Flash di vita

Io ebreo
prete cattolico

Ricordo ancora nella lontananza del tempo noi tre fratelli maggiori seduti ai piedi della nonna materna che ci raccontava, incalzata dalle nostre domande, il segreto "sigillato" del passato della nostra famiglia, mentre noi ascoltavamo attoniti e incantati. Ogni parola e avvenimento penetrava nel nostro cuore come una luce che dovevamo custodire, mantenendo nel segreto la tradizione orale. Figlia di ebrei "sefarditi" (cioè di tradizione spagnola:Sefarad = Spagna), era stata battezzata a nove anni.

Le due nonne, paterna e materna, erano ebree e cugine fra loro. La nonna materna era nata nel 1889, l’altra due anni più tardi. Provenivano dal primo gruppo di famiglie ebree che entrarono in Venezuela nel 1821. L’indipendenza dalla Spagna favoriva questo insediamento. Ambedue, così come i loro genitori, erano nate qui e si erano installate fin dal principio come commercianti autonomi.

Dal 1635 l’Olanda si impossessava delle isole di Curazão, Aruba, Bonaire, Saba e San Martin e impostava una politica commerciale per insediare lì le succursali di alcune case commerciali degli ebrei "sefarditi" che avevano il loro centro operativo ad Amsterdam.

In quelle condizioni di vita, non erano molte le famiglie praticanti, anche se tutte conservavano alcune tradizioni e l’orgoglio etnico di essere ebrei. Così ci lasciava capire la nonna. I suoi pensieri si dipanavano in parole che ci trasmettevano queste storie come un Midrash e che rilucevano nei suoi occhi come un film.

Un giorno le domandammo: "Perché ti sei fatta cattolica?". Allora ci rivelò che aveva avuto un fratello maggiore morto piccolissimo perché malato. Era stato un momento tragico e di profondo dolore perché era morto un maschio, era scomparso il "rampollo" della famiglia. La notizia si diffuse in un villaggio ancora di poche abitazioni e dove cattolici, massoni ed ebrei erano vicini di casa. Avevano imparato a rispettarsi e a solidarizzare gli uni con gli altri. La notizia arrivò al parroco che si era formato come sacerdote nell’isola di Curazão, dato che la chiesa in Venezuela era perseguitata dalla massoneria e i seminari erano chiusi dal 1870. Lì aveva studiato ebraico e sapeva alcune preghiere e alcuni salmi. Senza che nessuno lo chiamasse entrò nella casa della nonna per condividere il dolore di quella morte che aveva strappato la speranza alla famiglia. Poi intonò le preghiere e il salmo per i defunti in ebraico secondo la tradizione "sefardita". Questo gesto di solidarietà fece molta impressione nella famiglia che non conosceva l’ebraico e si era dimenticata delle pratiche religiose, pur avendo conservato l’amore a Dio. Gli anni passarono e la stessa cosa successe nella famiglia della nonna paterna, con la differenza che, questa volta, chi moriva era il primogenito e il sacerdote era stato cercato dal papà della nonna materna. Ci diceva la nonna, cercando una spiegazione a quel lontano dolore: "In quei tempi era frequente che morissero i bambini. Tutto avveniva improvvisamente. Non si sapeva nemmeno che tipo di malattia fosse e c’era anche il fatto che noi, sposandoci, ci mescolavamo tra membri delle nostre famiglie. Per questo da allora pensai che quando mi sarei sposata lo avrei fatto con uno che fosse al di fuori della cerchia delle nostre famiglie".

Questa esperienza e l’atteggiamento aperto del parroco fece considerare alle due famiglie la possibilità di convertirsi al cattolicesimo. "Il sacerdote era un uomo buono, disinteressato ed è morto povero", ricordava con affetto la nonna. Già molti ebrei si erano convertiti: i Senior, i Cohen Henríquez, i Curiel, i Maduro... Molti pregiudizi erano caduti e parte del cammino era stato percorso. Le due nonne ricevettero il permesso per essere ammesse dalle loro maestre alle lezioni di catechismo. Più tardi, un bel giorno, i genitori decisero di battezzarle, mentre loro lo fecero molto tempo dopo e in segreto.

Erano storie segrete e noi rimanevamo stupefatti di fronte ai racconti della nonna materna che veniva a visitarci e a parlarci di queste cose. La nonna paterna, invece, ha sempre fatto finta di niente e ci diceva che non ricordava, guardando di traverso e con aria di rimprovero sua cugina che ci raccontava cose che di per sé avrebbero dovuto rimanere segrete. Ci apparivano come storie molto lontane che non toccavano le nostre vite, non sapevamo cosa significava essere ebreo, solo ascoltavamo dire nelle prediche che "gli ebrei erano cattivi". "I tempi – spiegava la nonna – sono cambiati. Allora ascoltavamo con terrore la predica delle sette parole di Gesù sulla croce. Durante la Settimana Santa venivano dei predicatori che dal pulpito tuonavano contro gli ebrei, chiamandoci "perfidi e infedeli". Fu ancora peggio quando cominciarono a trasmettere per radio queste prediche. Molte famiglie che non si erano convertite, e anche noi, ci rinchiudevamo nelle nostre case perché avevamo paura che un tumulto ci aggredisse. Una volta una compagna di scuola mi insultò chiamandomi "marrana". Questa parola di persé per sé voleva dire un ebreo convertito al cristianesimo che segretamente continuava ad aderire all’ebraismo, ma da noi aveva assunto un significato molto dispregiativo".

La consegna era di non parlare con nessuno delle nostre origini, sempre per la paura di essere offesi o insultati. Fin dalla fanciullezza abbiamo imparato a dimenticare il passato e a guardare verso il futuro.

Mi sono reso conto di questo quando ero in seminario. Mi trovavo a casa durante un periodo di vacanze e la nonna si ammalò gravemente – era già molto anziana – e mi disse: "Quando diventerai sacerdote, non predicare mai contro gli ebrei, perché Cristo e la Vergine sono stati ebrei e anche noi... Adesso non pratichiamo più l’ebraismo perché crediamo che Gesù è il Messia, però nelle nostre vene scorre sangue ebreo. Non dimenticarlo!". Queste parole mi fecero molta impressione e mi aiutarono ad aprirmi al dialogo col mio passato e a farlo mio con più serenità.

Durante questi anni, i ricordi dei racconti della nonna mi hanno aiutato a integrarmi nella storia di una famiglia concreta, rendendomi conto che non sono una piuma portata dal vento. Ricordo con grande ammirazione che i racconti della nonna non erano mai stati fatti con accenti di odio o di rancore. Ci parlava con un linguaggio scorrevole e condito di sapienza per farci intuire i piani di Dio. Ci raccontava quello che si diceva sulle sofferenze degli ebrei espulsi dalla Spagna nel lontano 1492. La famiglia, dopo l’esperienza di una grande povertà, era andata a vivere nel Nord-Africa (Marocco), e poi in Italia, e poi ancora in Olanda quando si dissolse l’impero spagnolo. Qui incontrarono tolleranza e spazio per vivere, per poi radicarsi definitivamente a Curazão e in Venezuela. Ascoltare queste cose è stato importante. Forse nasceva in noi un po’ di paura, ma mai l’odio. Questa visione serena degli avvenimenti scaturiva, penso, dalla convinzione che, nonostante tutto, era sempre l’amore di Dio che si faceva presente.

La nonna ripeteva spesso: "Oh Dio, tre volte Santo!". Indubbiamente era la manifestazione di quella profonda pietà ebraica centrata in YHWH che continuava anche dopo la conversione al cattolicesimo: era qualcosa che portava nel sangue. Questo mi fa pensare che la conversione di numerose famiglie ebree al cattolicesimo è stata importante per la chiesa nella nostra zona, perché ha aiutato a vivificare la fede cattolica in una terra devastata dalle guerre, sia quella per l’indipendenza che quelle civili durante il XIX secolo.

La nonna era abituata a introdurre il Rosario con il "Oh Shemà Israel!: Ascolta Israele, il Signore tuo Dio è uno, Lo amerai con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutto il tuo essere... queste parole le ripeterai quando sei in piedi, seduto, coricato o in cammino".

Poi diceva: "Nel nome di Dio e della Santissima Trinità" e cominciava ad annunciare i misteri. La preghiera dello Shemà mi impressionava. Poi quando trovai il Movimento dei focolari, esso mi aiutò ad essere più concreto, a lasciarmi prendere da Dio e a vivere solo per lui.

Avevo sempre ascoltato che Dio ci aveva creati; poi mio padre mi aveva insegnato la regola massonica che tutti gli esseri umani sono uguali. Ora, con la scoperta del carisma dell’unità, questa solidarietà e filantropia si trasformavano nell’amore al fratello, amato come me stesso: una novità assoluta che mi faceva considerare l’importanza di ogni prossimo. I miei rapporti personali passavano dall’indifferenza al prendere sul serio la realtà delle persone. E lì trovava la sua pienezza la legge dell’Antico Testamento.

La pietà che mi avevano insegnato come cammino per arrivare a un rapporto con Dio, la incontrai totalmente nuova in quella carità vissuta secondo il comandamento nuovo di Gesù. Una carità che arriva fino a dar la vita per l’altro e che mi introduce nel cielo della Trinità. Questa radicalità vissuta ogni giorno cominciò ad essere la base di un nuovo stile di vita cristiana che mi faceva riscoprire tutta la bellezza e la novità del mio battesimo.

Mi colpiva il fatto che la nonna usava sempre il "noi". Mi resi conto dopo che quel "noi" esprimeva l’idea del "popolo eletto" con la certezza della presenza di Dio in mezzo ad esso. Questo "noi" è stato per me come il segno di una profezia che si è compiuta quando ho scoperto Gesù in mezzo alla comunità unita nel suo nome. Ho capito la visione ampia della pedagogia di Dio che aveva cominciato con la scelta di un popolo per poi realizzare l’unità di tutta l’umanità.

Il segreto era la croce. La nonna mi aveva detto molte volte che ciò che più l’attirava nella fede cattolica era contemplare la croce e offrire i nostri dolori per completare la passione di Cristo. Commentava: "La croce dovrebbe essere anche per gli ebrei la spiegazione del silenzio di Dio per le persecuzioni e le ingiustizie che abbiamo subito, ma non basta, dovrebbe aiutarci anche ad offrire tutte le nostre sofferenze. Dobbiamo essere come il santo Giobbe". Io non capivo affatto queste parole. Ricordo che una volta sono stato a far visita a un parente, figlio di convertiti e massone. Gli dissi che avevo letto un libro che criticava la presenza della croce nelle chiese e suggeriva di sostituirla con l’immagine di Cristo risorto. E gli feci notare che ero d’accordo. Non dimenticherò mai l’autentico spavento che vidi nei suoi occhi e la sua risposta decisa: "Questo non dovrà mai succedere: la croce è l’unica immagine della consolazione che viene dall’amore di Dio per l’umanità".

Col passare degli anni questa novità mi divenne sempre più evidente alla luce della spiritualità dei focolari. Compresi che la strada verso l’unità passa per il nulla d’amore insegnato da Gesù crocifisso e che, allo stesso tempo, è Lui la chiave per rimanere sempre fedeli all’amore di Dio. In lui ho anche incontrato il segreto per superare qualunque dolore o incomprensione e vivere, al di là di ogni divisione, perché si realizzi l’unità.

Quando da bambino mi distraevo durante la messa e mi mettevo a contare le travi del tetto, la nonna mi rimproverava e mi diceva che bisognava ascoltare con particolare attenzione le letture bibliche, perché era Dio che stava parlando. Questo me lo ha fatto capire anche il fatto che lei possedeva un piccolo libretto dei salmi che usava per la sua preghiera quotidiana. Già da allora è nata in me una sacra venerazione per le Scritture. Ogni volta che l’ascoltavo mi sentivo di fronte a Dio stesso. Tuttavia è stato ancora più bello scoprire dopo che questa parola si poteva vivere. A poco a poco sono andato facendo questa esperienza di vivere la Parola e di mettere in comune con altri le esperienze fatte. Non era più soltanto conoscere la Parola, ma lasciarci prendere da essa.

Non sono arrivato a conoscere la cena pasquale del giudaismo e credo che nemmeno mia nonna l’abbia conosciuta, ma ci ha insegnato ad andare a messa come se si andasse a una festa. Lei vi andava tutti i giorni finchè la salute glielo permise. Quando ho conosciuto la spiritualità dell’unità, ho capito anch’io l’importanza della messa anche quotidiana: dovevo costruire l’unità con Gesù per poterla poi vivere con gli altri.

La preghiera del rosario era la scusa per visitare la nonna. Sapevamo che lo recitava dopo cena. Allora non c’era la televisione e quando terminava il rosario ci dava pezzetti di dolce messi da parte per noi. Fra un mistero e l’altro leggeva un pezzetto di salmo, che anni più tardi scoprii essere il salmo 118. Questa era l’unica forma di rapporto con Maria che avevo conosciuto; e quando scoprii Maria come la cristiana che ha realizzato in pienezza la Parola di Dio, la presi subito come modello della mia fede. Molte volte, di fronte ad alcune difficoltà sento la fatica di andare avanti, ma poi mi viene spontaneo fare come lei: dire sempre di sì senza ripiegarsi su se stessa perché la sua unica preoccupazione era di realizzare la volontà di Dio.

Sono cresciuto fra due fuochi. La venerazione che la nonna mi trasmetteva per i sacerdoti che "agivano in nome di Dio" e la spietata critica massonica di mio padre. Mia madre, pro bono pacis, sembrava rimanesse neutrale, ma apparteneva all’Azione Cattolica e sapeva amministrare bene la casa. Mi sembrava che avesse qualche riserva riguardo ai sacerdoti, ma non l’espresse mai. Quando sentii la vocazione al sacerdozio, ne parlai subito con il mio parroco e con il vescovo. Erano loro che dovevano confermare se quello che sentivo veniva da Dio. Oggi, come sacerdote, sento questa unità con i responsabili della chiesa come una profonda convinzione che mi fa vivere perché si realizzi l’unità all’interno della chiesa stessa.

Mi hanno educato nella fede in modo che non dimenticassi che Dio è dappertutto. Più tardi ho compreso che questa presenza si realizzava attraverso lo Spirito Santo e che la Trinità nella sua pienezza era presente attraverso di lui. Essere fedele alla sua voce in me e nell’altro è la strada per la quale ho cercato di camminare, lasciandomi guidare dalla sua silenziosa presenza e trovandomi così di fronte a tante belle sorprese.

Indubbiamente non sono cresciuto in una cultura ebrea, ma i ricordi della mia tradizione familiare mi hanno segnato positivamente. Ho ancora parenti stretti rimasti ebrei. Vado a visitarli tutti i venerdì per pranzare insieme. Ci siamo messi d’accordo: loro al tramonto cominciano il sabato festivo e invece della carne mangiamo pesce. Nello scorso dicembre mia mamma ha ritrovato in un ripostiglio una Menoràh in ferro battuto e, dopo averla pulita per bene, l’ha messa nel presepe dicendomi: "Se gli ebrei non fossero esistiti, Gesù non sarebbe nato".

Alcuni anni fa mia madre mi ha raccontato un episodio. Lei e mia nonna si trovavano all’estero e entrando in un ristorante videro appeso alla parete un ritratto di Hitler. Mia nonna si trasformò e chiese al padrone di toglierlo, ma questi si rifiutò. Ambedue si alzarono e abbandonarono il locale. Mia madre mi parlò della persecuzione nazista e e, considerandomi ormai adulto, mi fece conoscere una parte della biblioteca di casa, a noi vietata fino a quel momento, e che chiamavano Sancta Sanctorum. Conteneva libri di massoneria dei miei nonni e di mio padre, ma c’erano anche vecchi libri di letteratura ebraica. Molti erano scritti in tedesco come, per esempio, quello di Theodor Herzl sul Sionismo, e altri in spagnolo. Cominciai a leggerli con avidità perché si trattava di storie ebraiche. Certamente il sostrato ebreo in me risale a tempi lontani, ma non posso distogliermi da questa tendenza innata di scoprire ogni giorno la predilezione di Dio, il gusto per la sapienza che mi fa contemplare nelle piccole cose la realizzazione di un progetto misterioso di amore.

David Levi