"Ho sognato di poter dare con la nostra profonda comunione, con la nostra collaborazione, una nuova speranza al mondo"

Che l’amore vinca

Nel desiderio di incrementare il dialogo tra cristiani ed ebrei, Chiara Lubich durante la sua recente visita in Argentina ha accettato l’invito della prestigiosa associazione ebraica internazionale "B’nai B’rith" (Figli dell’Alleanza), e di un’altra associazione, "L’amicizia ebraico-cristiana". Nella sede della "B’nai B’rith" la Lubich ha pronunciato il discorso che trascriviamo.

È con grande gioia che mi trovo oggi qui con tutti loro, che fanno parte di una delle più grandi comunità ebraiche del mondo.

Una grande gioia perché, come Cristiana, se ho avuto l’onore di parlare ad altri gruppi di Signori e Signore di religioni diverse dalla mia, quali, ad esempio, i musulmani negli USA o i buddisti in Giappone ed in Tailandia, non ho mai avuto la fortunata possibilità d’incontrare in numero così notevole coloro che, col Santo Padre Giovanni Paolo II, so essere i miei "fratelli maggiori" ed onorarli ed amarli come tali.

E che cosa il cuore mi dice, allora, in questo momento tanto prezioso? Anzitutto il desiderio di conoscerli almeno un po’. E poi d’intavolare una relazione con loro, proprio come tra fratelli e sorelle. Una relazione non certo solamente astratta, fatta di complimenti e parole, ma concreta, nutrita possibilmente di doni reciproci. Perché così fanno i fratelli che si scoprono tali dopo lungo tempo, e si amano.

Un’occasione per dimostrare loro il mio amore fraterno è quella, oggi, di poter offrire loro, perché possa diventare, in qualche modo, patrimonio comune, l’esposizione di ciò che di meglio ho: il frutto della fede e dell’amore di molti ed anche mia: il Movimento dei focolari per il quale, come loro sanno, sono stata uno strumento, certamente indegno, nelle mani di Dio, ed ora ne sono la responsabile davanti a Lui ed alla chiesa.

E ciò in attesa di conoscere meglio le ricchezze che loro portano, spirituali ed umane.

Il Movimento dei focolari oggi

Come si presenta, oggi, questo Movimento? Esso conta quattro milioni e mezzo di persone d’ogni età, categoria, razza e lingua: uomini e donne, di cui più di due milioni non necessariamente legati alle sue strutture.

Ha un suo stile di vita, un suo fine, un suo spirito, una sua cultura in cui convergono culture di tutto il mondo.

La diffusione dei suoi membri è assai vasta. Arriva a quasi tutte le nazioni del nostro pianeta. Si snoda in 18 diramazioni, che riguardano tutte le vocazioni e gli stati religiosi e civili in cui possono trovarsi le persone.

È costituito per la maggioranza da Cristiani cattolici. La chiesa cattolica ha approvato questo Movimento a Roma sin dal 1962; e nella sua città natale, Trento, sin dal 1947.

Il dialogo con le chiese cristiane

Diffondendosi però con gli anni in molte nazioni si sono incontrati anche altri Cristiani. Non si sapeva nulla di ecumenismo all’inizio di questo Movimento e per diversi anni abbiamo creduto che questo carisma fosse unicamente per il mondo cattolico, onde ravvivare le comunità religiose e civili col suo spirito che è uno spirito d’amore e d’unità.

Ma nel gennaio 1961 – tempo precedente al Concilio Vaticano II – invitati alcuni di noi in Germania, ci siamo imbattuti in tre pastori evangelici, meravigliati perché fra noi si dava rilievo particolare alla Parola di Dio e, soprattutto, perché la si viveva. Ciò li ha convinti a chiamarci a parlare nelle loro parrocchie e comunità e ad unirsi a noi.

Con essi abbiamo visto che potevamo condividere molte cose: ad esempio il battesimo, l’Antico e il Nuovo Testamento, i primi Concili ecumenici...

Più tardi, in un nostro incontro a Roma di cattolici ed evangelici, dei sacerdoti anglicani presenti rimasero profondamente toccati dal clima fraterno che regnava. Desiderarono quindi conoscere e far conoscere lo spirito che generava quella realtà.

In seguito, 100 anglicani sono venuti al nostro incontro ecumenico a Roma, ed essendo nata una bellissima comunione tra noi e loro, hanno voluto che si andasse in Gran Bretagna ad incontrare i loro responsabili. Io stessa ho avuto, negli anni successivi, rapporti intensi con gli ultimi quattro Primati della chiesa d’Inghilterra, che hanno benedetto il nostro lavoro, incoraggiandolo fortemente.

Nel 1967 il grande Patriarca ecumenico, Atenagora I, di Costantinopoli in Turchia, venuto a sapere qualcosa del Movimento, mi mandò a chiamare.

Sono stata da lui parecchie volte. Ne nacque un rapporto profondo. È iniziato così il Movimento fra i Cristiani ortodossi. I successori di Atenagora I hanno continuato sulla stessa linea.

Anche membri di antiche chiese orientali seguono il Movimento. Pure membri della chiesa riformata in Svizzera e in Olanda hanno voluto conoscere a fondo il Movimento. Ora i Cristiani in contatto con noi sono circa 50.000 di 300 chiese.

E quali sono gli effetti di questi rapporti?

Sono crollati pregiudizi secolari. Si è ravvivata, con il nostro spirito, la loro vita personale e comunitaria, contribuendo così al rinnovamento delle loro chiese.

Con fedeli di altre religioni

Ma l’ecumenismo del Movimento non si è fermato qui. Esso giunge anche al dialogo con fedeli di altre religioni. Un rapporto molto privilegiato e cordialissimo esiste con fratelli ebrei in diverse parti del mondo: a Roma, in Israele, in Francia, in Argentina, in Uruguay, ecc. Negli USA l’anno scorso mi è stato conferito un dottorato honoris causa all’Università del Sacro Cuore, per iniziativa del Centro per la comprensione tra ebrei e cristiani, diretto allora dal rabbino Bemporad e ora dal rabbino Ehrenkranz, presente qui a Buenos Aires in questi giorni. Abbiamo iniziato pure un rapporto molto intenso con musulmani, buddisti, scintoisti, fedeli di religioni tradizionali...

È un dialogo che ha una sua precisa tecnica: il "farsi uno", come noi diciamo; che non è solo un atteggiamento di apertura, di stima e di rispetto: è una pratica che esige il vuoto completo di sé, per comprendere l’altro.

È stato scritto che: "Conoscere la religione dell’altro implica l’entrare nella pelle dell’altro, vedere il mondo come l’altro lo vede, penetrare nel senso che ha per l’altro essere indù, musulmano, ebreo, buddista"1.

Il mondo delle altre religioni che, in ordine di tempo, abbiamo incontrato per primo è stato quello buddista.

Sono stata invitata in Giappone dal Presidente e Fondatore di un grande Movimento laico buddista, Rissho Kosei-kai, con sei milioni e più di aderenti. Egli ha voluto che raccontassi la mia esperienza spirituale cristiana a 12.000 membri dell’associazione nel loro grande tempio di Tokyo.

Quell’avvenimento, 17 anni or sono, è stato seguito da innumerevoli occasioni di contatto e di collaborazione in varie parti del mondo. E si può certamente affermare che c’è stato, in quei fratelli buddisti, una crescita di interesse e di grande apertura verso i valori evangelici di cui il Movimento è portatore. Da parte nostra abbiamo scoperto valori di cui loro sono portatori, e ne siamo rimasti ammirati.

Ma gli incontri più sorprendenti con il buddismo sono avvenuti da circa due anni, con degli eminenti rappresentanti del monachesimo tailandese, il Gran Maestro Ajahn Tong e un monaco di valore, che contano in patria e in altri Paesi tanti discepoli. Per essi si è aperta una strada per il dialogo nel mondo del buddismo Theravada.

Essi hanno avuto un loro prolungato soggiorno nella nostra cittadella internazionale di Loppiano (Italia), dove gli abitanti (800), animati dal nostro spirito, vogliono dimostrare come sarebbe il mondo se tutti vivessero il Vangelo di Cristo.

Ebbene lì, a queste due personalità, essendo state messe in contatto vitale con un’esperienza di amore cristiano vissuto, sono caduti quegli ostacoli che impediscono un vero dialogo fra Buddisti e Cristiani.

Hanno sperimentato il servizio al fratello, che li ha colpiti. Di conseguenza sono stata invitata in Tailandia, dove mi hanno chiesto di portare la mia testimonianza cristiana in più parti, fra cui in una loro università ed in un tempio con monaci, monache e laici.

Il loro interesse è stato notevole, mentre noi abbiamo avuto occasione di scoprire in loro i cosiddetti "semi del Verbo", cui fa riferimento il Concilio Vaticano II, principi cioè di verità, e di esser edificati dalla loro ascetica, dal distacco da tutto, che li distingue.

Quasi tutti i nostri fratelli delle più grandi religioni poi hanno, in genere, in comune con noi la cosiddetta regola d’oro che dice: "Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te. Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te", per la quale si può intavolare anche con loro un rapporto d’amore. Rapporto che aiuta a pensare ed a cooperare a quella fraternità universale, che dovrebbe esistere sul nostro pianeta.

Ultimamente – ed è un altro esempio – ho avuto un incontro importante con musulmani afro-americani in una Moschea di Harlem a New York. Per loro desiderio e perché attratti dallo spirito che ci muove, io, bianca, cristiana e per di più donna, ho parlato a 3.000 di loro, che ora sono decisi a condividere con tutti noi il nostro ideale di fraternità.

Naturalmente il Movimento non si limita a sviluppare il dialogo interreligioso a 360°. In esso il Signore, che ne è il vero fondatore ed il costruttore, ha fatto nascere molteplici opere nel campo della convivenza civile. In quello sociale, ad esempio, con la recente nascita ed il fiorire della cosiddetta "Economia di comunione", dove si contano già 622 aziende sparse nel mondo, i cui utili hanno come fine la solidarietà; o come le 20 cittadelle sorte nel mondo, a testimonianza della validità del nostro Ideale.

Con gli ebrei

Ed ora sono qui con loro. Sono qui con fratelli con i quali condividiamo un’autentica fede in un solo Dio ed abbiamo in comune il patrimonio inestimabile della Bibbia in quello che noi chiamiamo: l’Antico Testamento.

Che fare? Che pensare?

Se la semplice regola d’oro, di cui ho parlato, riesce a farci fraternizzare, se non sempre in Dio, almeno nella fede di un Essere superiore, con i fedeli di altre religioni, cosa potrà avvenire se il Signore incomincia a chiarire che è Sua volontà intrecciare anche fra noi, ebrei e cristiani, una relazione fraterna?

Nell’attesa di venire da loro, ho letto qualcosa su questi nostri rapporti. Ho approfondito e condiviso anzitutto la stima che la mia chiesa ha palesato nei loro confronti, in modo speciale attraverso il documento Nostra aetate del Concilio Vaticano II.

Ma mi sono lasciata illuminare soprattutto da tante divine verità, che costellano la loro tradizione ebraica e che noi condividiamo. Verità che possono diventare cemento fra la nostra e la loro vita spirituale.

Di conseguenza ho avvertito nel cuore il desiderio di svelare loro il segreto del successo del nostro Movimento.

Esso sta nella sua spiritualità emersa certamente dal Vangelo di Gesù, ma che ha già le sue radici nell’Antico Testamento. Per cui potrebbe esser riscritta, in certo modo, quasi con le sue parole.

Ho sognato così di poter vivere insieme queste verità e dare con la nostra profonda comunione, con la nostra collaborazione, una nuova speranza al mondo.

Le verità che ci uniscono

Il nostro Movimento è nato per la costatazione che un gruppo di ragazze fra le quali anch’io, fecero della realtà delle cose, sotto le bombe dell’ultima guerra mondiale nel ’43-’44 a Trento, in Alta Italia.

In mezzo alle distruzioni portate dal conflitto, sperimentarono sulla propria persona la verità che "tutto è vanità delle vanità". E già qui c’è stato di luce il Qoelet.

Osservando come tutto passa, per un’innegabile spinta di Dio, scelsero, sul crollo d’ogni altro, un ideale per la loro vita, che nessuna bomba potesse far crollare: Dio, e s’impegnarono ad amarLo con tutto il cuore.

Si decisero di attuare perciò, ed è ciò che è richiesto a chiunque vuol vivere secondo lo stile del Movimento, le parole di Gesù già presenti nel Deuteronomio, nello Shemà (6, 4-5): "Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze".

Capirono dal Vangelo che amare Dio significa fare la Sua volontà. Esso dice infatti: "Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli" (Mt 7, 21).

Ed è quanto è scritto stupendamente nei Detti dei Padri, che fanno parte della Mishnà, l’opera così importante della tradizione rabbinica: "Sii energico come un leopardo, veloce come un’aquila, svelto come una gazzella e forte come un leone a fare la volontà del tuo Padre che è nei cieli" (Mishnà Avot 5, 20).

Centrale poi è per noi cristiani adempiere quella volontà di Dio che domanda di "amare il prossimo", in cui sta – come afferma Gesù – tutta la Legge e i Profeti.

Si amano i fratelli perché si vede Cristo, che per noi è Dio, in ognuno. Sappiamo che ci si salverà solo in forza di questo amore. La maestosa descrizione del giudizio universale fatta da Gesù, lo dice. Ai buoni dirà che tutto il bene fatto ai fratelli, ed anche l’eventuale male, lo ritiene fatto a Sé: "L’avete fatto a me" (Mt 25, 40).

Ma anche loro hanno la tradizione rabbinica che l’amore del prossimo è "il grande principio della Torah" (Rabbi Akiva), perché, avendo Dio creato l’uomo a sua immagine, ciò che è fatto a qualsiasi persona è come se fosse fatto a Dio stesso.

Abbiamo poi lo stesso comando: "E amerai il prossimo tuo come te stesso" (Lv 19, 18). E il Talmud chiede, proprio come Gesù: "Come il Signore veste i nudi, come ha fatto con Adamo, così tu vestirai i nudi; come il Signore visita i malati, come ha fatto con Abramo, così tu visiterai i malati; come il Signore consola gli afflitti, come ha fatto con Isacco, così tu consolerai gli afflitti; come il Signore seppellisce i morti come ha fatto con Mosé, così tu seppellirai i morti" (Talmud di Babilonia – Trattato Sota 14a).

L’amore al prossimo poi, se è vissuto da più, diventa reciproco. E qui è il cuore del pensiero di Gesù, che ci dà un comando nuovo e tutto suo: "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri" (Gv 13, 34).

Ma se ci si ama così con questo amore, il Vangelo ci assicura che Cristo è in mezzo a noi: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18, 20).

La maggior parte degli studiosi sostiene che questo versetto è basato su una tradizione giudaica. Infatti sempre nei Detti dei Padri si dice: "Se due sono insieme e le parole fra loro sono della Torah allora la Shekhinah – la dimora divina – è in mezzo a loro" (Mishnà Avot 3, 2).

Centrale per noi è il mistero di Gesù in croce che grida, usando la parole del Salmo 22, "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mt 27, 46)

Si crede che Egli abbia sofferto, assieme a tutte le altre atrocità della croce, anche l’abbandono del Padre, con cui era uno, al fine di ricomporre l’unità degli uomini con Dio e fra loro, spezzata dal peccato.

Mi ha commosso ciò che scrive un ebreo contemporaneo, recentemente scomparso, riguardo al Salmo 22.

"Quale migliore personificazione si può trovare per il popolo ebreo, di questo povero Rabbi di Nazareth?"2.

Questo autore ebreo vede in quel grido di Gesù anche e soprattutto i dolori della Shoah, e dice: ""Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" non è soltanto il Salmo di David e una parola di Gesù sulla croce, ma, direi quasi, il leitmotiv di coloro che furono deportati ad Auschwitz e Maidanek". E continua: "Non è questo rabbino, che muore dissanguato sulla croce, l’autentica incarnazione del suo popolo sofferente, troppe volte ucciso sulla croce di quell’odio antiebraico, che noi pure abbiamo dovuto sperimentare nella nostra giovinezza?"3.

L’abisso della sofferenza e del sentirsi abbandonati da Dio viene espresso con l’idea del nascondimento del volto di Dio. Martin Buber, dopo la Shoah, parlava di "eclissi di Dio".

È di poche settimane fa il documento della chiesa cattolica sulla Shoah, che vuole essere soprattutto un monito pressante a non dimenticare un crimine così inaudito e a liberarsi una volta per tutte dalle scorie dell’antigiudaismo che hanno inquinato per secoli i rapporti fra ebrei e cristiani.

Eppure quel dolore indicibile della Shoah e di tutte le più recenti sanguinose persecuzioni non può non portare frutto. Noi vogliamo condividerlo con voi, perché non sia un abisso che ci separa, ma un ponte che ci unisce. E che diventi un seme di unità. Sì, di unità!

Questa è la parola riassuntiva della nostra spiritualità, come lo è dei desideri di Gesù nel suo testamento: "Che tutti siano uno" (cf Gv 17, 21).

E l’unità è sentita fortemente anche dal Popolo ebraico. Il famoso filosofo Heschel scrive: "L’unità di Dio è il fondamento dell’unità di Dio con tutte le cose. Egli è uno in se stesso e vuol farsi uno con il mondo... L’unità di Dio ha a cuore l’unità del mondo"4.

Questi i punti basilari della nostra spiritualità. E questi sono aspetti della loro tradizione ebraica simili ai nostri anche se non sempre identici.

Meditandoli un po’ possiamo pensare un attimo davanti a Dio: che Egli voglia fra noi un cammino comune, mano nella mano, per dire a tutti che Egli ci ha fatti fratelli, per testimoniare al mondo, oggi materializzato, secolarizzato, edonista, la meravigliosa avventura di vite spese perché il Suo nome sia annunciato, la fede in Lui rafforzata, i valori da Lui sottolineati: valori di pace, di solidarietà, di difesa dei diritti umani, di libertà, di giustizia, ecc., ripristinati? Che il Signore ci ispiri. Intanto, una cosa è certa: oggi ci siamo incontrati e ciò è gaudio grande per me, per i membri del Movimento presenti e spero anche per loro.

Chiara Lubich

 

 

1 F. Whaling, Christian Theology and World Religions: A Global Approach, London 1986, p. 130-131.

2 P. Lapide, in H. Küng - P. Lapide, Jesus im Widerstreit: Ein jüdisch-christlicher Dialog, cit. da H. Waldenfels in Gesù crocifisso e le grandi Religioni, Napoli 1987, p. 35.

3 Ibid.

4 A. Heschel, L’uomo non è solo: Una filosofia della religione, Milano 1987, p. 124.