«Un giorno arriverà il dono dell’unità visibile, quando avremo costruito tra noi una vera convivenza fraterna»

 

Dal dialogo alla convivenza

di Albert Rauch

 

 

L’autore dell’articolo, dottore in teologia e conoscitore di numerose lingue, è direttore, insieme al dr. Nikolaus Wyrwoll, dell’Istituto per le Chiese Orientali di Regensburg (vedi la scheda a pag. 163). Da più di trent’anni coltiva i contatti con le chiese orientali, guadagnandosi la loro stima e costruendo ponti tra Oriente ed Occidente. Qui ci racconta qualcosa della sua esperienza.

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egli anni in cui studiavo teologia a Roma era molto vivo nell’ambiente di lingua tedesca l’interesse per il rinnovamento liturgico. Per arrivare ad una conoscenza approfondita dei fondamenti teologici della liturgia, si cercava di conoscere i riti e le forme liturgiche orientali, attraverso i vari collegi e monasteri delle chiese orientali unite alla chiesa romana e presenti a Roma.

In quegli anni un contatto diretto con le chiese ortodosse quasi non esisteva, anzi, nel periodo preconciliare non era ben visto.

Nel 1960 io e il dr. Niklaus Wyrwoll – col quale da allora sono legato in questo servizio per i rapporti con le chiese ortodosse – passammo due mesi in Grecia. Qui incontrammo parecchie persone: professori, sacerdoti, catechisti, che avevano studiato in Germania ma, con nostra sorpresa, tutti avevano frequentato solo facoltà protestanti, perché allora non era possibile sostenere un esame in una facoltà cattolica senza aver fatto prima il giuramento antimodernista e la professione di fede nel primato del papa.

Al nostro ritorno ne parlammo col cardinal Lorenz Jäger di Paderborn, noto fautore dell’unità dei cristiani. Questi interessò il cardinale Ottaviani e nel 1962 il Segretariato per l’unità dei cristiani chiamò me e il dr. Wyrwoll, mostrandoci una lettera di Ottaviani che dispensava gli studenti ortodossi che volessero frequentare le nostre università dal giuramento antimodernista. Wirwol fu incaricato di far conoscere ufficialmente la nuova disposizione alle chiese ortodosse, che l’accolsero con molta soddisfazione.

In seguito in seno alla conferenza episcopale tedesca nacque la segreteria ecumenica per le chiese orientali. Seguì una serie di incontri col patriarca Atenagora ed anche con i responsabili della chiesa bulgara e serba, e via via con le altre chiese ortodosse e con le antiche chiese orientali.

In uno dei primi incontri con Atenagora il vescovo di Regensburg, Rudolf Graber, offrendo proposte concrete di collaborazione, fra l’altro disse: «A piccoli passi possiamo avvicinarci alla grande meta dell’unità».

Il patriarca, accettando con gioia le nostre proposte, aggiunse: «Andiamo verso la grande meta a piccoli passi, ma che non siano troppo piccoli. I tempi non lo permettono e la carità di Cristo è venuta su di noi con una grande pentecoste».

Il cammino di collaborazione andò avanti. La conferenza episcopale tedesca metteva a disposizione delle borse di studio e gli studenti ortodossi cominciavano ad affluire a Regensburg. La loro esperienza molto positiva portò alla nascita dell’Istituto per le chiese orientali con sede sempre a Regensburg.

Nel frattempo si intensificavano i contatti, facendo emergere sempre nuovamente che le due chiese dell’Oriente e dell’Occidente hanno le loro radici nella chiesa una e, anche se i vari sviluppi nella storia, nelle diverse culture e nazioni hanno contribuito ad accrescere fraintendimenti e contrasti, quest’unità di fondo è stata conservata.

Perciò ben presto – soprattutto con il Vaticano II – non si parlò più di “chiese separate” e di “fratelli separati”, ma di coloro con i quali siamo “in comunione non ancora piena”. Da allora è in uso tra ortodossi e cattolici l’espressione di “chiese sorelle”.

L’apertura del Vaticano II

A questa nuova comprensione nella chiesa cattolica aveva contribuito proprio il concilio Vaticano II. Esso avevo allargato e approfondito la vecchia visione della chiesa come “congregatio fidelium”, sottolineandone invece il mysterium: «La chiesa è in Cristo come un sacramento (mysterium) o segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (LG 1).

Prima del Vaticano II si faceva notare alla chiesa cattolica romana di sottolineare troppo la sua struttura visibile ed esterna e l’accento posto sul rapporto stretto delle chiese particolari col papa.

La nuova visione di chiesa come “mistero d’unità” fra Dio e tutto il creato è stata preparata per decenni attraverso il rinnovamento del pensiero filosofico e teologico. Quest’ultimo a sua volta è stato influenzato in modo decisivo da teologi ortodossi, soprattutto russi, dell’ultimo secolo. I contenuti centrali della dottrina della conciliarietà (Sobornost) di Chomjakov e dei suoi discepoli sono entrati nel pensiero cattolico. Si vedeva la chiesa nuovamente come koinonia, come communio: l’appartenenza ad essa è molto di più dell’essere un “membro iscritto”, significa essere in quella comunione celeste e terrestre in Cristo, che è opera dello Spirito Santo.

L’ecclesiologia eucaristica di N. Afanasiev e dei suoi discepoli viene in parte citata quasi verbalmente nei documenti conciliari.

In più non bisogna dimenticare la presenza e la collaborazione attiva degli osservatori ortodossi nel Vaticano II.

In vari documenti conciliari si sottolinea esplicitamente che le chiese dell’Oriente hanno un grande compito per la chiesa universale: «La chiesa cattolica ha in grande stima le istituzioni, i riti liturgici, le tradizioni ecclesiastiche e la disciplina della vita ecclesiastica delle chiese orientali. In esse infatti, essendo illustri di veneranda antichità, risplende la tradizione apostolica tramandata dai Padri, che costituisce parte del patrimonio divinamente rivelato e indiviso della chiesa universale» (OE 1).

Questa visione d’insieme dell’intera economia di salvezza è rimasta particolarmente viva nella tradizione orientale. Abbiamo potuto sperimentare come i fedeli ortodossi partecipano attivamente – interiormente ed esteriormente – alla liturgia, soprattutto nella Grande Quaresima e nei giorni prima di Pasqua. Essi piangono nella Settimana Santa per il Signore sofferente e morente, sono in lutto per il Signore morto, ed esultano di gioia interiore quando suonano le campane di Pasqua e ci si scambia il saluto pasquale.

La Sacra Scrittura, i testi liturgici e l’agire liturgico sono visti, con gli occhi di Dio, per il quale il passato, il presente e il futuro sono uno nell’eterno presente. La liturgia terrestre non è solo l’icona di quella celeste, ma ambedue sono intimamente legate tra loro.

L’influsso dei teologi orientali

I grandi teologi cattolici del concilio, che solo nella loro vecchiaia – con la nomina al cardinalato di H. de Lubac, J. Daniélou, Y. Congar, H. U. von Balthasar da parte di Giovanni Paolo II – ricevettero un giusto riconoscimento, spesso ricordano l’influsso decisivo che hanno ricevuto attraverso la lettura di pensatori ortodossi.

La dottrina della “sapienza creata” e della “creazione nuova” – che è allo stesso tempo la creazione originaria, e che si manifesta innanzi tutto nei libri sapienzali della Sacra Scrittura – attraverso i grandi pensatori ortodossi russi come Solov’ev, Florenskij, Bulgakov, ha avuto un influsso sulla nuova visione di chiesa ed ha apportato un arricchimento al pensiero occidentale.

Tale dottrina è pure la ragione della grande venerazione di Maria nell’Oriente, perché in lei la sapienza creata, la sophia, appare nella sua realizzazione umana più bella e più pura.

Le speranze

Durante la celebrazione liturgica d’apertura del convegno di Graz il cielo era coperto di nuvole nere, che preannunciavano imminente un grosso temporale. Invece, come per incanto, le nuvole scomparivano e di colpo appariva nel cielo un grande arcobaleno, visibile a tutti. Un segno di speranza?

Senza voler nascondere le difficoltà, a tutti ben note, devo dire che per me sono molto significativi alcuni avvenimenti:

– Per i discorsi ufficiali di apertura era stata invitata anche Chiara Lubich. Essa parlava di un nuovo periodo nel dialogo ecumenico, di un ecumenismo della vita, di un ecumenismo spirituale, e riceveva un applauso straordinario. Aldo Giordano, segretario del Consiglio delle conferenze episcopali europee, parlava in questo contesto di un “salto di qualità”, in atto ora nel movimento ecumenico: dalle discussioni teologiche senza fine e da una diplomazia ecclesiastica di mutuo rispetto si sta passando ad una vita concreta d’unità.

– Il card. M. Vlk, nel ricevimento ufficiale dei delegati a Graz, parlava di un “grande ecumenismo”, che ora emerge sempre di più: oikoumene significa infatti “tutto il mondo abitato”. Niente e nessuno viene escluso: rappresentanti di altre confessioni e religioni, ma anche i lontani e pur sempre vicini a quel Dio che tutti ama senza limiti. Infatti l’opera salvifica di Cristo, il “primogenito di tutta la creazione”, non esclude nessuno. Per questo l’ecumenismo fra i cristiani diventa ancora più importante e urgente.

– E per ciò che mi riguarda più personalmente, ricordo che il patriarca Atenagora aveva dato all’Istituto per le chiese orientali il motto: symbiosis - convivenza. Ormai da più di 40 anni viviamo qui sotto lo stesso tetto con giovani teologi ortodossi: preghiamo insieme e impariamo l’uno dall’altro. Sebbene non sia ancora possibile concelebrare nell’unico calice per rispettare con pazienza che i tempi maturino per tutti, abbiamo però quotidianamente tante possibilità di comunione nel servizio reciproco. Un giorno arriverà il dono dell’unità visibile, quando avremo costruito tra le chiese una vera convivenza fraterna.

In questo contesto ancora un piccolo episodio finale. Uno degli ex-borsisti del nostro Istituto, l’arcivescovo ortodosso russo T. Galinski, durante una serata fra amici in un’atmosfera molto fraterna, alzava il suo bicchiere e brindava: «Allora, alla fine del dialogo!». Ovviamente eravamo tutti un po’ imbarazzati; ma lui continuava: «E all’inizio della convivenza!».

Certamente le due cose non si escludono, ma in futuro il baricentro sarà la “vita in unità”, che fa parte dell’autentico “ecumenismo spirituale”. Per questo ecumenismo ci sono ogni giorno mille possibilità e tutti possono metterlo in atto.

 

Albert Rauch