Una spiritualità comunitaria che può contribuire a fare dell’umanità una famiglia

 

La spiritualità collettiva:
suoi punti cardine (II)

di Chiara Lubich

 

 

Questa conversazione, tenuta il 3 febbraio scorso ad un centinaio di vescovi e cardinali, è la logica continuazione di altre due già pubblicate in Gen’s, 2/95 e 1/96. Nel presente testo si pone in rilievo in altri sei punti cardine quel «di più» che caratterizza la spiritualità dell’unità, cioè la comunitarietà.

A

pprofondiamo ancora qualche
particolare della nostra spiritualità
dell’unità.

È da qualche anno che ci soffermiamo su di essa, considerandola personale e comunitaria insieme.

Ciò è stato occasionato dallo studio di qualche nostro esperto, il quale ha asserito non solo che una spiritualità di tal genere appare, praticamente, per la prima volta nella Chiesa, ma che essa esige un «di più» rispetto alle altre spiritualità, piuttosto individuali, e cioè la reciprocità e l’unità.

Per renderci conto di questo, abbiamo voluto esaminare, ad esempio l’anno scorso, uno ad uno i suoi cardini, per vedere se in essi fossero sempre presenti questi due elementi.

Fino a quest’anno, in tutto il Movimento, l’analisi ha interessato i suoi primi sei punti e ne siamo rimasti convinti.

Abbiamo costatato, infatti, che nel nostro modo di vivere la realtà di Dio Amore sono sempre presenti: la reciprocità e l’unità. Così come sono presenti nella nostra maniera di compiere la volontà di Dio, di amare il fratello, di vivere la Parola, di attuare il comandamento nuovo, di amare Gesù abbandonato chiave dell’unità.

L’unità

Cominciamo perciò ora a dire qualcosa sul settimo punto: l’unità. È esso un cardine fondamentale nella nostra spiritualità, perché esprime anche da solo ciò che lo Spirito vuole da noi.

In esso, anzi, è più che evidente il «di più» del nostro modo di vivere spiritualmente in confronto degli altri. Semplicemente perché nelle altre spiritualità prevalentemente individuali, non sempre coloro che le vivono sono coscienti di tendere, come a cosa essenziale, oltre che all’unità con Dio anche
all’unità con i fratelli.

L’unità invece esige il «di più» perché suppone almeno due in comunione.

L’unità è una grazia che Gesù ha chiesto al Padre: «Padre, che siano uno come io e te. Io in essi e tu in me, affinché siano uno» (Gv 17, 21). E, se è una grazia, non la si può procurare con i nostri sforzi. Dobbiamo solo disporci in modo da poterla ricevere: amandoci a vicenda come Gesù ci ha amato. E qui vorrei sottolineare che quel «come» significa: con la misura dell’abbandono. Gesù, infatti, ha amato così e fino a quel punto. Non basta, quindi, amarsi in qualche modo, ad esempio con una buona intesa fra amici, o con benevolenza; occorre quel distacco materiale e spirituale da ambo le parti, necessario per poter farsi uno reciprocamente. Così facendo, ci si pone nella miglior disposizione per ottenere la grazia dell’unità.

Indagando, anche per questo punto come abbiamo fatto precedentemente, nelle carte e nei documenti dei primi tempi, per osservare come il carisma ci istruiva sull’unità, e come la consideravamo, leggiamo ora qualche brano.

Scrivevo nel ’47:

«Fissatevi in mente una sola idea.
Fu sempre una sola idea a fare i grandi santi.
E la nostra idea è questa: UNITÀ»
1.

E ciò – aggiungo adesso – vale anche per il presente. In un’altra letterina del ’48 era scritto:

«Tutto cada. L’Unità mai!... (...).

Portate fra voi... sempre questo Fuoco acceso.

E non temete di morire. Già l’avete sperimentato che l’Unità esige la morte di tutti per dar la vita all’Uno! (...).

Fate questo come sacrosanto dovere, anche se vi porterà immensa gioia!

L’ha promessa Gesù la pienezza del gaudio a chi vive l’Unità! (...)»2.

L’unità, l’unità, aggiungo ora, e non certo per chiuderci, ma per poterci evangelicamente aprire.

Continua, infatti, la lettera:

«Facciamo dell’Unità fra noi, che ci dona la pienezza del gaudio, della pace, della forza, il trampolino per correre (...) dovunque non c’è unità e farla3.

E ancora:

«... finché tutti non sono Uno, Lui, non dobbiamo aver pace, aver tregua. Sempre sulla breccia, nella lotta contro noi e contro il male, nell’odio a Satana (e) al mondo. Ogni mancanza d’unità, che esiste attorno a noi, la dobbiamo sentire pesare sull’anima come grave responsabilità. Gesù (spesso) è nei cuori, ma sotterrato. Dobbiamo far noi – nell’unità più piena – tale Luce che, tutti ammaliati, La cerchino in sé, e La lascino risplendere»4.

Gesù fra noi

Ma ecco che si scopre subito che cosa offre l’unità. E qui passiamo all’ottavo punto: offre Gesù in mezzo a noi. Anche qui il «di più» è evidente. Occorre esser almeno in due per averLo fra noi e due uniti nel suo nome, cioè nel suo amore.

Gesù fra noi. È Lui la grazia che si ottiene nell’unità. Una super-grazia perché è lo stesso Gesù.

Gesù fra noi, infatti, è una sua direttiva da attuare («dove due o più...») ed è lo stesso Gesù che la dà.

Questa presenza di Gesù è di un’attualità sorprendente. Sappiamo, infatti, come ai nostri tempi sia spesso difficile parlare di Gesù perché è visto come realtà lontana, di duemila anni fa, superata, forse vecchia. Non è più chiaro che Gesù è tuttora vivo, che cammina con noi nella storia, Egli che ha promesso: «Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20). E ciò per l’ambiente secolarizzato, materialista, indifferente, che ha influito sulla stessa Chiesa.

Se noi poniamo invece Lui in mezzo a noi, ecco che molti Lo possono incontrare ora, duemila anni dopo.

Gesù in mezzo è effetto dell’unità. Lo scrivo in una pagina che dice la sorpresa per le prime scoperte, l’emozione e la gioia:

«L’Unità!

Ma chi potrà azzardarsi di parlare di lei? È ineffabile come Dio!

Si sente, si vede, si gode... ma è ineffabile!

Tutti godono della sua presenza, tutti soffrono della sua assenza. È pace, gaudio, amore, clima di eroismo, di somma generosità.

È Gesù fra noi!»5.

E continua la lettera:

«Gesù fra noi! Vivere per averLo sempre con noi, per portarLo nel mondo ignaro della sua pace, per avere in noi la sua Luce! La sua Luce!

Vorrei parlarvi e non so parlarvi (...).

La mente contempla, sazia della bellezza! Vorrei che tutto il mondo crollasse, ma che Lui sempre rimanesse fra noi, fra noi uniti nel suo Nome, perché morti a noi stessi!

Fratelli, Iddio ci ha dato un ideale grandioso. Restiamogli fedeli, costi quel che costi, anche se un giorno dovessimo gridare con l’anima in fiamma per infinito dolore: “Dio mio, Dio mio, perché anche Tu mi hai abbandonato?”

E avanti! Non con la nostra forza, meschina e debole, ma con l’onnipotenza
dell’Unità.

Ho costatato, toccato con mano che il Dio fra noi compie l’impossibile: (...).

Se noi resteremo fedeli alla nostra consegna (ut unum sint) il mondo vedrà l’Unità. (...)

E non temete di cedere tutto all’Unità; senza amare senza misura, senza perdere il giudizio proprio, senza perdere la propria volontà, i propri desideri, non saremo mai Uno! (...)

L’Unità innanzi tutto! in tutto! dopo tutto! Poco contano le discussioni, le questioni anche più sante, se non diamo vita a Gesù fra noi (...)»6.

E sono ancora del ’48 queste parole:

«In questi giorni (...) ho costatato, ho sentito con l’anima che l’Unità non sono i Focolari, la vicinanza, la lontananza..., è Qualcosa al di sopra di tutte queste cose: è Pace di Cielo, è Gaudio pieno, è Luce perfetta, che illumina le più fitte tenebre – è Amore ardentissimo e purissimo... è Gesù. (...)

E l’Unità, questo Qualcosa di impalpabile, di intoccabile, di invisibile, s’alza e domina! tutta spirituale – tutto Spirito. Ma reale, concreta, che sazia l’anima e la fa cantare.

Che Via ci ha mai dato il Signore! Che meraviglia! Che dono!»7.

Gesù in mezzo nel mondo, fra il popolo cristiano... fra i popoli. Questa sua promessa realizzata nei secoli, forse nei conventi e segnalata ai nostri tempi dal Concilio Vaticano II, è ora, con il nostro Movimento, una realtà generale, popolare.

Ma sentiamo ancora che cosa si è detto di Lui, quando si è manifestato e come, fin d’allora, si sentiva il bisogno di farLo conoscere.

«La felicità che noi proviamo nell’unità che ci hai donato, morendo, la vogliamo dare a tutte le anime che sfioreranno le nostre! Noi non possiamo tenerla solo per noi, giacché molti, molti hanno fame e sete di questa piena pace, di questo gaudio infinito! (...)»8.

Ed era talmente grande la considerazione che si aveva di Lui in mezzo a noi che si scriveva in un’altra pagina conosciuta:

«Se siamo uniti Gesù è fra noi.

E questo vale. Vale più d’ogni altro tesoro che può possedere il nostro cuore: più della madre, del padre, dei fratelli, dei figli. Vale più della casa, del lavoro, della proprietà; più delle opere d’arte d’una grande città come Roma, più degli affari nostri, più della natura che ci circonda coi fiori ed i prati, il mare e le stelle: più della nostra anima!

È Lui che, ispirando i suoi santi con le sue eterne Verità, fece epoca in ogni epoca. Anche questa è l’era sua: non d’un santo, ma di Lui; di Lui fra noi.(...)

Ma occorre dilatare il Cristo (...). Far uno di tutti ed in tutti l’Uno!»9.

Gli anni seguenti, quando già si approfondivano, anche se in modo diverso da ora, questi cardini della spiritualità, dicevamo:

«Noi tutti sappiamo come la grande scelta del Movimento e di ciascuno di noi sia stata Dio. Lo si adorava nei tabernacoli, Lo si amava nel fratello, Lo si contemplava al di là delle stelle, nell’immensità dell’universo.

Ma un giorno fummo sorpresi dal pensiero che quel Dio, che ci era così presente col suo amore, ma tanto lontano con la sua maestà, era sceso vicino, fra noi uniti, stabilendovi la sua dimora.

Gesù in mezzo a noi, fratello tra i fratelli, maestro, guida, conforto, luce: nulla da invidiare a coloro che lo ebbero vicino in Palestina. Tutto da sperare da questa sua ultrastraordinaria presenza. Principio d’incendio divino nel mondo, dovunque Egli si trova: Lui che ha detto: “Fuoco sono venuto a portare sulla terra”. Abbiamo un immenso tesoro, abbiamo il tesoro»10.

E ancora:

«Nell’essere uniti si avvertiva tutta la forza di Gesù fra noi. S’era come avvolti dalla potenza e dalla benedizione del cielo. Ci si sentiva capaci delle più nobili azioni per Iddio, dei più ardenti e difficili propositi, che poi erano mantenuti, mentre prima, da soli, per quanta buona volontà avessimo, era difficile andar fino in fondo nelle promesse fatte al Signore. S’avvertiva una potenza non umana»11.

Gesù in mezzo! che non può non fare opere grandi perché è Gesù.

Gesù in mezzo, che ci fa ottenere tutto con la preghiera «si consenserint».

Gesù in mezzo, perenne Natale nel mondo; perenne Pasqua perché il Risorto è costantemente vivo fra noi.

Gesù in mezzo a noi, che dovremo lasciare come nostro tesoro a chi ci seguirà, con l’esortazione ad averLo sempre per il comandamento nuovo attuato e l’unità.

L’Eucaristia

Ed ora l’Eucaristia.

E dov’è qui il «di più»?

È subito detto. Se, infatti, l’Eucaristia può esser vista (e lo è in realtà fra molti cristiani) solamente un cibo, che nutre la nostra anima spiritualmente, da ricevere al minimo una volta all’anno o tutte le feste o le domeniche e, perché no? tutti i giorni; se è Nostro Signore in persona, cui vanno la nostra adorazione e le nostre preghiere, nel Movimento la si è vista e la si vede anche per quello che produce: l’unità. E qui è il «di più».

È l’Eucaristia che ci dona quella grazia che dobbiamo attenderci quando viviamo il comandamento nuovo, onde sperimentare l’unità, Gesù fra noi.

Prima ancora che noi conoscessimo questa sua qualità (vincolo d’unità), la sapeva però lo Spirito Santo, che, perché ci aveva chiamati all’Ideale dell’unità, ci spingeva tutti a cibarsi del Corpo e Sangue di Cristo.

Come i bambini appena nati si nutrono al seno materno istintivamente, senza sapere quello che fanno, così sin dall’inizio del Movimento, si è notato un fenomeno: chi ci avvicinava incominciava a frequentare la santa Comunione ogni giorno.

Come si spiega questo?

Quello che è l’istinto per il bambino neonato, è lo Spirito Santo per l’adulto, neonato alla nuova vita, che il Vangelo dell’unità porta. Egli è spinto al “cuore” della Madre Chiesa e si ciba del nettare più prezioso che essa abbia.

D’una cosa però fummo coscienti ben presto: ci sembrò sintomatico che Gesù, rivolto al Padre, nella famosa preghiera, chieda l’unità fra i suoi e fra quelli che verranno, dopo aver istituito l’Eucaristia.

L’unità raggiunge la sua pienezza mediante l’Eucaristia.

L’unità può essere vissuta pienamente solamente mediante l’Eucaristia, che ci fa non solo uno per l’amore, ma concorporei e consanguinei con Cristo e fra noi.

La Chiesa

Ma, se è la Chiesa che fa l’Eucaristia, è l’Eucaristia che fa la Chiesa e la fa comunione.

E, in questa affermazione, sta il perché del «di più» nella nostra considerazione della Chiesa.

Prima che iniziasse il Movimento, per Chiesa si intendeva soltanto quella formata da pietre con Gesù nel tabernacolo, Maria, sant’Antonio sull’altare; la Chiesa era, in certo modo, sinonimo di catechismo, di prima Comunione... Voleva dire anche altri Sacramenti, le feste patronali; forse significava far parte dell’Azione Cattolica, ecc. Voleva dire parrocchia, il parroco; se si sapeva che esistevano, il Vescovo, il Papa.

Per il carisma dell’unità e le sue istanze si capì che la Chiesa, se poteva essere anche tutto questo, era soprattutto, nel fondo del suo essere, popolo di Dio; era comunione: la Chiesa-comunione.

Poi il Concilio Vaticano II diede questa definizione alla Chiesa e fu una rivoluzione.

E vivere la Chiesa come comunione cosa significa?

Significa porre legami di carità in tutte le sue articolazioni: fra i suoi membri; fra le sue realtà (parrocchie, diocesi, Movimenti, strutture, consigli, commissioni, ecc.); con le altre realtà che sono in qualche modo a Lei collegate (altre Chiese, altre Religioni che hanno a che fare con Lei per la presenza dei «semi del Verbo»; altre culture con i loro valori).

E tutto questo lo insegna l’Ideale (con i suoi dialoghi, ad esempio).

Porre, inoltre, la carità fra responsabili e fedeli, perché ogni responsabile ha da far precedere ad ogni suo comando la carità (essere anch’egli nel suo ambito «presidente della carità»).

E porre la carità fra i fedeli e i responsabili, come documentano queste letterine, che dicono come il Movimento e la Chiesa furono anch’essi segnati dalla comunione.

Scrivevo nel ’69:

«Non è stato solo per un principio di obbedienza alla Chiesa o per una paura di eresia! Era proprio la Chiesa che ci attraeva a sé; o meglio, era lo Spirito Santo in noi, che ci spingeva a riunirci con lo Spirito Santo, che è nella Chiesa, perché era un unico Spirito Santo»12.

È inoltre dei primi anni questa frase:

«I focolarini vedono la Chiesa come una famiglia ove, pur dovendo stare ciascuno al proprio posto, nella propria vocazione, tutti debbono sentirsi fratelli, per l’amore in Cristo Gesù»13.

E il tutto in obbedienza a chi ha il carisma dell’autorità.

È infatti un amore obbediente quello che dobbiamo alla Chiesa, amore che poi torna come abbiamo sempre sperimentato.

Ed è stata una costante questo nostro atteggiamento verso il Vescovo.

Scrivevamo ancora nel ’47:

«“Chi ascolta voi, ascolta me”.

Quanto bisogno per l’anima nostra, tutta presa dalle voci del mondo, di ascoltare... la Voce del Cristo!

Ma tu non devi pretendere che Cristo scenda in terra a parlarti. Egli, quand’era quaggiù, ha designato i suoi ministri: quelli che avrebbero fatto la parte Sua...

Va’ ad essi con fede!

Tu combatti una battaglia per il trionfo dello Spirito sulla materia, del soprannaturale... Vedi nel ministro colui che ti porta la voce di Gesù, chiunque egli sia, senza riguardo a suoi eventuali difetti. La sua parola è Parola di Dio.

“Chi ascolta voi, ascolta me”! Gesù vuol farsi ascoltare attraverso i suoi ministri. Così ha stabilito. Così è.»14.

Nel ’52:

«Non bisogna né discutere, né tentennare. Siamo uno soltanto nella Divina Volontà e quella è espressa dal Vescovo»15.

«(...) Solo così, nell’unità fra voi e con la Chiesa, l’Ideale invaderà la terra e sarà una invasione d’amore»16.

Nel ’56:

«Per esperienza possiamo dire che i Vescovi sono diversi dagli altri. Lo si sente quando si racconta loro la nostra spiritualità o quando parlano. Hanno un peso, un’unzione, che li diversifica subito da un sacerdote o teologo anche santo.

Hanno poi la grazia di centrare l’argomento e di spiegarlo con respiro. È il (loro) carisma»17.

Dicevo nel ’60:

«Io vorrei che tutti sentissero che hanno una madre e che questa madre è sempre lì che li nutre, e che tutte le anime andassero a questo latte genuino, che vien dato dal Santo Padre, dai Vescovi e si abbeverassero, e lo facessero loro»18.

Sicché un giorno uscì dal nostro cuore questa specie di canto:

«La Chiesa ci ha innestati, Madre purissima, nella sua famiglia, aprendoci le porte del vero Paradiso attraverso i sacerdoti e i sacramenti.

Essa ci ha forgiati soldati di Cristo.

Essa ci ha perdonato e cancellato settanta volte sette i nostri peccati.

Essa ci ha nutriti col Corpo di Gesù; ha suggellato divinamente l’amore di nostro padre e di nostra madre.

Essa ha innalzato ad una dignità altissima uomini come noi, e li ha investiti del sacerdozio.

Essa infine ci darà l’ultimo addio: a Dio; ci darà Dio.

Se il nostro cuore non canta di Lei, è un organo spento.

Se la nostra mente non la vede e non l’ammira, è cieca e cupa.

Se la nostra bocca non la dice, è meglio che si secchi in lei la parola»19.

Maria

E siamo a Maria.

Vediamo, anzitutto, in che modo nel cardine della nostra spiritualità, definito «Maria», c’è il «di più».

Ripensando al nostro modo di veder Maria, prima dell’esperienza del Movimento, ed attribuendolo un po’ alle spiritualità, più individuali, allora correnti, si può esprimere così: un grande amore, un’enorme devozione per la Vergine, Madre di Dio, per la quale sono stati eretti santuari anche sontuosi in tutto il mondo. Il rosario come preghiera preferita, da Lei, del resto, consigliata spesso; la partecipazione cordiale alle sue varie feste come alle manifestazioni popolari; un mese di maggio particolarmente sentito; a volte un «consacrarsi» a Lei, come si usava dire; un desiderio, specie per gli anziani, di morire con sulle labbra il suo nome: tutti modi, aspetti diversi di una devozione sentitissima, ma – ripetiamo – prevalentemente indivi­duale.

Qui nel Movimento c’è un «di più».

Infatti, se è amata in tutte le sue prerogative, quali l’Immacolata, la Theotókos, l’Assunta, ed ammirata quale «Parola vissuta», «Donna d’amore», «Figlia del Padre»; Ella è non solo venerata e invocata ma imitata e, in certo modo, rivissuta come Madre dell’unità, che significa Madre non solo dei singoli cristiani, ma della Chiesa.

Ed Ella è Madre dell’unità, della Chiesa, nella sua desolazione, sull’esempio e accanto a Gesù abbandonato, nel suo secondo sì, nell’essere a suo modo Abbandonata.

Per noi la Desolata, infatti, non significa soltanto un monumento di virtù, quale Ella è, ma Colei che, con Gesù crocifisso e abbandonato, diede il proprio contributo alla redenzione del genere umano e divenne Madre nostra in Giovanni.

Ella ha co-generato lì un altro Cristo, quello che compone il suo Corpo mistico, dove, quale Madre, appare vincolo d’unità fra tutti, unisce i figli, li fa fratelli, come a loro modo fanno le mamme della terra.

E questi figli, anche da Lei generati, hanno i lineamenti di Gesù, ma anche i suoi.

Passando, in breve sintesi, la storia del Movimento nei riguardi di Maria, possiamo vedere meglio chi è Maria per noi e come può essere un cardine della nostra spiritualità.

Sin dai primi tempi, pur in un’epoca che sembrava lasciasse allo Spirito porre l’accento quasi unicamente su Gesù ed il suo Vangelo, s’è affacciata, anche se timidamente, per svelarci subito la sua relazione con
l’unità.

Qualche esempio.

Scrivevo nel ’47:

«Sono convinta che è Lei, che vuole
l’Unità. Lei: Mater unitatis!...

Ella conosce Satana, le sue lusinghe, i suoi inganni, le sue trappole, e chiama i suoi figli ad unirsi, a darsi la mano nel camminare nella Via dell’Amore!»20.

E ancora nel ’47:

«La Madonna ci vuole unite nel cammino! Lo sa Lei che, “dove due o più” si uniscono nel nome santo del Suo Figlio, Egli è in mezzo ad essi! E dove c’è Gesù fuggono tutti i pericoli e sfumano gli ostacoli... Tutto vince perché è Amore!»21.

Ma si manifestò in tutto il suo splendore, sulla scena della nostra anima, più tardi, alta in proporzione di quanto s’era abbassata, grande in proporzione di quanto s’era annullata.

È stato nel ’49, quando, riunite in montagna, sembrò che il Signore disegnasse alle nostre menti l’Opera, che doveva nascere.

Capimmo che, attraverso di essa, Maria avrebbe voluto, in qualche modo, tornare in terra.

E questa sensazione fu così forte che ammirando in Maria una bellezza unica e pensandola e vedendola sola, perché non si trovava accanto a Lei figli di una tale Madre, se non Gesù, fummo spinti a raccomandarle di farsi in terra una famiglia di figli e figlie tutti Lei.

In precedenza avevamo chiesto a Gesù Eucaristia che ci affidasse, ci «consacrasse» Lui, come Lui sa fare, a Maria.

E avevamo compreso che quest’atto non era stato un’espressione devozionale soltanto e privo di vero contenuto, ma che quella «consacrazione» aveva operato qualcosa.

Ci sembrò che Maria ci rivestisse della sua immacolatezza.

In pratica parve che quanto chiese un giorno Paolo VI: «... insegna a noi, ciò che già conosciamo; ... ad essere immacolati, come tu lo sei»22, fosse divenuto una realtà.

Parve verificarsi forse un po’ per il nostro piccolo gruppo, quanto dice Montfort, quando parla delle meraviglie soprattutto interiori, che Maria opera segretamente nelle anime. Egli scrive: «... il principale dono che le anime acquistano è la realizzazione quaggiù della vita di Maria nell’anima, di modo che non è più l’anima a vivere, ma Maria in lei».

Ci sentimmo figlioli di Maria e – in maniera che mai più potremo dimenticare – per la prima volta sentimmo Maria mamma nostra.

Essere un’altra Maria, una piccola Maria, che trova nella Madre il suo dover essere ed in sé il poter esser Lei.

Ma essere Madre come Lei significa aver la possibilità di imitarLa nella sua maternità spirituale (che diventa paternità spirituale per gli uomini), maternità, che plasma le persone affidate, non solo per farle belle e sante, ma per unirle, oltre che con Dio, fra loro.

Maria è Madre in questo modo. È Mater unitatis.

E allora, concludiamo: il punto della nostra spiritualità «Maria», significa per noi vivere come Lei, essendo in qualche modo Lei, che è Madre dell’unità.

Lo Spirito Santo

Ed ora lo Spirito Santo, ultimo punto.

Non era stato approfondito un granché nella nostra Chiesa, la terza divina Persona, almeno nel popolo. Lo Spirito Santo era detto: «Il Dio sconosciuto». Si sapeva che esisteva. Lo si pregava: «Veni, Sancte Spiritus», ma non tanto di più.

Nel Movimento lo Spirito Santo è considerato anzitutto per quanto significa in Dio e per l’uomo.

Egli è vincolo d’unità fra le divine Persone, Padre e Figlio, e vincolo d’unità fra i cristiani.

Essendo, poi, i non cristiani nella possibilità di averLo nel loro cuore, se di buona volontà, è vincolo d’unità, in certo modo, anche con essi.

Una caratteristica del Movimento è quella di ascoltare la sua voce dentro di noi. E non solo; si impara anche ad ascoltare quella di Lui presente fra noi uniti nel Risorto. Anzi si considera assai importante l’ascolto della voce dello Spirito quando c’è Gesù fra noi, perché perfeziona l’ascolto della sua voce in ciascuno di noi. E qui si può vedere il «di più» nella nostra considerazione dello Spirito Santo.

Per questo «di più» si è sempre sperimentata nelle nostre riunioni, nelle nostre comunità, nelle nostre cittadelle, nei nostri piccoli o numerosi incontri, una particolare atmosfera.

Essa è effetto della presenza del Risorto, che è fra noi, e che porta con sé lo Spirito Santo.

Lo Spirito Santo, respiro di Gesù e atmosfera del Cielo, è anche il respiro del suo corpo, la Chiesa. E lo si avverte se la Chiesa è «Chiesa» nel pieno senso; se è, cioè, regno di Dio, Cielo trasferito in terra, per l’unità.

Ecco gli ultimi sei punti. A tutti noi ora viverli con pienezza, per fare con la nostra Opera, la Chiesa sempre più bella, armoniosa, forte e con Maria, sua forma, sua Madre, suo Capo, sua Regina, invincibile.

 

 

Chiara Lubich

 

 

1)   Chiara Lubich, Lettera, Capodanno 1947, in L'unità e Gesù Abbandonato, Roma 1984, p. 43.

2)   Id., Lettera, 1.4.1948, in L'unità e Gesù Abbandonato, cit., p. 38.42.

3)   Ibid.

4)   Id., Lettera, 4.1.1949.

5)   Id., Lettera, 29.4.1948; cf L'unità e Gesù Abbandonato, cit., p. 33-34.39.

6)   Ibid.

7)   Id., Lettera, 15.6.1948.

8)   Id., Lettera, 27.12.1948, in L'unità e Gesù Abbandonato, cit., p. 41.46-47.

9)   Id., Lucerna del tuo corpo..., Scritto 1949. Cf Scritti Spirituali/1, Roma 1978, p. 50.

10)          Cf Id., Scritti Spirituali/3, Roma 1979, p. 162-163.169.

11)          Ibid., p. 171.

12)          Id., Scritti Spirituali/4, Roma 1981, p. 105.

13)          Id., Scritto, "Come l'Ordine di Maria sta in relazione con le anime che non vi appartengono".

14)          Cf Id., Scritti Spirituali/4, cit., p. 102.

15)          Ibid.

16)          Id., Lettera, 14.2.1952.

17)          Id., Scritti Spirituali/4, cit., p. 102-103.

18)          Ibid.

19)          Id., Scritti Spirituali/1, cit., p. 225-226.

20)          Id., Lettera, 6.9.1947.

21)          Id., Lettera, 6.9.1947, cit. in J. M. Povilus, Gesù in mezzo nel pensiero di Chiara Lubich, Roma 1981, p. 144.

22)          Discorso ai fedeli, 25.10.1969, in Insegnamenti di Paolo VI, VII, p. 685-688.