Dialogo con i lettori

 

«C

ome dobbiamo parlare di Dio oggi? Spesso non riusciamo a destare interesse. Soprattutto i giovani ci chiedono: “Perché Dio deve apparire così lontano, silenzioso, nascosto? Se ci ha fatti per sé, affinché trovassimo in questo rapporto la nostra felicità, non dovrebbe mostrarsi in modo più accessibile ed evidente?”».

(Un gruppo di sacerdoti lombardi)

 

Quale rapporto
fra Dio e l’umanità?

Certamente non sono nuove domande di questo tipo: è un’angoscia dell’umanità di tutti i tempi. Dall’ironico «dov’è il tuo Dio?» riportato dalla Bibbia, agli interrogativi – per citare soltanto un classico – del primo capitolo del Proslogion di sant’Anselmo nel secolo XI: «Signore, dove cercherò te assente? Se sei dappertutto, perché mai non ti vedo presente? Tu certo abiti in una luce inaccessibile. Ma dov’è la luce inaccessibile o come mi accosterò ad essa?».

Oggi, con una mentalità scientifica, queste domande diventano ancora più acute e sentite. Prendiamo nuova e drammatica coscienza della kenosi, lo svuotamento, il “non apparire” di Dio: nella creazione (dove ogni fenomeno ha la sua causa naturale), in Gesù di Nazaret (che scopriamo sempre di più un vero uomo, ebreo del suo tempo), nella Bibbia (Parola di Dio in parole umane, le quali sono espressione delle conoscenze, la cultura, le circostanze socio-economico-politiche di ogni epoca), nelle chiese cristiane (delle quali conosciamo bene limiti, storicità e pesantezze), e via dicendo.

Dio sembra diventare superfluo, non c’è bisogno di lui per spiegare i fenomeni della natura, della storia o delle nostre vicende personali.

Oggi scopriamo, come non mai, quanto Dio passi attraverso l’umano per rapportarsi con noi. È significativo un racconto ebreo (dei Chassidim) dove si dice che una persona bussò un giorno alla porta di Dio e da dentro gli fu chiesto: «Cosa cerchi qui?». Rispose: «Ho proclamato la tua lode agli orecchi dei mortali, ma erano sordi alla mia parola. Allora giungo a te, perché tu stesso mi ascolti e mi risponda». Si udì dall’interno: «Torna indietro, qui non c’è orecchio per te. Ho inabissato il mio udito nella sordità dei mortali».

Bisogna trovare un perché a questo modo “così umano” di presentarsi di Dio, altrimenti farà tremare (o perdere) la fede di un numero sempre maggiore di credenti, che non riescono a trovare Dio da nessuna parte.

L’intervista a G. M. Zanghì proposta in queste stesse pagine ne dà una risposta originale e profonda. Tentiamo di aggiungere qualche altro elemento nella stessa direzione.

I cristiani stanno riscoprendo ed approfondendo l’unitrinità di Dio e le sue conseguenze per la storia umana. Una “legge” fondamentale della vita divina intratrinitaria è quella di essere se stesso essendo l’altro. Il Padre è se stesso nella misura in cui fa essere il Figlio (se per ipotesi assurda
smettesse per un momento di generare il Figlio, ipso facto cesserebbe d’esistere come Padre), e così per ognuna delle Persone divine.

In questa “legge” costitutiva della vita di Dio-Amore, si trova la radice ultima del rispetto assoluto che egli ha per l’umanità, di quanto prende sul serio la storia umana. Dio è se stesso facendo sì che l’umanità sia se stessa, cioè veramente umana.

Il Dio Uno e Trino, nella sua vita intima e quindi nei riguardi della creazione, non sa rapportarsi se non “trinitariamente”. Perciò imporsi all’umanità, obbligarla, inginocchiarla per forza, trattare l’essere umano come se non contasse nulla o si potesse farne a meno, Dio questo non può farlo, perché sarebbe “antitrinitario”.

Quando ci domandiamo con impazienza perché Dio “non appare” ma sembra apparire soltanto l’umano, vuol dire che non ci accorgiamo della grandezza del suo Amore che, proprio perchè tale, ci fa essere noi stessi. La “non evidenza” di Dio è ciò che fa possibile la nostra libertà, la nostra scelta, quindi il nostro amore.

Il teologo luterano D. Bonhoeffer, in una sua lettera prima di morire in un campo di concentramento a causa della sua opposizione al nazismo, scriveva che dobbiamo vivere nel mondo «come se Dio non esistesse», ma dobbiamo farlo... «davanti a Dio»! Così anticipava con sorprendente lucidità profetica ciò che sempre di più sentono i cristiani d’oggi: che noi siamo realmente artefici del nostro destino, responsabili nella costruzione del mondo. E dobbiamo fare ciò in profonda unione con Dio, trovandolo non al di sopra o accanto alla storia, ma all’interno di essa.

La kenosi di Dio, la sua presenza nella sua apparente assenza, ci fa capire che i rapporti di Dio con l’umanità dipendono totalmente da Dio e totalmente da noi. Ovviamente si tratta di due “totalmente” diversi, perché il tutto di Dio è fondante, il nostro di risposta. Però sono reali tutti e due. Solo così si può essere credenti oggi: non appoggiandoci magicamente in lui, ma costruendo responsabilmente e solidariamente la storia, come veri protagonisti, pienamente innestati in lui.

In questa prospettiva si avverte meglio la portata e la rilevanza dell’intuizione espressa in quella nota meditazione di Chiara Lubich: «Ecco la grande attrattiva del tempo moderno: penetrare nella più alta contemplazione e rimanere mescolati fra tutti, uomo accanto a uomo. Vorrei dire di più: perdersi nella folla, per informarla del divino, come s’inzuppa un frusto di pane nel vino. Vorrei dire di più: fatti partecipi dei disegni di Dio sull’umanità, segnare sulla folla ricami di luce e, nel contempo, dividere col prossimo l’onta, la fame, le percosse, le brevi gioie. Perché l’attrattiva del nostro, come di tutti i tempi, è ciò che di più umano e di più divino si possa pensare. Gesù e Maria: il Verbo di Dio, figlio d’un falegname; la Sede della Sapienza, madre di casa».

Questa piena umanità, vissuta nell’interiorità dei rapporti d’amore fra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, è uno dei salti di qualità a cui la sofferenza dell’ateismo contemporaneo sembra chiamare i credenti e l’umanità tutta.

E. C.