Così ho realizzato il mio cammino vocazionale nell’arte

 

Il filo d’oro nella vita di un’artista

di Liliana Cosi

 

 

A Roma, durante il Congresso europeo sulle vocazioni, la ballerina Liliana Cosi, internazionalmente nota per la sua arte, è stata invitata a raccontare l’esperienza della sua vocazione di persona consacrata a Dio. Siamo lieti di farla conoscere ai nostri lettori per la sua originalità e attualità.

S

ono milanese e all’età di nove anni ho iniziato gli studi presso la Scuola di ballo del Teatro alla Scala.

In famiglia non si parlava mai di religione, né la si praticava, però ci si voleva tutti bene: mi sembra di poter dire che si viveva il “tutti per uno e l’uno per tutti”.

Come tutti i bambini di allora ho frequentato il catechismo per la prima comunione e per la cresima. Poi più nulla.

Alla Scala l’ambiente ha rivelato subito tutti i suoi lati anche negativi, ma per fortuna raccontavo tutto a mia madre e lei mi seguiva da vicino.

Il debutto

Il mio debutto sul grande palcoscenico scaligero avvenne quello stesso primo anno nei panni di un chierichetto nel IV atto del Parsifal di Wagner. Ore piccole, lunghe prove con i grandi registi, la scuola di balletto e quella di cultura. Le lezioni di danza mi appassionavano sempre di più, riuscivo bene e mi buttavo senza riserve, senza mai sentire stanchezza, nonostante le raccomandazioni materne.

Dopo otto anni di studio mi sono diplomata come migliore allieva e subito sono stata assunta nel corpo di ballo della Scala. Anche se amavo così tanto ballare non ho mai pensato alla carriera. Ricordo la prima volta che, a dodici anni, ho ascoltato la musica del Il atto del “Lago dei Cigni” di Ciaikovskij: mi sono trovata tutta commossa, senza però sognare di esserne un giorno l’interprete.

Un incontro inatteso

Verso i sedici anni mi è capitato casualmente tra le mani un libro molto al di fuori dei miei interessi abituali, ma che mi ha subito attirato: I dialoghi della divina Provvidenza di santa Caterina da Siena. Ho letto quel libro tutto d’un fiato superando la difficoltà del linguaggio. Man mano che lo leggevo mi si stampava dentro in maniera forte un’idea: se Dio fosse davvero esistito, bisognava fare come Caterina, dargli tutto!

Ho letto allora la sua vita per sapere come lei aveva fatto. Ho cominciato a inventarmi delle piccole penitenze. Ho letto anche L’imitazione di Cristo.

In teatro evitavo le compagnie, passando così per superba, e in casa ero triste, tanto che mia madre ha cominciato a dirmi che quella carriera non era per me. Iniziavo pure a subire ingiustizie e così via. In realtà ero serena solo durante le lezioni di balletto.

Avevo cominciato a passare più spesso in chiesa e lì, davanti al tabernacolo, mi sentivo bene, non avevo più problemi, ma appena fuori tutto tornava uguale.

A nessuno dissi di questo mio travaglio, ma certo non davo l’impressione di una persona felice, mentre avevo letto in san Paolo che la divisa del cristiano è la gioia.

Negli anni seguenti avvicinai l’ordine di san Francesco; pensavo di farmi terziaria. Poi il Movimento di Gioventù Studentesca. Poi il gruppo di Russia Cristiana. Si stavano infatti aprendo i primi scambi culturali tra il Teatro Bolshoi di Mosca e il Teatro alla Scala di Milano e fui inviata a Mosca per un corso di perfezionamento di balletto.

Una strada dritta verso il Cielo

Nel frattempo ebbi il coraggio di aprirmi ad un sacerdote per chiedergli i segni inconfondibili di una vocazione, di una chiamata, e mi fu risposto saggiamente che, quando Dio chiama, non lascia dubbi, fa capire senza incertezze; le prove sarebbero venute dopo. Questo mi mise finalmente tranquilla.

Dopo il primo stage a Mosca, durante il quale, a contatto con un ambiente così artisticamente e professionalmente qualificato, mi si era riaccesa la passione per la danza a quel livello, volli fare gli studi anche a Parigi.

Di ritorno dalla Francia mi venne l’improvvisa idea di passare per Lourdes; non ci avevo mai pensato prima. Vi restai tre giorni da sola, a seguito di vari gruppi, per far tutte le pratiche d’uso: processioni, via crucis, bagno. Facevo tutto con devozione ma senza particolare trasporto. Si consigliava di baciare la terra prima di partire e, nel preciso istante in cui mi chinavo per fare anche questo, ebbi una sensazione chiara: sopra alla mia testa c’era una strada dritta verso il Cielo e quella strada era Maria.

Tutta di Dio

Fui sorpresa, ma senza capire altro e non ci pensai più. Dopo pochi giorni a Milano, proprio vicino alla mia casa, ho incontrato il Focolare.

Alla focolarina che mi aprì la porta e alla quale dovevo consegnare un pacchetto, domandai subito chi fossero e cosa facessero. Mi rispose semplicemente e senza preamboli: «Cerchiamo di vedere Gesù nel prossimo».

Questa frase rivoluzionò la mia vita.

Già amavo Gesù, ma solo nel tabernacolo in chiesa. Ora proprio lo stesso Gesù potevo scoprirlo e amarlo in tutti. Ovunque e sempre, in autobus, in casa, in teatro: Gesù, Gesù, Gesù. Non ero mai stata così felice e ad ogni incontro ero tanto gioiosa che cominciai a ricevere qualche domanda di matrimonio, ma ormai avevo trovato: il mio cuore era pieno.

Mi è stato subito chiaro che solo frequentando più spesso il focolare avrei potuto mantenere viva quell’ottica soprannaturale. E vi andavo appena potevo.

Lì scoprii anche che Gesù va amato sotto ogni dolore, mio o degli altri. Una volta feci di questo un’esperienza così forte, che non potei più dubitare. Così la gioia aumentava: nulla mi avrebbe più separato da Lui.

Un giorno ho ascoltato una registrazione dalla viva voce della fondatrice del Movimento, Chiara Lubich, che parlava dell’improvvisa sua chiamata a consacrarsi a Dio e di tutto quello che ne era seguito. Lì ebbi finalmente la certezza che quella era la mia strada. Avevo anch’io 23 anni, come lei allora. Sarei anch’io entrata in focolare, lasciando subito, senza rincrescimento, la famiglia, il balletto e tutta la mia vita precedente.

Rimanendo nel mondo dell’arte

Le cose invece andarono un po’ diversamente. Ero di nuovo in partenza per Mosca, per un altro corso di perfezionamento, e Chiara, dopo essersi consultata con l’assistente ecclesiastico del Movimento, volle invece lasciarmi nel mio lavoro, ma da vera madre mandò con me una delle sue prime compagne, per aiutarmi a vivere tutta intera la spiritualità dell’unità, il suo carisma, che volevo seguire.

Così ho ripreso il mio lavoro non più per mia passione, ma come volontà di Dio, che in quel momento era l’unica chance per dirgli il mio amore, dato che «non chi dice Signore, Signore – ha detto Gesù – ma chi fa la volontà del Padre mio è mio discepolo»; allora andava fatta benissimo.

Mi sentivo come circondata da fuochi, che non facevano altro che aumentare il mio desiderio di darmi tutta a Dio, qualunque cosa facessi.

La maestra russa di balletto era per me Gesù da amare e obbedire: mi diceva nel concreto la Sua volontà.

I mali fisici, legati alla stessa professione e al tipo di studio più impegnativo, e l’incontro con i propri limiti furono occasioni per amare Gesù crocifisso e abbandonato, perché avevo appreso che in Lui c’erano tutti i dolori.

La compagna di Chiara, che condivideva con me tutta la giornata, dalla messa alle lezioni, alle prove, agli spettacoli in teatro, mi insegnava a vivere sempre più perfettamente l’unità e così cominciai ad assaporare i frutti della presenza di Gesù tra noi, che illuminava proprio tutto di luce nuova.

Quel periodo ha lasciato in me un marchio indelebile: cinque mesi che mi hanno preparato a tutta la vita futura, sia artistica che di cammino spirituale.

E proprio in quei cinque mesi si è delineata in maniera un po’ straordinaria e inequivocabile la mia carriera: infatti ho debuttato come prima ballerina nel “Lago dei Cigni” di Ciaikovskij al palazzo dei Congressi del Cremlino.

Alla luce della spiritualità dell’unità, persino nel ruolo che dovevo interpretare, imparai a scoprire valori nobili come l’amore puro, fedele, generoso.

Così potevo vivere la mia vocazione di sposa di Cristo anche da ballerina.

In quell’occasione il quotidiano Isvieztia, recensendo eccezionalmente l’avvenimento, scrisse che il mio modo di ballare era pieno di spiritualità, vocabolo mai apparso – era il 1965 – su quelle pagine.

Ballerina-étoile
e idillio con lo Sposo

In seguito a questo debutto si aprì la mia carriera all’interno del Teatro alla Scala, dove con gli anni raggiunsi la nomina di prima ballerina-étoile e poi fui chiamata come guest-artist un po’ in tutto il mondo e spesso ancora in Unione Sovietica, dove, nonostante andassi palesemente a messa tutti i giorni, mi amavano molto e continuavano ad invitarmi facendomi persino inaugurare una loro stagione del Bolshoi con tanto di inno nazionale.

Se devo dire qualcosa di quel periodo, di come vivevo la mia consacrazione e vocazione, posso dire che è stato un periodo di vero idillio con lo Sposo, Gesù crocifisso e abbandonato.

Non sono mancate le occasioni di dedicarmi tutta a Lui, pur dal centro di un palcoscenico o da un camerino mentre mi truccavo, o durante le prove, attraverso le mille invenzioni dell’amore di Dio per me, gli improvvisi mali fisici anche gravi, i rapporti con persone difficili, e così via.

Alla spontanea domanda che a volte mi veniva sulle labbra: «Ma perché, Gesù?» subito affiorava la risposta: non ho scelto di fare la ballerina, ma di essere Sua sposa. E tutto mi si ricolmava in pienezza di Lui. E tutto si risolveva, forse quasi miracolosamente.

L’arte nella sua vera luce

Mi rendo conto che cercare di vivere il più pienamente e coscientemente possibile la Sua volontà nel mio campo artistico, mi ha sviluppato doti e sensibilità che non avrei mai immaginato di avere e mi ha illuminato di nuovissima luce l’arte, forse così come Dio l’ha pensata quando l’ha regalata all’umanità.

Alcune intuizioni di Chiara Lubich sull’argomento mi si sono rivelate come nuove strade per l’arte e per gli artisti oggi, investendoli di una dignità insperata, quasi fossero un misterioso e dolce piano inclinato per aiutarci a rivolgere lo sguardo verso il Cielo.

Mi permetto di citare due brevi concetti di Chiara: «E mi parve – ella scrive – che l’arte assurgesse a un’altezza mai pensata e il bello fosse come il vero e come il buono, materia prima del regno celeste che ci attende e che gli artisti veri avessero, senza saperlo, una missione apostolica».

E ancora: «L’artista è forse il più vicino al santo. Perché, se il santo è tal portento che sa donare Dio al mondo, l’artista dona, in certo modo, la creatura più bella della terra: l’anima umana».

E allora anche il grido di un artista-profeta come lo scrittore russo Dostojevski può essere capito nella sua giusta luce: «La bellezza salverà il mondo». O addirittura l’intuizione di una personalità complessa come Emil Cloran s’illumina di vero quando scrive: «Ogni vera musica è sgorgata dalle lacrime, nata com’è dal rimpianto del Paradiso».

Le scelte necessarie

Ma oggi, alle soglie del duemila, come vivo la mia vocazione nell’arte?

Senz’altro ho dovuto fare delle scelte, cercando sempre di seguire Dio, e non di precederlo, per non fare qualcosa a mia misura, ma nel tentativo di scoprire pian piano e attuare il suo disegno.

Le proposte degli impresari e della direzione artistica della Scala non potevano più essere accettate, soprattutto nelle nuove produzioni artistiche. Capivo che per continuare a ballare avrei dovuto relegarmi nel repertorio classico di tradizione. Ma dove allora l’arte nuova che si sognava?

Invece verso il 1975 incontri improvvisi e provvidenziali con altri artisti mi hanno dischiuso strade nuove. Artisti per i quali l’arte non era sinonimo di carriera, di soldi, di fama, ma la possibilità di creare nuove armonie da donare all’umanità. II primo tra questi fu il primo ballerino e coreografo rumeno ortodosso Marinel Stefanescu..

Così si è dato vita ad una Associazione culturale per il balletto, privata, libera da pressioni e interessi politici o di parte. Sono vent’anni che esistiamo e resistiamo nel mondo dello spettacolo, decisamente contro corrente. La sede l’abbiamo trovata in un ampio edificio a Reggio Emilia, città del centro-nord d’Italia. Abbiamo creato più di una ventina di nuove produzioni, su base classica ma con temi nuovi di portata universale, raramente trattati nel balletto.

Rappresentiamo circa 70 spettacoli in tutta l’Italia, in Europa. Siamo stati anche in America, due volte in Vaticano, ma anche nella Cina Popolare; così a Kioto in un tempio buddista e alle Nazioni Unite, in Libano dopo la guerra e in Romania appena dopo la rivoluzione e così via.

Più passano gli anni e più i frutti sono evidenti. Il pubblico, le persone sono felici di una gioia profonda, forse affascinate da qualcosa di bello visto nello spettacolo ma simile ad una aspirazione che riscoprono dentro di sé.

E perfino i giovani e i giovanissimi si entusiasmano fino a fare il tifo e all’uscita mi è capitato di sentirli canticchiare felici le melodie più belle.

Parallelamente abbiamo fondato una Scuola di balletto professionale per ragazzi dai dieci ai vent’anni per preparare i futuri artisti. Vengono ospitati nei nostri convitti per aiutarli e sostenerli in questo difficile studio, per formare tutta la loro personalità, perché un artista dovrà essere sempre un educatore del pubblico...

A molti visitatori è uscita spontanea questa espressione: «Ma questa è una scuola di vita!».

Ho realizzato la mia chiamata?

E la mia vita spirituale in tutta questa attività?

L’Opera di Maria – questo è il nome ufficiale del Movimento dei focolari – mi ha fatto da madre e Maria resta il mio modello preferito, in tutti gli aspetti della sua vita. Vivo con altre focolarine, quindi ho la possibilità, se vivo perfettamente l’unità, di dar vita tutto il giorno alla presenza di Gesù fra noi.

Spesso poi mi chiamano a parlare della mia esperienza nei più svariati ambienti: dalle carceri alle università, dai seminari alle organizazioni giovanili o a convegni dai più vasti interessi culturali, dandomi così la possibilità di cantare le Sue lodi.

Di Maria ciò che più mi attrae è il suo essere nulla: un nulla, un vuoto tale da attirare in sé Dio. L’eucaristia ha nella mia vita il posto centrale: ogni giorno mi nutre di Cristo e opera la mia trasformazione in Lui.

La danza mi aiuta, attraverso il dominio più perfetto possibile di tutto se stessi, richiesto dal duro allenamento quotidiano ma vissuto per gli altri, a donare un po’ di profumo di Dio, a mostrare agli altri un po’ di bellezza, di fantasia, di gioia, di armonia, a ricordare a tutti le realtà che ci attendono: la gloria di Dio, il Paradiso nel quale tutto e ogni cosa sarà vestita di bellezza. Lassù tutto senza fatica, quaggiù col sudore del corpo e dell’anima. Ma ne vale certamente la pena.

Liliana Cosi

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Per maggiori informazioni ci si può rivolgere all’Associazione Balletto Classico con sede in Via Bernini 17, 42100 Reggio Emilia (Italia), tel. 0522/517234