Aspetti della vita di una scuola di comunione

 

Una scuola del vangelo vissuto

a cura di Bart Benats

 

Sulle colline verdi di Tagaytay nei pressi di Manila (Filippine) sorge una cittadella del Movimento dei focolari. Al suo interno è nata nel 1982 su richiesta di numerosi vescovi asiatici la Scuola Epi che ha accolto in questi anni centinaia di seminaristi e sacerdoti. Questa scuola di formazione è divenuta un punto di riferimento per tanti. Abbiamo chiesto a Joel R. Castillo di raccontarci che “formazione” avviene qui e che cosa ha significato per lui vivere questa esperienza.

«Un anno per Gesù»

GEN’S: Perché un seminarista decide di passare un periodo alla Scuola Epi? Cosa imparate qui?

Questo periodo che trascorriamo insieme lo abbiamo chiamato «un anno per Gesù». Col permesso dei nostri vescovi lasciamo la diocesi e veniamo a Tagaytay per formarci ad una vita d’unità. Qui impariamo una cosa fondamentale: ci alleniamo nel mettere in pratica il comandamento nuovo di Gesù: «Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato». Non si tratta dunque di buoni propositi o di un vago sentimentalismo, ma di quell’amore che spinse Gesù a dare la sua vita per noi.

L’amore reciproco tra i partecipanti avvera le parole di Gesù: «Dove due o più sono riuniti nel mio nome lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18, 20). Per questo la scuola si chiama “Epi” che vuol dire Epifania: chi va a visitarla dovrebbe trovarvi Gesù, come i re magi quando arrivarono a Betlemme, e chi vi abita desidera imparare a vivere in comunione come gli apostoli attorno al Maestro.

L’amore ci sprona perciò a mettere in comune i nostri beni materiali e spirituali; ci fa andare al di là delle barriere culturali, poiché veniamo da diverse regioni e paesi asiatici; e ci fa sperimentare la gioia di lavorare insieme nel costruire una vera famiglia fra noi e con gli altri. Cerchiamo di costruire fin d’ora quel presbiterio, in cui tutti cercano di essere un cuor solo e un’anima sola attorno al vescovo.

Tanti di noi fanno una nuova scoperta di Dio-Amore. Una realtà così forte e luminosa che cambia i nostri schemi mentali e anche le nostre aspirazioni più nobili come il sacerdozio, e rivoluziona la nostra vita. Fra noi è comune sentir dire dopo un po’ di tempo: «Prima di venire qui avevo tanti ideali: il sacerdozio, l’apostolato, lo sport, ecc., ma ora ho capito che innanzitutto devo scegliere Dio». Oppure frasi di questo tipo: «Mi sembrava che tutto andasse bene nel mio piccolo mondo, ma mi sono accorto che non sono ancora un vero cristiano, perché non avevo messo Dio al primo posto».

GEN’S: Come gli altri seminaristi vedono il fatto che lasciate per un anno il seminario?

Uno dei frutti della vita alla nostra scuola è il suo influsso nei diversi seminari. Nonostante le difficoltà dei trasporti, facciamo dei viaggi lunghi e faticosi per poter visitare coloro che sono in contatto con noi nelle diverse isole e che desiderano condividere la nostra esperienza. Spesso gli incaricati per la formazione ci invitano a ritornare per predicare gli esercizi spirituali.

Raccontiamo la nostra vita, ma soprattutto cerchiamo di testimoniare con i fatti la presenza di Gesù fra noi. I discorsi danno qualche luce, ma ciò che tocca profondamente il cuore di ognuno è la testimonianza di un’autentica fraternità. Per quei seminaristi che manifestano interesse per una vita d’unità organizziamo poi incontri estivi, dove per alcuni giorni si vive insieme e si scambiano esperienze. Il cardinale Vidal di Cebu, inviando la sua benedizione ad uno di questi incontri, ci ha scritto: «È così con l’amore di Dio: una volta sperimentato, vuoi condividerlo subito con gli altri».

GEN’S: Accenavi ai rapporti coi forma-
tori...

Un momento importante e significativo è il convegno annuale dei rettori e padri spirituali dei seminari dell’Asia che si svolge a Tagaytay sotto la guida della Federazione delle conferenze episcopali asiatiche. Veniamo in contatto con loro in vari modi, dall’animazione liturgica alla presentazione dell’esperienza della nostra scuola. Molti rimangono colpiti non tanto dalle nostre idee sulla formazione – che in fondo si trovano tutte nel vangelo – ma dalla vita che nasce da una spiritualità di comunione che porta all’unità.

Dopo uno di questi incontri il vescovo Lobo del Pakistan, responsabile per la formazione dei seminaristi nel suo Paese, ha commentato: «Le vostre esperienze mi hanno fatto ricordare quella frase del Vangelo: “Padre, la tua Parola è verità; consacrali nella verità” (Gv 17, 17)». Molti vescovi ci invitano ad andare nei loro seminari per portarvi questo stile di vita. Altri mandano alla scuola sacerdotale dei loro seminaristi ed alcuni di loro tornano a visitarci personalmente.

Dialogo con musulmani e buddisti

GEN’S: La cittadella di Tagaytay si caratterizza per il dialogo interreligioso. Anche voi avete l’occasione di approfondire questo aspetto?

Facendo parte del Movimento dei focolari, che porta avanti un proficuo dialogo con le altre religioni non cristiane, abbiamo potuto incontrare giovani di altre fedi.

I membri della Risho-Kosei-Kai, un movimento buddista laico del Giappone, vengono spesso a Tagaytay per uno scambio di esperienze, ma soprattutto per trascorrere alcuni giorni nella cittadella. Abbiamo costatato la bellezza di questo dialogo basato sull’amore scambievole.

In un altro momento abbiamo avuto un incontro con alcuni giovani musulmani provenienti dall’isola di Mindanao nel sud delle Filippine. Sono nostri fratelli che, se non fosse per la povertà e il problema della guerra, non li avremmo mai conosciuti. Alla fine di una bellissima giornata trascorsa insieme abbiamo celebrato la messa, mentre loro si raccoglievano in preghiera in un locale vicino alla nostra cappella. Pur distinti nel modo di adorare Dio, ci sembrava di essere avvolti dalla stessa realtà: Dio in mezzo a noi. Quel giorno è stato l’inizio di altri contatti. Con tutti questi giovani di altre religioni qualcosa abbiamo in comune: una gioia mai sperimentata prima e una spinta a costruire insieme un mondo unito.

Aperti alle necessità altrui

GEN’S: Avete dei contatti con la gente del posto? Assumete qualche impegno pastorale?

L’esperienza della grandezza dell’amore di Dio per noi ci lancia ad andare incontro  alle famiglie, in genere molto povere, dei villaggi vicini. Ogni sabato facciamo per i bambini il catechismo, insegnando non solo a conoscere ma anche a mettere in pratica nel quotidiano la Parola di Dio. E il giorno dopo durante la messa, alla quale partecipano anche i genitori, facciamo raccontare le loro piccole esperienze sulla Parola vissuta. È una catechesi molto vivace, che ha generato una piccola comunità che fa ricordare la vita dei primi cristiani.

Per dei giovani del posto che non possono frequentare l’università per motivi economici, abbiamo offerto delle borse di studio, nate dai contributi di tutti durante un nostro convegno. Ma l’aiuto più grande e più importante non è quello economico, bensì la formazione cristiana che viene dalla Parola vissuta.

Alcuni anni fa durante il Natale abbiamo organizzato un programma serale per loro e i giovani hanno collaborato con generosità. Dio ci ha mandato tanta provvidenza di vestiti, cibi, giocatoli, e – con grande sorpresa di tutti – ci siamo visti arrivare due grandi scatole di mele, un frutto che qui non si produce. L’abbiamo condiviso con i giovani del posto ed è stato motivo di grande gioia. Ed anche loro, pur nella povertà, hanno messo in comune quel poco che hanno. Questo è ormai il nostro Natale, non più nel consumismo o nell’attesa di ricevere doni, ma nella gioia di donare e poi contemplare i volti raggianti di questi fratelli poveri ma dignitosi.

In questi ultimi cinque anni il nostro Paese è stato devastato da diverse calamità: terremoti, diluvi, eruzione di un vulcano che ha distrutto migliaia di case e centinaia di vite. Di fronte a questi fenomeni constatiamo quanto sia vero che tutto passa e resta solo Dio. Questa realtà dolorosa, anziché paralizzarci, ci ha spinti ad investire la nostra vita nell’amare concretamente il nostro popolo. Non ci bastava sentire la compassione davanti alla TV; ci siamo lanciati a fare qualcosa per loro. Dopo un terremoto, per esempio, siamo andati a donare sangue alla Croce Rossa.

Con la gente del vulcano Pinatubo abbiamo avuto delle belle e profonde esperienze. Dopo un nostro incontro di formazione e di aggiornamento, siamo andati a concluderlo nel luogo dove erano state allestite delle tende per i sinistrati, portando cibi, vestiti e altre cose necessarie. Abbiamo visto con i nostri occhi la desolazione: intere città e villaggi sotto la cenere e attorno gente che aveva perso, insieme a tutti i loro beni materiali, anche i loro cari.

Durante la messa celebrata con loro abbiamo fatto il patto di non rinchiuderci nel nostro dolore ma di essere pronti a dare la vita l’uno per l’altro. Siamo tornati sul posto per Natale, non solo per portare aiuti materiali, ma per metterci concretamente al loro servizio. A sera abbiamo organizzato un piccolo concerto con le nostre canzoni per riaccendere in tutti la speranza di un futuro migliore. In seguito tanti sono venuti a ringraziarci, per «la gioia che ci avete portato», commentava uno di loro. Alcuni di noi sono rimasti sul posto per trascorrere il Natale insieme a loro.

In una scuola di vita come la nostra un anno passa velocemente, ma ti lascia dentro un segno indelebile e la convinzione che vivere il vangelo è un’avventura che vale la pena sperimentare.

a cura di Bart Benats