La diversità dei doni
per costruire la comunione

 

«La chiesa è stata fondata, originariamente, sulla vita comune. (...) La chiesa, appena nata, ha iniziato la sua infanzia con la vita comune. Sono stati infatti gli stessi Apostoli a dare l’esempio di come si pratica la vita comune (...) Questi uomini così importanti (...) hanno preso a praticarla per ispirazione dello Spirito Santo (...) e ce l’hanno tramandata perché la continuassimo, così che pur stando sulla terra, copiando la vita comune degli angeli di Dio possiamo essere assimilati ad essi (...)».

Così inizia il Sermo 15 di Baldovino, monaco cistercense e abate dell’abbazia di Ford, poi vescovo di Worcester e arcivescovo di Canterbury, morto nel 1190.

Egli parte da un fatto storico: la chiesa è stata fondata sugli Apostoli, e questi praticavano la vita comune. Le prime comunità cristiane praticavano una certa vita comune e la comunione dei beni (Tertulliano dirà che i cristiani, al di fuori del vincolo coniugale, avevano tutto in comune). È chiaro, dice, che «la vita comune è stata istituita secondo un modello celeste, portata giù dal cielo, passata a noi dalla celestiale e intima convivenza dei santi angeli. Ma se per una buona raccomandazione della vita comune è poco dire che l’abbiamo ricevuta dagli Apostoli e questi dagli angeli, c’è qualcos’altro che si può aggiungere per lodarla in modo adeguato: la vita comune è sgorgata dalla stessa Fonte della vita (...). Il Padre non ha infatti una vita sua propria, neppure il Figlio, e neppure lo Spirito Santo: questi tre sono una sola vita; e allo stesso modo che una sola è la loro comune essenza e la loro comune natura, una sola è anche la loro vita comune».

Il testo si estende per oltre 800 righe, una più bella e saporosa dell’altra, un canto all’Amore originale di cui si sviscerano tutti i contenuti con estrema semplicità di linguaggio. Se Dio è carità, dice, allora Dio non è solo, perché «la carità non può non amare, così come il fuoco non può non ardere».

 

Ma qui ci interessa toccare un punto che ha una portata sociale ed ecumenica, in quanto la vita trinitaria è vista esplicitamente come il modello di ogni rapporto umano, intuizione abbastanza rara fino ai tempi nostri.

Nel Sermone precedente, il 14°, Baldovino aveva scritto: «L’unità della vita sociale è figura e prende significato da quella superna Società dove, grazie alla comunione di amore, tutto ciò che è peculiare delle singole Persone è comune a tutte». Nel Sermone 15° aggiunge che gli angeli realizzano quella gioiosissima e beatissima società di cittadini celesti che vivono in comunione, ed è «a quella loro intima comunione che noi, che ancora siamo sulla terra, dobbiamo ispirarci nei nostri rapporti reciproci».

Non è così ingenuo, Baldovino, da non capire che quella intima e continua comunione, per noi, non è facile. Dopo aver affermato che esiste una comunione di natura, una di grazia e una di gloria, fa subito notare che la comunione di natura non è disgiunta da una comunione di colpa e di inimicizia, motivo per cui «i rapporti interpersonali della nostra viziata natura in cui tutti ci troviamo – soggetti come siamo al peccato e destinati alla morte – ci impongono tre obblighi: di avere la carità, di essere umili e di essere misericordiosi verso gli altri» perché, oltre al comandamento dell’amore datoci dall’autorità di Dio e dal suo esempio, «vi siamo costretti dalla stessa natura che abbiamo in comune; per cui, dato che abbiamo coscienza della nostra comune limitatezza, è necessario che ci comportiamo umilmente e che siamo misericordiosi gli uni verso gli altri. E non deve succedere che l’orgoglio porti divisione fra coloro che sono sullo stesso piano per un’unica situazione di infermità. In realtà, non sa neppure amare se stesso chi pensa di poter disprezzare nel prossimo la natura che ha in comune, e viola il diritto sociale chi non rispetta la comune natura nel prossimo». La diversità è nella cultura, ma ogni cultura è una ricchezza diversa.

 

Questi testi mi tornavano in mente durante la preparazione e lo svolgimento a Graz della seconda assemblea europea delle chiese cristiane: partire dalla coscienza della comune natura, rispettarsi gli uni gli altri sapendo, come aveva intuito Baldovino di Ford, che ogni chiesa (e ogni cultura) ha i suoi doni, e che «la diversità dei doni raggiunge la comunione in due modi: quando i doni specifici dati agli uni e agli altri diventano proprietà comune grazie alla comunione d’amore, e quando per amore della comunione vengono amati da tutti assieme. Poiché in certo qual modo la grazia è comune tanto a chi ce l’ha quanto a chi non l’ha se, colui che la possiede, la possiede per l’altro comunicandogliela, e colui che non la possiede la possiede nell’altro perché lo ama».

A Graz, tanto il cardinal Martini quanto il cardinal Vlk hanno parlato della necessaria riconciliazone tra le chiese, di sentirci unico popolo di Dio. Chiara Lubich vi è stata invitata per parlare di una possibile spiritualità ecumenica: «Sarà autentico cristiano della riconciliazione – ha detto – chi sa amare gli altri con la stessa carità di Dio, che fa vedere Gesù in ognuno, che è destinata a tutti, che prende sempre l’iniziativa, che fa amare ognuno come sé, che si fa uno con i fratelli e le sorelle»; chi sa non fermarsi al trauma della divisione ma, vedendo in esso un aspetto dell’abbandono di Gesù in croce, sa andare al di là e colmarlo d’amore.

È stata infatti definita spiritualità ecumenica, quella offerta da Chiara Lubich a Graz, perché già felicemente sperimentata tanto da generare un ecumenismo di popolo. È ecumenica, sì, perché trinitaria. E vivendola si raggiungerebbe quella unità ecclesiale e sociale e interreligiosa che sarebbe l’attuazione vissuta in terra di quella «superna Società – direbbe Baldovino – dove, grazie allla comunione di amore, ciò che è peculiare dei singoli diventa comune a tutti».

Silvano Cola