Segnaliamo

Radici bibliche della comunione

Un testo sulla «spiritualità collettiva»

 

Quando si parla di realtà in qualche modo nuove nel cristianesimo, ci si domanda sempre – per capire se provengono dallo Spirito – qual è il loro fondamento biblico. E questo fondamento lo si vuole trovare senza doversi «arrampicare sugli specchi» con argomenti arzigogolati o nessi forzati.

Perciò diventano utili e importanti dei testi, come questo che presentiamo del biblista Gérard Rossé, dove si mostrano con chiarezza e con limpida aderenza al dato biblico le radici giovannee della spiritualità «collettiva» o di comunione.

È vero che in ogni approccio alla Bibbia, come a qualunque altro testo, ciascuno è condizionato dalla propria cultura ed esperienza. È qualcosa d’inevitabile e, se in qualche caso ciò può fare da lente ideologica deformante, in altri, come nell’opera che presentiamo, risulta decisivo per riuscire a cogliere nel testo biblico dei risvolti, delle profondità, un filo logico, che ad altri passano inavvertiti.

L’opera è nata nell’alveo dell’esperienza del carisma dell’unità di Chiara Lubich, e degli studi che attorno a lei esperti nelle più diverse discipline stanno portando avanti per esplicitare le novità teoretiche e pratiche che quel carisma racchiude.

Uno dei servizi che può prestare una recensione è quello di offrire ai lettori una sintesi dei contenuti del testo analizzato. Cerchiamo di farlo entro i limiti che ci consente lo spazio, ben consci di non poter rendere conto di tutta la ricchezza di analisi e di significati offerti dall’autore.

Il primo capitolo costituisce, nella sua brevità, una rapida introduzione alla
cristologia. Risponde infatti a delle domande fondamentali come: Chi è il Cristo? Come si riconosce la sua divinità nel Vangelo giovanneo? In quale senso Gesù è spiegazione (esegesi) di Dio? Tuttavia, dato lo scopo del testo, tutto è finalizzato a mostrare che il Cristo ci svela Dio come comunità di Persone e ci fa partecipare alla vita trinitaria. Così conclude infatti il capitolo, sintetizzando i dati emersi dalla ricerca: «Gesù ha rivelato Dio come Comunione di Persone, muore per radunare gli uomini nell’unità. Egli non può certo proporre, a chi accoglie la sua Rivelazione, una spiritualità individualista! Se i dispersi radunati sono introdotti nell’intimità della Comunione divina, la spiritualità cristiana non può essere che una spiritualità di comunione, riflesso della spiritualità trinitaria. La vita di comunione che deve caratterizzare l’esistenza
cristiana ha il suo fondamento ultimo in Dio stesso, rivelatosi come Comunione di Persone» (p. 38).

Questa rivelazione di Dio come comunione di persone è quindi un invito ad entrare in tale comunione e aspetta una risposta nostra, cioè la fede.

Il secondo capitolo, perciò, potrebbe essere considerato un vero e proprio «trattatello» sulla fede. Lì ci viene mostrato, ad esempio, come per il Vangelo di Giovanni credere è un atto totale e personale di adesione a Cristo, un impegno che coinvolge tutta la nostra esistenza e comporta l’ascoltare, il convertirsi, il vedere/contemplare, il conoscere, il sapere, il fare, e quindi un cammino che deve superare anche delle prove e delle crisi. Mentre in questo Vangelo, curiosamente, il sostantivo fede è completamente assente, il verbo credere appare 96 volte, con tre tipi di significato: «credere che», «credere a», «credere in». Però, tornando all’obiettivo centrale del libro, quello a cui ci porta l’analisi della fede in Giovanni è che «la Rivelazione portata da Gesù si identifica non tanto con una comunicazione di verità, quanto nel fatto che egli comunica se stesso nella sua relazione con il Padre e invita l’uomo a entrare in tale intimità divina» (p. 41).

Passando al capitolo 3°, centrale non solo numericamente ma, a nostro avviso, anche nell’economia del testo, esso vuol mostrare come per Giovanni «credere ed amare non possono essere disgiunti» (p. 59). Questa è «l’impostazione d’insieme del Vangelo (di Giovanni): dalla fede all’amore fraterno... (che) si concretizza nella comunione dei discepoli attorno a Gesù» (p. 60). Per il credente «la realtà della Vita e della Luce è pienamente data nell’agápe. È nella vita dell’agápe che il credente conosce Dio e partecipa alla Sua Vita» (p. 61). Poiché Dio è Amore, credente è colui che ama, giacché soltanto l’amore può conoscere l’amore. L’agápe non è altro che la vita di Dio comunicata ai credenti. Perciò in un’autentica spiritualità di comunione, si vive lo stesso tipo d’amore (trinitario) che costituisce la vita di Dio.

L’autore può sorprenderci nel capitolo 4° con la sua affermazione che «Giovanni fa una distinzione precisa tra l’amore reciproco e l’unità». Infatti l’amore reciproco esiste anche in altre comunità, mentre l’unità di tipo trinitario è tipica del cristianesimo ed è la caratteristica divina della chiesa. La vita divina intratrinitaria è modello, fonte, luogo di ogni comunità, ma la nostra vita per essere «a mo’ della Trinità», implica un tipo di relazioni che hanno una qualità e un dinamismo propri che bisogna conoscere.

Ci verrebbe da commentare che è questa vita (ricordando GS 24) che «fa presente e quasi visibile Dio Padre e il suo Figlio incarnato»; ed è sempre una tale vita che ha fatto esclamare a Chiara Lubich, in perfetta sintonia con il «da questo vi riconosceranno» giovanneo, che la vita trinitaria vissuta fra di noi «costituisce la più forte testimonianza di Dio al mondo».

Il quinto e ultimo capitolo analizza la Prima lettera di Giovanni, e costituisce una conferma delle linee portanti emerse dal Vangelo.

L’autore nella conclusione del testo ha posto una citazione programmatica di sant’Agostino: «Se amerai il fratello che vedi, potrai contemporaneamente vedere Dio, poiché vedrai la carità stessa, e Dio abita nella carità».

E. C.

 

G. ROSSÉ, La spiritualità di comunione negli scritti giovannei, Città Nuova Ed., Roma 1996, pp. 126, L. 15.000.