Dialogo con i lettori

Quale posto
per l’anziano?

In vista dell’anno dell’anziano che sarà indetto dall’ONU nel 1999, il «Movimento Umanità Nuova» ha tenuto un congresso a Rimini nello scorso mese di aprile sul tema: «Una società per tutte le età: la persona anziana, risorsa per un mondo unito». In questa occasione Chiara Lubich ha inviato un messaggio che risponde esattamente alla sua domanda. Ecco quanto ha detto:

«È una bella cosa diventare anziani e vivere poi da anziani?

Mia madre, che è partita per il Cielo a 94 anni, affermava che a lei è stata riservata l’anzianità perché aveva assistito in maniera intensa ed un po’ speciale, anche al posto della sorella che non poteva, i suoi genitori. Ripeteva, infatti, quanto Dio ci ha comandato nella Legge Antica (e Gesù ha ripreso in Mt 15, 59): “Onora tuo padre e tua madre, affinché la tua vita sia lunga e tu sii felice...” (cf Dt 5, 16).

Dunque, dobbiamo pensare che se il Signore dà come premio di un comportamento lodevole verso i propri genitori, una vita lunga, significa che diventare anziani è un bene.

E lo è certamente, anche semplicemente perché si vive una sola volta e se la vita è un dono, più lunga essa è più grande è il dono.

Tuttavia, a volte, la volontà di Dio può offrire una vita breve. Se in essa però si raggiunge la sapienza del cuore, è già vita lunga. Così è stato per santa Teresa del Bambino Gesù che ha vissuto poco più di vent’anni. Ma aveva già vissuto a lungo perché aveva raggiunto la meta: pur essendo “piccola”, anche per l’infanzia spirituale che l’animava, era già matura per la sapienza del cuore.

Una vita lunga serve a sviluppare negli animi la saggezza, la sapienza, l’esperienza per sé e per molti.

Mio padre diceva sempre: “Col tempo si sistemano molte cose”. Non avrebbe potuto esprimere questa sua saggia convinzione, se non avesse avuto tempo nella vita: morì a 74 anni.

Ma io ho conosciuto molte persone anziane e due sono quelle che più mi hanno colpito: Igino Giordani, di cui si parla in questo congresso, e il Patriarca Ecumenico Athenagoras I.

Incontrai quest’ultimo una decina di volte per importanti colloqui che interessavano la chiesa, l’ecumenismo ed il nostro Movimento. Ma ciò che più impressionava era la sua persona. Certamente a nessuno veniva in mente che fosse anziano, anche se la sua lunga barba bianca lo poteva dimostrare.

Era un carismatico e ciò dà di per sé una giovinezza perenne. Ed era saggio, un saggio nella mente e nel cuore, perché anche il cuore ardeva degli ideali che lo struggevano, come arrivare un giorno a celebrare con il Santo Padre nell’unico calice. Sembrava un profeta e lo era.

Grazie a Dio per questi anziani che tornano a far apprezzare la vita dell’uomo e della donna da una certa età in su! E questo è costume generale in Oriente, mentre in Occidente ciò è obliato a danno della civiltà.

In Asia e pure in Africa gli anziani sono non solo rispettati, ma venerati, ascoltati, obbediti, perché – lo si riconosce – hanno la sapienza.

Ma ci si può chiedere: a che serve la vita dell’anziano quando essa è ridotta a ben poco, nel periodo terminale?

Occorre ricordare che la vita dell’uomo non si limita al periodo che egli passa sulla terra. Essa continua e può approdare alla gioia del Paradiso, se la persona è ben accetta a Dio e purificata dalle sue colpe.

Per questo, anziché affrontare quell’invenzione della misericordia di Dio, che è il Purgatorio, dolorosissimo spesso, meglio iniziarlo quaggiù (dove è meno duro ed è meritevole) attraverso le pene che in genere la vecchiaia porta con sé fino al momento dell’incontro col Padre.

Naturalmente occorre la fede per ragionare in questo modo. Ma ciò che essa ci dice è la verità.

Qualche volta si domanda anche a me come sono arrivata a 77 anni e come mai, anziché una diminuzione di attività, se ne vede un crescendo.

La mia risposta è questa: dipende dallo stile di vita che, con l’aiuto di Dio, ho cercato e cerco d’impormi. È vita evangelica, è seguire i comandi e i consigli di Gesù, il cui giogo è sempre leggero e soave (cf Mt 11, 30).

Per questa vita la tristezza, le angustie, i problemi non ci fanno soccombere. San Pietro, anziano, raccomanda agli anziani, pastori del gregge, di gettare ogni preoccupazione in Dio, perché egli ha cura di noi (cf 1 Pt 5, 7) e ciò dà sollievo perché carica un Altro dei nostri pesi.

Non si crederebbe: ma è proprio facendo nostro il principio di san Paolo: “Non conosco altro se non Gesù Cristo, e questi crocifisso” (cf 1 Cor 2, 2), il che significa preferire il dolore, la fatica della virtù a tutto il resto, che si trova la pienezza della vita. Perché è proprio chi si butta in braccio alla croce che trova l’amore e l’amore è la gioia».

Chiara Lubich