«A lui hai dato un cuore d’oro e a me la possibilità di essere strumento di dialogo nella mia terra»

 

Buddisti dal cuore d’oro

di Mary Joseph Bertha

 

 

 

Il Myanmar – nome attuale della Birmania – è un paese prevalentemente buddista. I cattolici, pur essendo in buon numero rispetto agli altri paesi dell’Asia del sud (circa mezzo milione su 50 milioni di abitanti), si trovano immersi in una società buddista con tradizioni molto radicate. Suor Mary Joseph Bertha della Congregazione di San Francesco Saverio, che è nata e vive in questo ambiente, ci racconta la sua esperienza di dialogo con i buddisti.

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 in dalla mia infanzia ho imparato che dobbiamo vivere in armonia con i nostri vicini buddisti ma, allo stesso tempo, avevamo molti pregiudizi nei loro confronti. In effetti, nella mia famiglia soffrivamo molto a causa di ciò.

Mio padre era buddista e, quando si è fatto cattolico, ha dovuto subire la perdita di tutti i suoi beni e i parenti gli hanno tolto la parola. Questa situazione continua ancora oggi. Egli ha sofferto tanto. Quando avevo quattro anni mi ricordo che l’ho visto piangere e ciò mi ha fatto molto male. Da quel giorno ho nutrito sentimenti di odio contro i buddisti e mi è stato sempre difficile avvicinarli e parlare con loro.

Poi mi sono consacrata a Dio e nonostante la mia chiamata ad amare e servire tutti per amore di Dio, non riuscivo a cancellare dal mio cuore dei sentimenti di rancore verso i buddisti.

È possibile amare tutti?

Circa 20 anni fa ho conosciuto la spiritualità dell’unità e subito ho cercato di metterla in pratica nella comunità, cercando di farmi strumento di unità fra le mie sorelle.

Poco tempo dopo, nel 1977, Chiara riceve a Londra il premio Templeton per il progresso della religione e della pace. Lei, subito dopo la consegna del premio, rimane colpita dal saluto che le porgono alcuni capi di religioni non cristiane, presenti alla cerimonia. Vede in questo un segno di Dio per l’apertura alle altre religioni. Da lì prende vita nel Movimento dei focolari il dialogo interreligioso. Al ritorno da Londra, Chiara comunica subito alle religiose, presenti al Centro Mariapoli per il loro raduno annuale, questa nuova realtà e mette nel loro cuore, come una consegna, un amore nuovo per le grandi religioni.

Con il passare del tempo la spiritualità dell’unità comincia ad aprire il mio cuore e quello di molte altre suore ad una nuova dimensione di amore che include tutti, anche coloro che appartengono ad una fede non cristiana.

Nel 1985 mi è data l’opportunità di trascorrere un lungo periodo a Villa Achillia, la scuola di formazione alla spiritualità dell’unità, che il Movimento dei focolari ha organizzato per le religiose a Grottaferrata, presso Roma.

Una svolta importante

Le meditazioni di Chiara su l’amore verso il prossimo e l’amore reciproco mi cambiano dentro, in profondità. Se voglio vivere davvero l’unità devo cominciare ad amare i miei fratelli buddisti, ma anche fare in modo che l’amore diventi reciproco. Nel mio cuore decido di cercarli in ogni angolo, ad ogni passo, facendo tutto il possibile perché questo scopo sia raggiunto.

Tornando in Myanmar la prima cosa che faccio è quella di recarmi al monastero delle suore buddiste: converso con loro, faccio fotografie, cerco di far sentire loro tutto il mio amore.

Arriviamo ad un rapporto bello e profondo, che nel tempo si rafforza sempre di più.

In seguito ho l’occasione di restare per circa tre anni nel centro di spiritualità per le religiose nella cittadella di Tagaytay, nelle Filippine. Questa cittadella si trova nel cuore dell’Asia. La sua caratteristica è di promuovere e sviluppare il dialogo interreligioso fra i fedeli di varie religioni presenti nel nostro continente, cominciando da quelle persone che, nei vari paesi in cui il Movimento è presente, sono arrivate a conoscere la spiritualità dell’unità. Il mio soggiorno lì è un periodo di molte grazie. Assimilando il pensiero del Movimento sul dialogo e frequentando i corsi di buddismo e di altre religioni orientali nella scuola sorta a Tagaytay, capisco gli insegnamenti del Vaticano II e in particolare il documento Ad Gentes, dove si parla dei “semi del Verbo” presenti in tutte le altre religioni (cf AG 11, 11).

Mi rendo conto che il mio cuore deve abbracciare tutti e che soltanto un amore così, capace di dialogare con tutti, può fare di me una cristiana autentica.

Quando sono arrivata in Myanmar dopo Tagaytay, sono stata eletta superiora generale della mia congregazione e lo sono tuttora. È una grossa responsabilità, ma sento che è Gesù che mi chiama per dare alle mie sorelle tutto l’amore e la sapienza che ho ricevuto dalla spiritualità dell’unità e per comunicare loro anche questo nuovo amore che ho imparato a mettere in pratica verso i buddisti. Sento che non è facile, ma ci provo nonostante tutto.

Un dialogo fatto di cose concrete

Oggi la maggioranza degli amici, che io e le mie suore abbiamo, sono monache, monaci e laici buddisti di ogni classe sociale: funzionari governativi, direttori, dottori, infermieri, commercianti, alunni, agricoltori, poveri, ammalati, orfani e barboni.

Racconto uno dei tanti episodi. Due sorelline, che vivono in una capanna vicino ad un cimitero buddista, aiutano il padre a spingere un barile che contiene l’acqua da portare in giro per venderla nelle varie case. Nel loro percorso ogni giorno passano davanti a casa nostra. A volte abbiamo visto le due ragazze molto affaticate, perché il padre è ammalato e loro sono molto giovani. Le abbiamo incontrate per la prima volta quando avevano una sette anni e l’altra nove, ed erano magre e patite, con i vestiti strappati e rammendati. Quando abbiamo cercato di parlare con loro erano intimidite. Dopo averle avvicinate con gesti concreti di affetto, offrendo abiti e cibo, siamo diventate amiche.

Una volta i loro genitori ci hanno inviato tre crisantemi “per il nostro Dio”, hanno detto. Un’altra volta hanno portato, dietro suggerimento della mamma, una tazza di caffè e una busta di plastica con dei dolcetti. Per noi è stato l’espressione del loro amore.

Molti nostri amici buddisti portano i loro malati all’ospedale di Panthein, la cittadina in cui risiediamo. Siccome non sono facilmente accettati, abbiamo messo a disposizione due suore per le necessità dei malati poveri provenienti dai villaggi. Vengono accolti più facilmente se le suore li accompagnano da medici amici. Se devono ricoverarsi per un’operazione li forniamo di cibo. Ed essi ci ricambiano, dimostrando la loro gratitudine con ortaggi e legumi.

Una sera molto tardi, a gennaio di quest’anno, ritornando dal seminario minore dove avevo partecipato ad una cena in onore del nostro delegato apostolico, inavvertitamente ho pestato un cane che dormiva sui gradini davanti alla mia camera, e lui mi ha dato un morso. Il sangue scorreva dalla ferita e ci siamo spaventate. Due delle novizie, che sono infermiere, accorse immediatamente, mi hanno medicata.

L’indomani è venuto subito il nostro medico di famiglia che è buddista. Dopo avergli spiegato l’accaduto, gli ho chiesto se c’era bisogno di iniezioni antirabbiche. Ha riflettuto e sorridendo mi ha risposto che, se fosse successo a lui sicuramente le avrebbe fatte. Allora gli ho detto di procedere. Lui ha replicato, con mia grande sorpresa, che era pronto anche a dare la vita per me perché sapeva che non solo le suore, ma molti orfani e poveri contano sul mio aiuto. Continuò esprimendo il suo grande rispetto e ammirazione per coloro che donano la vita per gli altri con grande amore e coraggio.

Sono rimasta meravigliata di questo complimento che veniva da un buddista. Ho detto subito in cuor mio: «Grazie Gesù! Sei tu che hai dato a lui un cuore d’oro e a me la possibilità di essere strumento di dialogo e unità nella mia terra».

Mary Joseph Bertha