Flash di vita

 

«Ho capito che c’è
un amore più grande»

Il panorama delle carceri è molto vario a seconda dei luoghi, ma ovunque mette a nudo le piaghe della società: droga, povertà, situazioni famigliari irregolari o fatiscenti, sottocultura, ecc. In genere il mondo circostante chiude i rapporti ed emargina le vittime di questi mali e chi è stato in carcere raramente trova la possibilità di un regolare reinserimento nel mondo del lavoro. Don Calogero Calanni, parroco nella provincia di Messina in Sicilia, Italia, si è impegnato anche nella pastorale carceraria.

Mai avevo immaginato di lavorare in questo campo e l’impatto è stato difficile. Iniziai nel 1993 con l’impegno di vedere in ogni carcerato non un miserabile da compatire, ma il volto del Cristo sofferente. Quando andavo a trovarli, lasciavo da parte tutte le altre mie preoccupazioni e prendevo sul serio ogni persona, dandole tutta l’attenzione e tutto il tempo necessario per ascoltarla fino in fondo. Ho costatato che l’amore disinteressato pian piano scioglie il gelo dei cuori e ciascuno comunica i suoi dolori, gli sbagli, i bisogni e cerca aiuto per mettere ordine dentro di sé e nei rapporti con gli altri.

I primi passi concreti li ho fatti nelle piccole cose, dando una notizia ai familiari, interessandomi nel seguire la loro situazione giudiziaria affinché potessero usufruire dei benefici previsti dalla legge. In questo lavoro il telefono spesso è stato uno strumento prezioso per costruire ponti e per accogliere le difficoltà, la solitudine e i dolori vissuti nell’altra sponda, nella famiglia del carcerato. Ciò mi facilita nel capire la drammaticità di certe situazioni e la varietà dei caratteri delle persone.

Per accompagnare le pratiche dei singoli carcerati, è stato necessario creare rapporti con i responsabili dei tribunali di sorveglianza e con il personale della polizia penitenziaria che segue in loco sia la vigilanza sia tutte le pratiche d’ufficio che i detenuti presentano. Cerco anche di mantenere vivi i rapporti con il direttore del carcere, perché tutto sia fatto in piena collaborazione con l’équipe che promuove il ricupero dei detenuti: l’educatore, l’assistente sociale e tutto il personale.

Amare i detenuti significa anche andare incontro ai loro bisogni materiali, fornendo vestiti, oggetti per la pulizia personale, biglietti ferroviari per le visite a casa... Spesso, dopo questi semplici servizi fatti per amore, i detenuti cominciano ad acquistare fiducia e aprono il loro cuore, comunicando le più intime sofferenze. È aperta così la strada per donare, come balsamo, la Parola di Dio, invitandoli a sperimentare l’efficacia del vangelo nel quotidiano.

È commovente vederli alla domenica in atteggiamento di profondo ascolto durante la celebrazione eucaristica. Coloro che vi partecipano dimostrano una grande sete della Verità. La maggior parte, provenendo da situazioni familiari difficili, hanno ricevuto solo il battesimo, ma non hanno avuto una preparazione per accostarsi ai sacramenti della cresima, della confessione e dell’eucaristia. Diversi di loro chiedono di fare un corso di catechesi per diventare cristiani a pieno titolo.

Ultimamente quattro di loro erano già pronti per ricevere i sacramenti. Ho invitato il vescovo per la cresima e insieme ad un gruppo di volontari abbiamo preparato una vera festa con la partecipazione di numerosi detenuti.

Un sacerdote venuto ad aiutarmi per le confessioni, alla fine mi ha detto: «Grazie! Sono state confessioni non formali ma vere. Ti sono grato per questo momento di Dio che mi hai dato occasione di vivere». Il vescovo, accolto con tanto calore, era stupito per l’attenzione alla liturgia e mi confidava: «Se avessimo questo tipo di ascolto nelle parrocchie, la vita cristiana cambierebbe». E uno della polizia penitenziaria: «Nel vedere come questi giovani si sono avvicinati a Dio, mi sono commosso».

Alcune persone delle comunità parrocchiali vicine avevano preparato per l’occasione dei dolci affinché si sentissero pensati e amati. Sui loro volti infatti si leggeva un forte senso di pace, di gioia e, a volte, anche di commozione.

Altri detenuti hanno chiesto al vescovo di voler ricevere anche loro la cresima e la prima eucaristia. Sei di loro hanno già iniziato il corso di preparazione. Luce chiama luce. Le comunità vicine stanno riscoprendo questo luogo di purificazione e vengono a gruppi per trascorrere qualche ora con i detenuti.

Tante situazioni difficili e disordinate si stanno risolvendo. Un immigrato che, scontata la pena, rischiava il rimpatrio, è stato accompagnato negli uffici competenti e con l’aiuto di un legale ha risolto positivamente la sua situazione. La gioia di questo giovane era indescrivibile. È già passato qualche anno ed egli viene ancora a trovarmi.

Un giorno un figlioletto di un detenuto doveva essere ricoverato in ospedale per un intervento chirurgico, ma non voleva farlo senza la presenza del padre. Sono riuscito a far avere il permesso e il giorno stabilito il papà poteva stare accanto al bambino. Un altro, ritornato in libertà, ha voluto continuare i contatti ed ora sta regolarizzando la sua situazione matrimoniale.

Ultimamente, insieme ai volontari, abbiamo portato a termine la preparazione di altri quattro giovani alla cresima. I corsi preparatori si rivelano momenti preziosi per far conoscere l’amore di Dio rivelatosi in Gesù e per far gustare una vita differente, quella vissuta ponendo in pratica le parole del vangelo.

Ogni tanto ci giungono messaggi che esprimono riconoscenza per quello che cerchiamo di fare per loro. Nel giorno di pasqua mi è stato consegnato questo biglietto: «Se non fossi sposato e non avessi figli, mi consacrerei a Cristo come hai fatto tu, perché ho capito che c’è un amore più grande... Fuori o dentro queste mura vi sarò sempre riconoscente e mai più mi discosterò da questa vita di purezza. La mia era un’anima tinta di sporco e voi mi avete saputo dare il giusto candido esempio di come ci si può purificare, seminando amore e pace. Non lo dimenticherò mai». E si firmava: «Una pecorella smarrita che ha ritrovato la via del credo».

 

Calogero Calanni