La chiesa nel mondo

Notizie brevi

Vaticano Il radicalismo evangelico come profezia. Dal 5 al 10 maggio si terrà a Roma il Congresso europeo sulle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. Il convegno è promosso dalle congregazioni romane per l’educazione cattolica, per le chiese orientali, per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica. Riportiamo il n. 85 del Documento di lavoro.

«C’è una diffusa sollecitazione a proporre ai giovani un Vangelo sine glossa, attraverso la testimonianza rinnovata e non stanca dei consacrati. Si afferma in tutti i toni l’urgenza di superare la patologia della stanchezza nei sacerdoti e nei consacrati, riscoprendo all’interno della loro stessa chiamata le ragioni di un volto pasquale.

In particolare si ravvisa nel radicalismo evangelico il messaggio più dirompente da gridare, con l’annuncio e con la vita, nei venti incrociati del secolarismo, soprattutto come alternativa alla cultura malata del sessismo esasperato, vissuto ad una dimensione. Il radicalismo evangelico è da presentare in tutta la sua positività come via alla santità, quale unica, vera possibilità di autentica realizzazione umana in prospettiva evangelica».

Francia Il contributo dei movimenti di spiritualità. Un sacerdote francese della diocesi di Periguéux, Emmanuel Pic, ha fatto un lavoro su: «Movimenti di spiritualità e formazione al presbiterato», dove viene in luce proprio il contributo di questi movimenti nel promuovere il radicalismo evangelico in chi è chiamato al servizio presbiterale. Positivi gli echi negli ambienti francesi che sono venuti a conoscenza di questo scritto. Ne riportiamo alcuni:

«È un lavoro molto interessante – dice un formatore del seminario interdiocesano di Orleans – e spero presto di poterne parlare a lungo...». E un altro del seminario di Aix-en-Provence scrive: «Credo che questo lavoro inciderà e sarà utilissimo a noi formatori. Sono sicuro di trarne profitto e lo farò conoscere ad altri». Anche una suora cistercense ne è rimasta impressionata: «Mi hanno colpito la chiarezza, l’oggettività e il rigore del metodo. La percezione di una nuova via per la formazione sacerdotale mi sembra non solo interessante ma, direi, fondamentale in questo periodo della nostra storia...».

Cina Un accorato appello all’unità tra la chiesa cosiddetta patriottica e quella perseguitata è stato lanciato nella Pentecoste scorsa da Agostino Andrea Han, vescovo di Siping (Jilin), non riconosciuto come tale dal governo. Egli, ormai ottantenne, appena ordinato sacerdote ha trascorso ben 27 anni in carcere: dal ’53 all’80. Attualmente è in libertà ed è molto stimato. Riportiamo alcuni tratti della sua lettera pubblicata per intero su Asia News del novembre ’96.

«Non vogliamo richiamare il doloroso passato, né ripercorrere le cose giuste ed errate. I membri più giovani della chiesa non comprendono la natura e le ragioni delle divisioni nella chiesa di oggi, né sono a conoscenza dei suoi sviluppi storici. Noi anziani e testimoni possiamo vivamente richiamare questi eventi. Gli osservatori non-cattolici sono pure consapevoli di questa situazione.

La chiesa cattolica in Cina, che era originariamente una, è stata divisa in due dagli anni cinquanta. La divisione non è venuta da persone della chiesa, ma è stata imposta da forze esterne alla chiesa. Questa forza ha diviso il gregge.

Non vogliamo rivedere gli eventi del passato. Sotto l’ispirazione dello Spirito Santo “con un cuore onesto e con buona fede”, ascoltiamo con attenzione la preghiera dell’ultima cena: “Perché siano una cosa sola, come noi” (Gv 17, 11)...

Oggi mi prendo ancora una volta la libertà di esprimere la mia umile opinione ai miei fratelli vescovi del Paese, e agli amministratori di ciascuna diocesi, non importa che sia riconosciuta o no dal governo. Per vostra conoscenza le mie opinioni sono qui sotto elencate:

1. Sotto la luce della verità dello Spirito Santo, noi fratelli dobbiamo avere un colloquio franco sui più importanti problemi della chiesa.

2. Lasciamo il passato a se stesso, è finito, non richiamiamone le dolorose esperienze. Guardiamo al futuro e non discutiamo su chi è nel giusto e chi nell’errore.

3. Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio. Annunciamo pubblicamente: siamo tornati a essere un solo gregge sotto un solo pastore. Promettiamo solennemente di essere cristiani vivi e leali cittadini cinesi.

4. Riguardo all’Associazione patriottica, non curiamocene.

5. Organizziamo un incontro di tutti i vescovi del Paese per discutere l’applicazione dei decreti del concilio Vaticano Il, e tracciamo piani concreti.

Poniamo il nostro desiderio di unità nelle mani della nostra madre Maria, regina della Cina, e preghiamo perché, attraverso la sua intercessione, lo Spirito Santo discenda sulla chiesa cinese e la guidi lungo il sentiero tracciato da Gesù Cristo».

Vietnam Umiltà e apertura nell’evangelizzazione. Stralciamo questi pensieri da un articolo apparso sul giornale cattolico Cong Giao Dan Toc (Cattolici e Nazione) e scritto da Giovanni Battista Bui Tuan, vescovo ausiliare di Long Xuyen, una delle quattro diocesi della regione del Delta del Mekong, con circa 200 mila cattolici. Egli scrive in occasione del suo ventunesimo anno di episcopato e lancia uno sguardo sul Viaggio dell’evangelizzazione nella sua diocesi e nella sua patria.

«La ragione, per la quale uso questo nome – scrive – consiste nel fatto che durante questi anni la fede si è sviluppata su vasta scala e ad un passo relativamente veloce, portando a risultati enormi e sorprendenti...

Considerando la situazione generale della chiesa oggi (nel Vietnam) in termini di propagazione della fede, oso affermare che Dio ha donato cose meravigliose usando solo strumenti modesti.

Guardando, più lontano, a tutti gli aspetti dell’attività della chiesa, sento la necessità di riflettere su un problema che è stato provocato, ci provoca e continua a provocare il lavoro missionario nella nostra diocesi.

Il punto è che in qualsiasi attività evangelizzatrice noi dobbiamo trattare le differenze con abilità. Prima di tutto dobbiamo adottare un atteggiamento umile, mentre ci occupiamo delle differenze insite in altri popoli, che troviamo sul nostro cammino... Dobbiamo considerare le differenze come un ricco tesoro che favorisce il lavoro missionario.

Le esperienze passate hanno dimostrato che ci sono persone che sembrano essere, dal punto di vista religioso, “completamente secche”, e pur tuttavia diventano talvolta strumenti nelle mani di Dio per fare buone cose per il suo Regno. (...)

Ogni realtà locale ha le sue usanze, le sue tradizioni culturali ed i suoi credi; ed una cosa importante, che noi non dobbiamo trascurare nel nostro lavoro di evangelizzazione, è il rispetto per queste differenze.

Le persone di altre religioni attorno a noi hanno pratiche religiose estremamente differenti dalle nostre, ma molte di loro offrono chiari esempi di norme etiche e di valori nobili che noi cattolici possiamo seguire. (...) Solo quando siamo equipaggiati di una tale umiltà e visione aperta... possiamo scoprire che lo studio della teologia, della Sacra Scrittura e di altri sistemi di fede, sono utili nell’aiutarci ad adottare un atteggiamento pacifico e aperto in ogni situazione di evangelizzazione».

USA Dialogo interreligioso. Su richiesta del Dalai Lama è stato organizzato un dialogo intermonastico internazionale nel Monastero Trappista del Gethsemani, al quale apparteneva Thomas Merton. Un focolarino sposato degli Stati Uniti, specialista in buddismo, Donald Mitchell, unico laico partecipante, ha avuto un ruolo importante nella preparazione e nello svolgimento dell’incontro. Durante il suo intervento c’era nella sala un’attenzione particolare. Anche il Dalai Lama mostrava la sua soddisfazione ed assentiva col capo; e alla fine, durante un lungo applauso, egli si è messo in piedi ponendo le mani giunte sopra il suo capo in segno di ringraziamento. In seguito molti buddisti sono andati dal Mitchell per abbracciarlo e rallegrasi con lui.

I monaci e gli studiosi cristiani presenti al convegno hanno detto che l’intervento di Mitchell costituisce un fatto storico, perché ha aperto nuovi orizzonti nel dialogo con il buddismo.

In seguito c’è stata a Chicago una conferenza fra accademici ed esperti nel dialogo interreligioso buddista-cristiano e gli organizzatori hanno voluto conoscere l’esperienza del Movimento dei focolari in questo campo.

BiellorussiaDialogo ecumenico. Dall’1 al 3 ottobre si è tenuta a Minsk, una grande conferenza ecumenica sul tema «Chiamati a una sola speranza nel vincolo della pace», co-presieduta dal metropolita Kirill del Patriarcato di Mosca, da mons. Kondrusiewiecz amministratore apostolico per i cattolici della Russia europea e dal pastore Konovalchik. Hanno partecipato anche una delegazione della KEK (l’organismo di cui fanno parte circa 119 chiese – ortodosse, anglicane, protestanti e vecchio-cattolica – di tutti i paesi europei) e, da parte cattolica, una delegazione del CCEE (il Consiglio delle conferenze episcopali europee), guidata dal suo segretario generale, don Aldo Giordano. La conferenza aveva anche un significato preparatorio all’incontro di Graz del 1997.

Gran Bretagna Dialogo della vita. Nel novembre scorso, invitata dall'arcivescovo George Carey, primate della Chiesa d'Inghilterra, Chiara Lubich è stata in Gran Bretagna ed ha avuto importanti incontri personali con l'arcivescovo di Westminster, il card. George Basil Hume, con il nunzio Luigi Barbarito, con il suddetto primate George Carey e, a York, con l'organo ecumenico regionale di York e con l'arcivescovo anglicano di quella sede, David Hope. La fondatrice del Movimento dei focolari ha presentato l'ecumenismo della vita di coloro che vivono la spiritualità dell'unità. Trascriviamo quanto lei ha detto su questo argomento rispondendo ad alcune domande:

«Riguardo ai problemi teologici, non è il nostro specifico compito. Il nostro è un ecumenismo della vita. Ci sentiamo uniti per quello che già ci unisce con tutti gli altri cristiani: il battesimo, l'Antico e il Nuovo Testamento, la spiritualità dell'unità, ecc. Eppure a volte cattolici e persone di varie chiese, anche se sanno che hanno una base comune, non vivono spesso come se ciò fosse realmente vero. Noi invece vogliamo vivere consapevoli che un sacco di cose ci unisce».

E spiega: «Il nostro ecumenismo non è solo quello della carità che ammiriamo, quando cioè i capi delle chiese si fanno visita e si scambiano doni; non è solo quello della preghiera comune, anche se noi preghiamo per l'unità; non è quello dottrinale, per ora, quello nostro, anche se più tardi verrà. Il nostro è l'ecumenismo della vita. Abbiamo un patrimonio comune. Chi ci proibisce di viverlo insieme?».

«È quindi un ecumenismo del popolo. È il popolo che sta risvegliandosi, un unico popolo cristiano formato da tutte le chiese. Noi vogliamo ravvivare nel popolo il senso che siamo tutti cristiani, tutti battezzati, che tutti possiamo amare, che tutti possiamo concorrere a realizzare il testamento di Gesù, almeno fin dove lo possiamo...».

In un momento particolarmente delicato per l'ecumenismo in Gran Bretagna questa prospettiva ha riacceso in tanti la speranza di poter andare avanti.

E. P.