essi per spiegare i problemi della vita è votarsi a processi che portano alla morte. E parte dalla Bibbia per considerarla come un itinerario lungo il quale Dio ha esorcizzato l’umanità per liberarla dall’ossessione dualista. Dalla conquista di Canaan fino ai Re il rapporto tra Israele e gli altri popoli è "o essi o noi". Nessun dialogo. Nella Terra promessa non c’è spazio per due. Quando, durante l’esilio, incontrano in terra straniera donne e uomini che "temono Dio", cominciano a capire che il loro Dio è anche Dio di tutti i popoli e che, come creature di Dio, sono anch’essi cosa buona. Cominciano a capire che la loro elezione da parte di Dio non è per escludere gli altri bensì per fare d’Israele il servitore del disegno di Dio che vuole salvare tutti gli esseri umani. Servitore, ossia guidato dallo Spirito (Is 42,1; 61,1) a spogliarsi di tutto, anche della propria vita, perché gli altri vivano (Is 53,1-12). Scopo portato a compimento dal Servitore Gesù che guidato dallo Spirito "abbatte il muro di separazione" e i due diventano uno (Ef 2, 14-18). L’uscita dal dualismo – e questa è la novità – non avviene per l’eliminazione dell’altro, e neppure con la perdita comune della propria identità: ognuno è diventato "sì" a ciò che l’altro è (cf. 2 Cor 1, 18-20). È facile vedere qui la dinamica della vita trinitaria6.

Gesù dunque è venuto ad abbattere i muri di separazione, ma lungo la Storia l’umanità ha abilmente ricostruiti. Il teologo Adolfo Russo fa notare che la cristianità, venuta a trovarsi nei primi secoli di fronte a una cultura diversa, e aggressiva nei suoi confronti, per evitare di perdere la propria identità e di venire emarginata dovette in qualche modo monopolizzare nella chiesa la verità e la salvezza; e poiché nel sistema dualistico se io possiedo la verità è nell’errore chi non la pensa come me, se la verità è nella chiesa e la salvezza viene dalla chiesa, è evidente che extra ecclesiam nulla salus. Ancora i manuali cattolici di dogmatica, cinquant’anni fa, enunciata una tesi da dimostrare, la prima parola che contenevano era "avversari", e si elencavano. Pur non essendo mancate autorevoli eccezioni, si è creata per secoli la gara tra chiesa e resto del mondo e, più tardi, tra chiesa cattolica e resto del mondo, con conseguenze sociali e politiche che tutti conosciamo, anche se non sono mancati da parte della chiesa in certi periodi storici tentativi di encomiabile inculturazione e pacifiche aperture verso tradizioni diverse da quella cristiana. Conviene portare qualche esempio per rilevare che anche le "categorie trinitarie" hanno una tradizione.

Un brillante teologo e mistico cistercense del XII secolo, Isacco della Stella, in un sermone denunciava la nascita di un ordine cavalleresco cristiano, che qualcuno diceva scherzosamente ispirato da un quinto vangelo, e lo definiva un monstrum novum che, in forza del principio che solo la verità ha diritto di esistere, "costringeva gli increduli ad abbracciare la fede a colpi di lance e sferze, a spogliare e a trucidare "religiosamente" i non cristiani; che se poi uno di loro perdeva la vita durante la strage che stava commettendo, veniva chiamato martire di Cristo"7. "Ed è una vera disgrazia – aggiunge – che quasi tutte le cattive azioni vengono profumate di buone intenzioni!".

Così come nel secolo XIII il filosofo e mistico Raimondo Lullo, che l’islamista Anawati definisce "uno dei più bei fiori della spiritualità e dello zelo missionario impregnati di spirito francescano in epoca medioevale", nell’opera Il libro del gentile e dei tre savi vuole dimostrare due cose: che le tre religioni monoteistiche hanno un unico e comune contradittore, il non-credente, e che ebrei, cristiani e musulmani possono coltivare reciproca stima e amicizia senza che nessuno di essi mutili di una sola virgola l’integrità della propria fede8. Sembra di leggere, nel Vaticano II, il cap. 58 della Gaudium et Spes!

Purtroppo, per circa 16 secoli nell’Occidente si è concepito l’altro unicamente attraverso categorie peggiorative (l’eretico, l’indemoniato, l’immorale, la strega, l’ebreo, il feroce Saladino), rendendoci difficile oggi cambiare le nostre categorie mentali. Il gesuita francese Michel de Certeau afferma che l’incontro con l’altro non è una minaccia, ma una purificazione, un’assunzione di consapevolezza; che l’altro, insomma, è anche colui che mi permette di capire chi sono.

I dualismi della nostra cultura

Ma ritorniamo ai vari dualismi che hanno condizionato la nostra formazione culturale.

È sufficiente accennarli. Basta pensare, nella chiesa cattolica, ad esempio, al dualismo natura-grazia, che si traduceva in una teologia "a due piani" e per la quale il soprannaturale appariva come un oggetto (un accidente) puramente sovraggiunto alla natura umana, finché soprattutto con Scheeben, (e Rahner e Schmaus) viene considerata una relazione personale, ossia una relazione da persona a persona con lo Spirito Santo, una "autocomunicazione del Dio trinitario" che ci deifica, ritrovando così l’alveo dottrinale soprattutto dei Padri greci. Dello stesso tenore era il dualismo dei trattati teologici De Deo creante et elevante, dato che nel fatto della creazione si astraeva da Gesù Cristo il quale veniva ad operare la redenzione post lapsum, mentre è proprio nel Cristo che la creazione si rivela comunicazione ad extra dell’essere proprio di Dio; è in lui che abbiamo la dimostrazione-rivelazione che l’essere trinitario può essere comunicato e può esistere anche in una natura che non è quella di Dio, e che insomma nel Cristo viene rivelato che la creazione è propriamente l’azione di Dio per comunicare ad extra l’essere trinitario e rendere quindi possibile la creazione dei figli di Dio9.

Legato al dualismo natura/grazia è quello scienza/fede e ragione/rivelazione. Il teologo e docente protestante Gérard Siegwalt dichiara che oggi, alla fine del secondo millennio, la scienza e il mondo moderno sono arrivati al punto in cui il problema di riorientare la nostra cultura verso una "teonomia" (vale a dire: "la dimensione del trascendente inscritta nella realtà") è questione di vita o di morte, perché – scrive – i casi sono due: "o si continua a perseverare nella strada di un ateismo metodologico e ontologico, con la conseguenza che la scienza continuerà a distruggere l’essere umano e l’ambiente in cui vive, oppure liberarci del pernicioso dualismo che ha messo una contro l’altra la scienza e la fede, la ragione e la rivelazione, per ricostruire la società e la scienza stessa su nuove fondamenta e su una nuova "teonomia"". In altre parole: riuscire a sapere come possiamo pensare e esprimere il mistero della trascendenza inscritta nella nostra immanenza10. Allora, conclude, la teologia non sarà più la regina delle scienze, ma la loro serva. Il che è anche giusto, mi pare, visto che si parla di realtà incarnate.

Un altro dualismo che ci tocca da vicino è sacerdozio-battesimale/sacerdozio-ministeriale. Collegati ad esso sono i dualismi, così presenti nella teologia cattolica, ex opere operantis/ex opere operato, e laicato/sacerdozio. Ora, che nella storia, tra i due termini si siano verificate alternanze di importanza, è noto a tutti. Basta che in un periodo storico si enfatizzi una parte che l’altra tenda a perdere di prestigio e di significato (come è avvenuto dopo la Riforma, quando per contrastare Lutero si è esaltato il sacerdozio ordinato e senza mettere sufficientemente in luce quello battesimale). Ora, che il sacramento dell’Ordine sia importante per i poteri spirituali che conferisce, da una prospettiva cattolica non si può dubitare; ma se questi poteri non vengono esercitati come servizio d’amore nel senso mariano della parola (sacerdozio battesimale), il sacerdozio ordinato si autocondanna in quanto diventa autoritarismo e viene escluso dal regno; come pure, se non si vive la carità essendo disposti a dare la vita per gli altri, il sacrificio della messa celebrato dai ministri serve agli altri, ma diventa la loro condanna. Senza i laici il sacerdozio ministeriale non avrebbe alcun significato perché è costituito pro hominibus; ma senza il sacerdozio ordinato ai laici verrebbe a mancare una chiara regola della fede data dalla successione apostolica. Perfino Tommaso d’Aquino aveva intravisto che tra comunità e ministero doveva stabilirsi un principio di reciprocità o di interazione11. Oggi, dopo il Vaticano II, si va sviluppando il concetto di chiesa costituita da due principi o profili, quello petrino e quello mariano, coestensivi e coessenziali, aventi un significato unicamente se visti e vissuti in reciproca relazione, come vedremo questi giorni.

Quante tragedie abbia causato l’interpretazione duale di uomo/donna si può capire dall’acrimonia con cui è scoppiato il movimento femminista in quest’ultimo secolo. Una volta definiti, secondo le categorie duali, l’uomo = attivo e la donna = passiva; l’uomo = valore e la donna = maschio mancato; l’uomo = pensiero e la donna = sentimento (dando naturalmente prestigio ai concetti attività, forza fisica, pensiero e valore negativo agli opposti) ogni sorta di sopraffazione sulla donna è stata possibile. Ha scritto lo Pseudo-Agostino (che è forse Alchero di Chiaravalle): "La ragione si distingue in ragione superiore e ragione inferiore. Quella superiore è la sapienza, quella inferiore la prudenza. È come la distinzione tra uomo e donna: l’uomo sta sopra e governa, la donna sta sotto ed è governata"12. E con candore, ma totalmente al di fuori del contesto, si cita a conferma il Siracide (42,14) che dice: "Meglio la cattiveria dell’uomo che la generosità di una donna", contribuendo a perpetuare così lo stereotipo dell’inferiorità femminile13.

La stessa cosa, con giustificazioni diverse, si è verificata per padrone-servo, che ha protratto per secoli, e ancora non è scomparsa del tutto, la schiavitù. E ciò, malgrado si sapesse che nella Rivelazione non esiste discriminazione di persone quanto a valore.

Quanti di noi abbiamo sperimentato nella vita, che la legge rende o schiavi o ipocriti, e malgrado ciò abbiamo pensato che essa salva, e che la grazia ci viene come premio dell’osservanza, credendo così in un Dio non Amore ma agente del fisco, attaccati a un legalismo che è assenza di rapporto personale con un Dio che invece si è incarnato per divinizzarci e farci entrare, con sé, nella comunione della Trinità.

Parliamo di buoni e di cattivi, di vicini e di lontani, di praticanti e di non-praticanti, caricando il primo termine di positività e il secondo di negatività, dimenticando che ogni essere umano è creatura di Dio perché viene da lui, è potenzialmente in Cristo perché è stato da lui assunto, è oggetto dell’attenzione di Dio perché lui vuole che tutti arrivino alla pienezza della vita.

Non vado avanti negli esempi di queste trappole duali che almeno inconsciamente determinano tuttora i nostri giudizi e le nostre azioni. La psicologia moderna dice che purtroppo l’occidente vive secondo il numero due. Scrive Pierre Daco: "Per esso una cosa è vera o falsa; o è bianco o è nero...o è bello o è brutto. L’Occidente respira queste concezioni come l’aria. Non potrebbe farne a meno. Bisogna che i buoni siano da una parte, i cattivi dall’altra. Ciò rassicura. Si può a stento immaginare che si possa aver ragione e torto nello stesso tempo, essere buono e cattivo nello stesso tempo...L’uomo occidentale vuole soprattutto che la "sua" verità corrisponda all’errore dell’altro. È la sua sicurezza, il suo rifugio, il suo medicamento, la sua droga...". E uno spunto verso la soluzione lo vede nelle teorie della fisica ove "ogni particella non esiste che per interazione (in rapporto dinamico) con le altre, e senza interazione essa non ha alcun senso". Termina dicendo che "la scomparsa dei codici binari significherebbe la morte delle tecnocrazie e l’ascesa della immaginazione e della spiritualità"14.

La vita trinitaria
modello di ogni rapporto umano

Sorvolo sul fatto che la vera rivoluzione nelle categorie del pensiero l’aveva già portata Gesù che avendo nel suo sangue un DNA trinitario non poteva usare nel parlare e nell’agire che categorie trinitarie. Sorvolo sul fatto che il più alto contributo al pensiero e alla vita umana l’hanno dato, ne sono convinto, i Padri e teologi dei primi tre secoli, che sono arrivati a formulare, pur tra lotte accanite e a spese a volte della propria vita, la legge di ogni esistente, desumendola dal modello originario: "Dio è tre Persone uguali e distinte che sono Uno per le rispettive relazioni d’amore".

Malgrado ciò, purtroppo, l’inerzia anche intellettuale ha permesso che si continuasse per secoli a ragionare all’antica, secondo il sistema duale, e a comportarsi di conseguenza, scatenando lotte e inimicizie e massacri e divisioni e scismi, tutto in nome della "propria" verità; anche se è vero che una parte della chiesa, l’aspetto di essa più carismatico, non si è lasciata incarcerare da quel sistema, ma ha vissuto la liberazione portata dal vangelo guardando non a sé ma agli altri, vivendo cioè l’amore disinteressato. Ed è stata questa connaturalità con Dio che ha permesso di capire qualcosa della vita trinitaria. Ne è un esempio Baldovino di Ford, arcivescovo di Canterbury (+ 1190), che vedeva nella vita trinitaria il modello di ogni rapporto umano, affermando che "l’unità della vita sociale è figura e prende significato da quella superna Società dove, grazie alla comunione d’amore, tutto ciò che è peculiare delle singole Persone è comune a tutte"15.

Porto un esempio. Lo stesso autore già citato, Isacco della Stella, teologo della scuola – per così dire – di san Bernardo, nel Sermo 9 dove tratta dello sposalizio del Verbo con l’umanità avvenuto con l’Incarnazione, dice che il peccato, l’Avversario, aveva separato l’essere umano da Dio mettendosi lui di mezzo, così come si era posto tra la donna e l’uomo rendendoli incomunicabili; ma che l’Amore di Dio aveva trovato chi poteva risanare la situazione: è stato il Mediatore il quale, cacciando l’Avversario e mettendosi lui al suo posto, ha portato come dote all’umanità il tutto di Dio e ha assunto nello stesso tempo il tutto nostro, così che è venuto ad avere due nature (divina e umana) in una sola persona: l’uomo-Dio. Egli spiega:

"L’uomo, diviso nella sua dualità,
era senza Dio.
Dio, nella sua Trinità, era senza umanità.
Poiché nell’uomo non c’era che dualità (corpo e anima),
non c’era chi potesse pacificarli.
Poiché in Dio c’era la sola Trinità,
non c’era chi potesse turbarne la pace.
Nella Trinità, per un quarto non c’è posto, poiché la pace verrebbe meno.
L’uomo, nella sua dualità,
non trovava un terzo per sedare la guerra.
Dalla Trinità nessuno viene messo fuori,
per evitare che tra due soli
scoppi la guerra.
Nella dualità dell’uomo,
se non arriva un terzo,
il duello non può aver fine.

Come vedete, c’era bisogno di una soluzione geniale, che non facesse perdere in Cielo la gloria della pace e, contemporaneamente, la povera Terra potesse trovare una buona volta la pace.

Dei Tre viene dunque mandato (missus), ma non licenziato (dimissus) il Terzo della Trinità, il Figlio. Grazie a Lui, Dio è venuto nell’uomo per trasformarlo nella indispensabile (necessariam) Trinità, e l’uomo è emigrato in Dio senza tuttavia trasformarlo in una superflua quaternità"16 .

Il senso del brano è evidentemente molto più ampio del tema trattato: possiede una valenza ontologica universale. La separazione dell’umanità da Dio portata dall’Avversario viene vista analoga alla separazione avvenuta tra uomo e donna. I due termini restano inconciliabili. E anzi in lotta, poiché affermare l’uno è negare l’altro, e viceversa.

Se si afferma Dio scompare l’essere umano; se si afferma questi scompare Dio. Ma che i due paragoni siano caratteristici ed emblematici è evidente dalle prime pagine della Genesi: senza un "terzo", il duale non ha pace. Perché ambedue i termini "siano" hanno necessità di riconoscersi a vicenda e di affermarsi l’un l’altro. L’io non esiste se non ha un tu (altro, diverso) cui confrontarsi e da cui venir riconosciuto. Psicologicamente, maschio ha significato solo se e in quanto è riferito a femmina, e viceversa. Teologicamente, se la struttura dialogica dell’evento umano nella sua essenziale "immagine e somiglianza" di Dio – per dirla col teologo Marcello Bordoni – esprime, insieme, la vicinanza e l’alterità dell’essere umano di fronte a Lui, esprime anche sia l’identità che la relazionalità con l’essere che gli è simile; per cui l’"uomo non può realizzarsi come immagine di Dio se non nella dimensione interpersonale di comunione che lo fa vivere "con l’altro" e "per l’altro""17. È la relazione che dà identità, senso e vita. Nella Trinità lo Spirito Santo è la Relazione (senza l’Amore non ci sarebbe né l’Amante né l’Amato).

Silvano Cola

 

 

 

 

1. "L’Uno è il tutto, recita l’assioma neoplatonico immigrato nel cristianesimo. L’Uno, non pensato come somma articolata della molteplicità, gerarchizza l’uguaglianza degli esseri umani, che invece sono tra loro fratelli e sorelle, gerarchizza il loro genere (maschile/femminile) polare e la loro diversità culturale (...). Complementare al concetto neoplatonico di unità, grava sul cristianesimo un’idea di identità, risalente ad Aristotele, che esclude il ’terzo’". P. Suess, L’ambivalenza delle concezioni bibliche della redenzione, in "Concilium", 1/1998, p. 77.

2. L. Alici, Cultura postmoderna e visione cristiana dell’uomo, in Cattolici in Italia tra fede e cultura, Milano 1997, p.147

3. Citato da B. Salvarani, in "Settimana", 7/1998.

4. Aspetti positivi della postmodernità, in "Settimana" 39/1997.

5. Il Dio di Gesù Cristo, Brescia 1976, pp. 214-215.

6. Cf. Le choix entre la Trinité et la folie, in "Esprit et Vie", 27-6-1991.

7. Sermo 48, 8.

8. G. C. Anawati, Islam e Cristianesimo. L’incontro tra due culture nell’Occidente medievale, Milano 1995, p.58 ss.

9. G. Colombo, La teologia della creazione nel XX secolo, in Bilancio della teologia del XX secolo, III, Roma, 1972.

10. J. P. Gabus, La "dogmatique" de Gérard Siegwalt. Pour un dialogue avec les sciences et la philosophie, in "Nouvelle Revue Théologique", 4/1997.

11. Cf Summa Theol., 2-2, q.33, a.4.ad 2m.

12. De spiritu et anima, PL 40, col 787.

13. "Il dualismo morale agisce in modo accattivante con la pronta demonizzazione dell’"altro", oggettivato, esotizzato ed erotizzato". (Catherine Keller, L’attrazione dell’apocalisse, in "Concilium" 1/1998).

14. La nuova psicologia, cf. tutto il cap. L’uno, il due e poi la guerra, Rizzoli 1996, p.153-166.

15. Sermo 14

16. Sermo 9, 15.

17. L’antropologia cristiana e il suo fondamento nell’evento cristologico, in Cattolici in Italia tra fede e cultura, cit., p.176.