La Chiesa nel mondo

Il coraggio
della fraternità

La Santa Sede aveva già pubblicato, per il tramite della sua commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, due significativi documenti con l’intento di applicare il numero 4 della Dichiarazione Nostra Aetate del Concilio Vaticano Il: gli "Orientamenti ed i suggerimenti" (1974) e le "Note per una corretta presentazione degli ebrei e dell’ebraismo, nella predicazione e nella catechesi della chiesa cattolica" (1985).

Il documento, "Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah" (1998), vuol essere un altro passo in avanti. Nella lettera indirizzata al cardinale Cassidy, presidente della commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, il papa esprime "la fervida speranza che il documento aiuti veramente a guarire le ferite delle incomprensioni ed ingiustizie del passato".

Si tratta di una riflessione sulla Shoah, una tragedia che nessuna parola può descrivere in maniera esauriente.

Al padre Hoeckman, segretario della commissione che ha preparato il documento, è stato chiesto quali sono state le colpe della chiesa che avrebbero favorito l’Olocausto.

Egli ha fatto una distinzione tra l’antigiudaismo, che ha radici soprattutto nei rapporti religiosi tra cristiani ed ebrei, e l’antisemitismo. Quest’ultimo, soprattutto nella sua forma più violenta, è nato ed è cresciuto negli ambienti non religiosi del secolo scorso. Proprio da questi ambienti il nazismo ha attinto le motivazioni per portare avanti il suo progetto di distruzione del popolo ebraico. Purtroppo una lunga storia di atteggiamenti negativi dei cristiani verso il popolo ebraico ha favorito il clima in cui la Shoah, pur essendo un progetto assolutamente pagano e anticristiano, ha potuto più facilmente realizzarsi.

La chiesa, perciò, vuol fare chiarezza prima di tutto al suo interno, informando i cattolici su quello che è successo al popolo ebraico. Ha viva speranza che anche gli altri cristiani ne prendano sempre meglio coscienza. Desidera che questa tragedia resti nella nostra memoria per renderci conto che dove non c’è più la fede in Dio e l’amore verso l’essere umano simili misfatti possono ripetersi.

Ancora oggi si nota una certa carenza di informazione e di formazione sul significato della Shoah all’interno della coscienza cristiana. Per questo motivo riportiamo di seguito la parte centrale del documento pontificio.

Che cosa dobbiamo ricordare

Nel dare la sua singolare testimonianza al Santo di Israele ed alla Torah, il popolo ebraico ha grandemente patito in diversi tempi ed in molti luoghi. Ma la Shoah fu certamente la sofferenza peggiore di tutte. L’inumanità con cui gli ebrei furono perseguitati e massacrati in questo secolo va oltre la capacità di espressione delle parole. E tutto questo fu fatto loro per la sola ragione che erano ebrei.

La stessa enormità del crimine suscita molte domande. Storici, sociologi, filosofi politici, psicologi e teologi tentano di conoscere di più circa la realtà e le cause della Shoah. Molti studi specialistici rimangono ancora da compiere. Ma un simile evento non può essere pienamente misurato attraverso i soli criteri ordinari della ricerca storica. Esso richiama ad una "memoria morale e religiosa" e, in particolare tra i cristiani, ad una riflessione molto seria sulle cause che lo provocarono. Il fatto che la Shoah abbia avuto luogo in Europa, cioè in paesi di lunga civilizzazione cristiana, pone la questione della relazione tra la persecuzione nazista e gli atteggiamenti dei cristiani, lungo i secoli, nei confronti degli ebrei.

Le relazioni tra ebrei e cristiani

La storia delle relazioni tra ebrei e cristiani è una storia tormentata. Lo ha riconosciuto il Santo Padre Giovanni Paolo II nei suoi ripetuti appelli ai cattolici a considerare il nostro atteggiamento nei confronti delle nostre relazioni con il popolo ebraico. In effetti il bilancio di queste relazioni durante i due millenni è stato piuttosto negativo.

Agli albori del cristianesimo, dopo la crocifissione di Gesù, sorsero contrasti tra la chiesa primitiva ed i capi dei giudei ed il popolo ebraico i quali, per ossequio alla Legge, a volte si opposero violentemente ai predicatori del Vangelo e ai primi cristiani. Nell’impero romano, che era pagano, gli ebrei erano legalmente protetti dai privilegi garantiti loro dall’imperatore e le autorità in un primo tempo non fecero distinzione tra le comunità giudee e cristiane. Ben presto, tuttavia, i cristiani incorsero nella persecuzione dello Stato. Quando, in seguito, gli imperatori stessi si convertirono al cristianesimo, dapprima continuarono a garantire i privilegi degli ebrei. Ma gruppi esagitati di cristiani che assalivano i templi pagani, fecero in alcuni casi lo stesso nei confronti delle sinagoghe, non senza subire l’influsso di certe erronee interpretazioni del Nuovo Testamento concernenti il popolo ebraico nel suo insieme. "Nel mondo cristiano – non dico da parte della chiesa in quanto tale – interpretazioni erronee e ingiuste del Nuovo Testamento riguardanti il popolo ebraico e la sua presunta colpevolezza sono circolate per troppo tempo, generando sentimenti di ostilità nei confronti di questo popolo" (Giovanni Paolo II, OR, 1/11/97, p. 6). Tali interpretazioni del Nuovo Testamento sono state totalmente e definitivamente rigettate dal Concilio Vaticano Il.

Nonostante la predicazione cristiana dell’amore verso tutti, compresi gli stessi nemici, la mentalità prevalente lungo i secoli ha penalizzato le minoranze e quanti erano in qualche modo "differenti". Sentimenti di antigiudaismo in alcuni ambienti cristiani e la divergenza che esisteva tra la chiesa ed il popolo ebraico, condussero a una discriminazione generalizzata, che sfociava a volte in espulsioni o in tentativi di conversioni forzate. In una larga parte del mondo "cristiano", fino alla fine del XVIII secolo, quanti non erano cristiani non sempre godettero di uno status giuridico pienamente garantito. Nonostante ciò, gli ebrei diffusi in tutto il mondo cristiano rimasero fedeli alle loro tradizioni religiose ed ai costumi loro propri. Furono per questo considerati con un certo sospetto e diffidenza. In tempi di crisi come carestie, guerre e pestilenze o di tensioni sociali, la minoranza ebraica fu più volte presa come capro espiatorio, divenendo così vittima di violenze, saccheggi e persino di massacri.

Tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX secolo, gli ebrei avevano generalmente raggiunto una posizione di uguaglianza nei confronti degli altri cittadini nella maggioranza degli Stati, e un certo numero di loro giunse a ricoprire ruoli influenti nella società. Ma in questo stesso contesto storico, in particolare nel XIX secolo, prese piede un nazionalismo esasperato e falso. In un clima di rapido cambiamento sociale, gli ebrei furono spesso accusati di esercitare un’influenza sproporzionata rispetto al loro numero. Allora cominciò a diffondersi in vario grado, attraverso la maggior parte d’Europa, un antigiudaismo che era essenzialmente più sociopolitico che religioso.

Nello stesso periodo, cominciarono ad apparire delle teorie che negavano l’unità della razza umana, affermando una originaria differenza delle razze. Nel XX secolo, il nazionalsocialismo in Germania usò tali idee come base pseudoscientifica per una distinzione tra le così dette razze nordico-ariane e presunte razze inferiori. Inoltre, una forma estremistica di nazionalismo fu stimolata in Germania dalla sconfitta del 1918 e dalle condizioni umilianti imposte dai vincitori, con la conseguenza che molti videro nel nazionalsocialismo una soluzione ai problemi del Paese e perciò cooperarono politicamente con questo movimento.

La chiesa in Germania rispose condannando il razzismo. Tale condanna apparve per la prima volta nella predicazione di alcuni tra il clero nell’insegnamento pubblico dei vescovi cattolici e negli scritti di giornalisti cattolici. Già nel febbraio e marzo 1931, il Cardinale Bertram di Breslavia, il Cardinale Faulhaber ed i Vescovi della Baviera, i Vescovi della Provincia di Colonia e quelli della provincia di Friburgo pubblicarono lettere pastorali che condannavano il nazionalsocialismo, con la sua idolatria della razza e dello Stato. L’anno stesso in cui il nazionalsocialismo giunse al potere, nel 1933, i ben noti sermoni d’Avvento del Cardinale Faulhaber, ai quali assistettero non soltanto cattolici, ma anche protestanti ed ebrei, ebbero espressioni di chiaro ripudio della propaganda nazista antisemitica. A seguito della Kristallnacht, Bernard Lichtenberg, prevosto della Cattedrale di Berlino, elevò pubbliche preghiere per gli ebrei. Egli morì poi a Dachau ed è stato dichiarato beato.

Anche il Papa Pio XI condannò il razzismo nazista in modo solenne nell’Enciclica Mit brennender Sorge, che fu letta nelle chiese di Germania nella Domenica di Passione del 1937, iniziativa che procurò attacchi e sanzioni contro membri del clero. Il 6 settembre 1938, rivolgendosi ad un gruppo di pellegrini belgi, Pio XI asserì: "L’antisemitismo è inaccettabile. Spiritualmente siamo tutti semiti". Pio XII, fin dalla sua prima enciclica, Summi Pontificatus, del 20 ottobre 1939, mise in guardia contro le teorie che negavano l’unità della razza umana e contro la deificazione dello Stato, tutte cose che egli prevedeva avrebbero condotto ad una vera "ora delle tenebre". (...)

Insieme verso un futuro comune

Al termine di questo Millennio la chiesa cattolica desidera esprimere il suo profondo rammarico per le mancanze dei suoi figli e delle sue figlie in ogni epoca. Si tratta di un atto di pentimento (teshuva): come membri della chiesa, condividiamo infatti sia i peccati che i meriti di tutti i suoi figli. La chiesa si accosta con profondo rispetto e grande compassione all’esperienza dello sterminio, la Shoah, sofferta dal popolo ebraico durante la seconda Guerra Mondiale. Non si tratta di semplici parole, bensì di un impegno vincolante. "Rischieremmo di far morire nuovamente le vittime delle più atroci morti, se non avessimo la passione della giustizia e se non ci impegnassimo, ciascuno secondo le proprie capacità, a far si che il male non prevalga sul bene, come è accaduto nei confronti di milioni di figli del popolo ebraico... L’umanità non può permettere che ciò accada di nuovo" (Giovanni Paolo II, Insegnamenti 171, 1994, 897 e 893).

Preghiamo che il nostro dolore, per le tragedie che il popolo ebraico ha sofferto nel nostro secolo, conduca a nuove relazioni con il popolo ebraico. Desideriamo trasformare la consapevolezza dei peccati del passato in fermo impegno per un nuovo futuro nel quale non ci sia più sentimento antigiudaico tra i cristiani e sentimento anticristiano tra gli ebrei, ma piuttosto un rispetto reciproco condiviso, come conviene a coloro che adorano l’unico Creatore e Signore ed hanno un comune padre nella fede, Abramo.

Infine, invitiamo gli uomini e le donne di buona volontà a riflettere profondamente sul significato della Shoah. Le vittime dalle loro tombe, e i sopravvissuti attraverso la vivida testimonianza di quanto hanno sofferto, sono diventati un forte grido che richiama l’attenzione di tutta l’umanità. Ricordare questo terribile dramma significa prendere piena coscienza del salutare monito che esso comporta: ai semi infetti dell’antigiudaismo e dell’antisemitismo non si deve mai più consentire di mettere radice nel cuore dell’uomo. (Noi ricordiamo, nn. II, III, V).

a cura della redazione