Intervista ad Armando Bortolaso, un vescovo del Medio Oriente:

l’unità è sempre possibile

 

I gesti che creano comunione

a cura della redazione

 

La chiesa-comunione, sempre più affermata teologicamente, nella pratica la si costruisce soltanto attraverso gesti concreti. E questi sorgono da un convincimento personale, da una spiritualità comunionale vissuta, come mostra a chiare lettere quest’esperienza del vescovo Armando Bortolaso, vicario apostolico dei cattolici di rito latino in Siria, da noi intervistato a Roma nel febbraio scorso.

I cattolici latini

GEN’S: Quale la sua provenienza e il suo compito attuale in Siria?

Sono italiano, originario di Vicenza, e fin dal lontano 1947, quand’ero ancora un giovane chierico salesiano, partii per il Medio Oriente. Lì ho vissuto e svolto praticamente tutto il mio ministero.

Nel 1959, alcuni anni dopo l’ordinazione sacerdotale, andai ad Aleppo, dove noi salesiani avevamo allora una scuola professionale, poi nazionalizzata. Dopo una parentesi di quattro anni in Belgio per studiare sociologia e dottrina sociale della chiesa, fui destinato alla scuola salesiana di Nazaret dove restai 17 anni. Tornato nuovamente ad Aleppo nel 1986, lavorai per sei anni in mezzo alla gioventù del centro salesiano di questa città.

Quattro anni fa fui consacrato vescovo e nominato vicario apostolico per i cattolici di Siria di rito latino, con sede ad Aleppo. In quanto vicario apostolico devo dunque prendermi cura della comunità latina, piccola ma sparsa in tutto il territorio siriano. Sono coadiuvato nel mio lavoro da 42 religiosi (francescani, gesuiti, lazzaristi, salesiani, cappuccini e fratelli maristi) e da 203 religiose, che lavorano in 68 centri pastorali: parrocchie, centri catechistici, centri giovanili, ospedali, case per persone anziane, ecc.

I cristiani in un contesto islamico

GEN’S: Ci può descrivere con qualche pennellata la situazione generale dei cristiani?

Quando Gesù nacque sotto il governatorato di Quirino, prefetto della Siria, questo Paese aveva alle sue spalle una civiltà che contava più di tre millenni.

La Siria è ora un paese musulmano, ma anche uno dei centri più vivi del cristianesimo orientale. Qui San Paolo si convertì, visse per diversi anni e da qui partiva per i suoi viaggi apostolici, facendovi la base operativa per le sue imprese missionarie.

In alcuni villaggi siriani si parla ancora oggi l’aramaico, la lingua di Gesù. In Siria esistono alcuni importanti santuari cristiani, meta di pellegrinaggi, e i resti archeologici delle cosiddette «città morte» cristiane, testimoniano lo splendore della chiesa di Antiochia, dove per la prima volta i discepoli di Gesù furono chiamati cristiani.

Sotto gli Ommiadi, Damasco divenne capitale dell’impero arabo musulmano, nel quale anche i cristiani ebbero un ruolo attivo e importante.

La presenza cristiana in Siria, sempre significativa, ha accompagnato la storia di questa nazione fino ai nostri giorni.

Però oggi, anche se la popolazione cristiana è aumentata numericamente, la sua incidenza è in continuo calo. Questo declino è dovuto principalmente alla piaga dell’emigrazione che affligge le comunità cristiane.

Per i cristiani di Siria, la coesistenza pacifica con l’Islam è una realtà che si è affermata e consolidata nonostante le molteplici vicissitudini storiche e malgrado l’integrismo di data recente. Oggi, però, c’è insicurezza in alcune frange della minoranza cristiana.

Nonostante ciò, si può dire che tra cristiani e musulmani in Siria, intercorrono relazioni di buon vicinato. Anzi molti musulmani ricercano la presenza dei cristiani e la loro amicizia, anche se questi ultimi tendono talvolta a raggrupparsi in quartieri propri.

I rapporti fra le chiese

GEN’S: Ci potrebbe dire qualcosa sulle
chiese in Siria e sui diversi riti, e come sono i rapporti fra di loro?

I cristiani in Siria sono di varie chiese. Quelle orientali, cui appartiene il 70 per cento della popolazione cristiana, sono tre: greco-ortodossa, armeno-apostolico e siro-ortodossa. Poi c’è la chiesa cattolica. I riti cattolici sono sei: greco-cattolico (cioè bizantino) siro-cattolico (cioè antiocheno) armeno, maronita, caldeo e latino.

Dopo il Concilio di Calcedonia nel 451, si stagliarono in Siria due importanti comunità cristiane: quella siriaca che non accettò il Concilio a quel tempo (oggi si dice più per motivi politici e di linguaggio che teologici; ormai infatti siamo d’accordo che abbiamo la stessa cristologia) e si contrappose politicamente all’impero di Bisanzio, e quella bizantina che accettò invece il Concilio e rimase legata politicamente all’impero. Nel VI secolo nacque anche la comunità maronita. Gli altri riti (armeno, caldeo, latino) furono introdotti solo molto più tardi.

Le relazioni tra cattolici e ortodossi sono molto migliorate col rinnovamento apportato dallo spirito ecumenico. Ad Aleppo, per esempio, quasi ogni mese si incontrano i vescovi delle varie comunità cattoliche e ortodosse, per intrattenersi su problemi comuni o semplicemente per prendere insieme un caffè.

In passato ci sono stati degli screzi fra queste chiese diverse ma sorelle, specialmente a causa del proselitismo dovuto alla mentalità dell’epoca. Per cui, se per esempio un cristiano ortodosso diventava cattolico, ciò creava delle difficoltà, dei risentimenti che poi si protraevano nel tempo. Oggi per fortuna aumentano i contatti, la conoscenza reciproca e i rapporti fraterni. Le cose, dunque, migliorano e si cerca sempre più di superare i pregiudizi e sanare le ferite del passato.

Comunione fra cattolici

GEN’S: La chiesa cattolica ha preso nuova coscienza dell’importanza dei riti, che esprimono il modo secolare di incarnare il vangelo in una determinata cultura. Anzi, tanti vedono in un rapporto armonioso fra essi, un’anticipazione di ciò che potrebbe essere in futuro l’unità quando ci sarà la piena comunione fra le chiese, con una legittima diversità all’interno della stessa fede apostolica. Com’è vissuta oggi nel vostro Paese la diversità dei riti nell’ambito cattolico?

Effettivamente il rito, di per sé, rappresenta una ricchezza per la comunità cristiana, a patto naturalmente che non venga assolutizzato, che non prenda un’enfasi indebita attraverso campanilismi etnici o religiosi, che creano divisione perché provengono più dalla debolezza umana che dal vangelo. I riti non sono una difficoltà nella misura in cui i cristiani orientali e occidentali prendono coscienza che prima sono cristiani e poi appartengono ad un determinato rito.

Perciò è molto importante moltiplicare i segni di unità fra i diversi riti. Ad esempio, i centri pastorali del vicariato latino, a cui facevo riferimento sopra, vogliono essere a servizio non soltanto dei cattolici latini, ma anche di tutti i cristiani orientali.

Quanto a me, vescovo latino che vive accanto a vescovi orientali, ho subito capito che la prima cosa da fare era di mettermi a loro servizio, cercando di rendermi utile e amandoli concretamente e disinteressatamente.

Un altro esempio. Nella città di Homs una comunità di suore latine, per mancanza di  personale, doveva lasciare l’opera che portavano avanti tanto bene. Come trovare un’altra comunità di religiose che prendesse il suo posto?

Invece di risolvere il problema da solo, domandai il consiglio e l’aiuto degli altri due vescovi cattolici della città. Subito ci trovammo d’accordo sul da farsi: uno di loro scrisse una lettera ad alcune superiore provinciali, un altro parlò con una congregazione religiosa amica ed io pensai al lato economico e materiale. E così, appena la comunità di suore ebbe lasciato il convento, subentrò un’altra comunità, in perfetta armonia di intenti e con grande soddisfazione della popolazione per questo insperato risultato, frutto dell’unità tra vescovi cattolici di riti diversi.

Fino a poco tempo fa i vescovi cattolici del centro della Siria e del litorale non avevano l’abitudine di ritrovarsi insieme. Proposi loro di incontrarci di tanto in tanto per studiare i problemi pastorali comuni, cercando poi di risolverli insieme. La proposta piacque e adesso ci vediamo abbastanza spesso, animati da uno spirito di fraterna collaborazione. Passiamo assieme una mattinata e la concludiamo con un’agape fraterna. Ora tre di essi partecipano con me agl’incontri annuali dei vescovi amici del Movimento dei focolari a Castel Gandolfo, e anche un quarto vescovo desidera seguire il nostro esempio, trovando in questi incontri uno sprone a portare avanti la nostra vita di comunione.

Qualche giorno prima del Natale 1996 un vescovo cattolico mi domandò di tenere un ritiro ai suoi sacerdoti in preparazione della festa. Passammo insieme una fruttuosa giornata al Carmelo. Era veramente bello vedere il vescovo attorniato dal suo presbiterio in quel clima di unità fraterna che si era creata.

Attualmente una comunità è lacerata da una divisione profonda tra il vescovo e alcuni sacerdoti. Cerco di stare vicino a questo fratello nell’episcopato, condividendo questa sua sofferenza. A qualche suo sacerdote, che vive in questa divisione e che è venuto a chiedere consiglio, ho detto che l’unità è il bene più prezioso da salvaguardare ad ogni costo e gli ho ricordato il detto di sant’Ignazio di  Antiochia, che raccomandava ai preti di aderire al proprio vescovo come le corde alla cetra.

Ortodossi e dialogo della carità

GEN’S: E con i vescovi ortodossi?

Qualcosa di simile succede pure con loro: l’atmosfera generale delle relazioni tra la chiesa ortodossa e quella cattolica è molto migliorata. Gli atteggiamenti di diffidenza e d’animosità di un tempo hanno lasciato il posto al rispetto e alla mutua stima, e questo grazie al dialogo della carità e a una migliore conoscenza reciproca. Le chiese, che credono al dialogo ecumenico, hanno rinunciato per sempre ai vecchi sistemi del proseli-
tismo.

Da parte mia cerco di fare dei gesti concreti improntati alla comunione e alla solidarietà. Un vescovo ortodosso sta adesso costruendo una chiesa. Sono andato a trovarlo e gli ho dato un’offerta abbastanza consistente per finire la chiesa. Egli ne è rimasto contento, perché ha visto che era frutto di sacrifici e di  un amore sincero.

Adesso quando ci incontriamo ci scambiamo un abbraccio fraterno e caloroso ed egli coglie tutte le occasioni per parlare bene del vescovo latino.

Un altro vescovo ortodosso viene talvolta da me per chiedere un aiuto per qualche cristiano della sua comunità o per altri piccoli servizi. Cerco di accontentarlo. A volte ha bisogno di una traduzione urgente dall’arabo all’italiano per qualche conferenza che deve tenere durante incontri ecumenici in Italia. Allora, anche se ho molto lavoro, sposto tutto e, coll’aiuto dei miei collaboratori, cerco di fare nel migliore dei modi quanto richiesto.

Questi segni concreti di comunione cementano l’amicizia e valgono molto di più di tante belle parole sull’unità.

Anche un sacerdote ortodosso viene spesso da me a domandarmi oggetti religiosi da distribuire ai suoi cristiani durante le visite, o qualche colletto per il suo abito ecclesiastico.

Sono piccole cose, ma aiutano a costruire rapporti nuovi e più profondi fra noi. Posso dire che questo rapporto fraterno c’è anche con le comunità evangeliche.

Con i musulmani

GEN’S: Questo modo di agire riesce a stabilire dei buoni rapporti anche con i musulmani?

L’amore tocca il cuore di tutti, anche dei musulmani, che si mostrano sensibili e riconoscenti di fronte a gesti di bontà e di amicizia. Quando dalla vita dei cristiani affiora lo spirito del vangelo, questo è colto istintivamente ed è accettato e gradito anche dai non cristiani. Colpito dall’atteggiamento di un focolarino che lavora presso di lui, un signore musulmano mio amico venne un giorno da me e mi disse: «Non ho mai visto dei giovani cristiani vivere in questo modo. Puoi dirmi qual è il loro segreto?». Gli parlai allora del focolare e dello spirito d’unità che anima i suoi membri.

«Se le cose stanno così – fu il suo commento – piacerebbe anche a me e alla mia famiglia vivere da musulmani in questo modo».

Il mondo musulmano ha bisogno di una presenza cristiana profondamente evangelica: ha bisogno di luce e di amore. Il mio dovere di pastore è quello di non lasciar mancare questa presenza cristiana come lievito nella pasta.

Iniziative sociali

GEN’S: Come altrove anche da voi ci sono delle difficoltà di tipo socio-economico per molte persone. Cosa fate per andare loro incontro?

Un indice chiaro di tali difficoltà è l’emigrazione dei cristiani che lasciano il loro Paese in cerca di una migliore situazione economica all’estero, col risultato che i villaggi cristiani si stanno spopolando e la popolazione cristiana diminuisce.

Quelli che emigrano spesso si sposano all’estero e non ritornano più. Questo comporta dei problemi che vanno al di là dell’aspetto economico, ad esempio quello di una forte sproporzione tra il numero dei ragazzi e delle ragazze (si  calcola che in Siria tra i cristiani ci siano due donne per ogni uomo). Per cui è evidente l’importanza di far qualcosa dal punto di vista sociale, che freni l’esodo dei cristiani.

Abbiamo pensato allora di avviare diverse iniziative nello stile dell’economia di comunione. Ad esempio dei contadini sono venuti a dirmi che se il vicariato avesse costruito un caseificio, loro avrebbero potuto comperare delle mucche e con il latte e con le olive sarebbero riusciti a vivere. Questo progetto sarà pronto fra un paio di mesi e dovrebbe migliorare la situazione economica di tutta una vasta regione, dove ci sono diversi villaggi cristiani e musulmani. Ad Aleppo poi stiamo montando adesso due maglifici che potranno dare lavoro ad una cinquantina di famiglie.

In questo modo le persone riprendono speranza in un futuro migliore ed oltretutto fa loro piacere vedere la chiesa occuparsi non solo di cose spirituali, ma anche della loro vita materiale. La gente reagisce positivamente di fronte a queste iniziative e il consenso popolare è evidente.

Sono sorte delle opere sociali, per esempio dei centri di promozione in alcuni quartieri periferici di Aleppo, dove vivono famiglie con un livello culturale bassissimo dovuto alla mancanza di istruzione e ad una povertà generalizzata in tutti i sensi, anche morale. Abbiamo capito che senza una presenza stabile di alcune religiose sarebbe stato molto difficile trovare soluzioni efficaci. Per questo abbiamo chiesto alle suore salesiane se potevano mandare una comunità a stabilirsi lì e loro hanno aperto un laboratorio di cucito, prendendosi cura della gioventù, visitando le famiglie, portando tanto sollievo materiale e spirituale.

In un altro posto, in una città sul fiume Eufrate, non c’era nessuna religiosa. Allora ho scritto a madre Teresa di Calcutta, che mi ha mandato subito quattro suore, che adesso si occupano di malati terminali, di anziani abbandonati, ecc. Sono una grande testimonianza per tutti, pure per i non cristiani. Anche altre comunità di suore, già presenti nel territorio, si stanno sensibilizzando sempre più socialmente e promuovono iniziative concrete.

Con l’aiuto prezioso di benefattori stiamo coprendo la Siria di una rete di miniprogetti sociali di modo che non si dà più soltanto la formazione catechistica, ma si favorisce la promozione integrale specialmente in campo femminile, il più esposto ai pericoli dell’ambiente, attraverso l’alfabetizzazione, scuole per segretarie d’azienda, corsi di economia domestica e via dicendo.

Ci auguriamo che quest’apertura verso il sociale cresca sempre più tra le comunità cristiane di Siria, anche a livello dei responsabili delle chiese.

Una «cura di vangelo»

GEN’S: In sintesi, quali le sue priorità pastorali?

Faccio un esempio che forse vi può sorprendere. Sopra la mia scrivania ho una peluche di un tipico animaletto dell’Australia, che mi è stata regalata da un vescovo anglicano di quel Paese. Questi animaletti sono molto conosciuti per il fatto che si lasciano avvicinare facilmente dagli esseri umani e piace loro essere accarezzati. Quando vengono a trovarmi delle persone che, per qualche motivo, mi verrebbe spontaneo di strapazzare, facendo loro dei rimproveri, quel pupazzetto sta lì a ricordarmi che devo prima «accarezzare», perché il prossimo «va amato da morire», come chiede il vangelo; poi magari arriva anche il momento in cui puoi dire una parola nella verità. E questo porta spesso maggior frutto perché tutti noi, quando ci sentiamo amati, ci apriamo più facilmente a capire ed accettare la verità.

Anche in Siria ci sono tanti cristiani solo di nome ed hanno perciò bisogno di una cura di vangelo. Cercando di mettere queste basi di cristianesimo vivo nei nostri rapporti, vedo che Dio fa crescere la fede nelle nostre comunità.

Qualche mese fa è venuto da noi il famoso p. Emilien Tardiff del rinnovamento carismatico cattolico e, dopo aver parlato ai nostri cristiani, ci ha confidato: «Non ho trovato in nessuna parte del mondo una fede così vibrante come quella trovata qui ad Aleppo».

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