Flash di vita

 

È veramente ateo chi
lotta per la giustizia?

Omar Hurtado, che conoscevo da 15 anni, era stato capo della guerriglia nelle montagne dello stato di Falcón (Venezuela) e poi era divenuto in città un leader particolarmente attivo del Partito comunista.

Il nostro rapporto iniziò con dialoghi interessanti sui cambiamenti sociali indispensabili per costruire una società più equa nel nostro Paese. Anche se non condividevo con lui l’idea che la violenza fosse un’alternativa valida a questo scopo, il nostro rapporto si fece sempre più profondo.

Ci vedevamo occasionalmente, ma tutte le volte che ci incontravamo mi comunicava i suoi progetti ed io lo ascoltavo attentamente. Egli amava l’umanità, soprattutto la parte più sofferente. Anche se in altri punti non potevo condividere le sue idee, in questo non potevo che concordare, apprezzando il suo impegno concreto.

Quando la fiducia fra noi aumentò, potetti anche manifestargli liberamente le mie convinzioni: anch’io volevo cambiare il mondo, non con la violenza bensì con l’amore. Certamente Gesù di Nazaret era stato un rivoluzionario, ma la sua rivoluzione consisteva nel dare la vita per gli altri senza aspettarsi niente in contraccambio.

Omar non mi contraddisse mai quando gli proponevo queste idee, ma mi guardava attentamente e mi diceva che non aveva mai ascoltato prima qualcuno parlare così.

Essendo divenuto un leader politico importante, in questi ultimi dieci anni prese parte nel governo della regione e riuscì a portare avanti molte iniziative interessanti per promuovere gli ultimi.

Quando diventai parroco di San Luis mi cercò per comunicarmi un progetto su nuove tecniche agrarie e mi chiese di aiutarlo a convincere gli agricoltori della mia parrocchia ad aderirvi, perché voleva iniziare da quella zona. Feci volentieri quanto mi chiedeva.

Scherzando mi diceva che noi due nello Stato di Falcón eravamo la versione latino-americana di don Camillo e Peppone.

Nel 1995 subì un’operazione per un tumore ai polmoni. Anche se cercava di continuare il suo lavoro, dando il meglio di se stesso, le forze gli venivano meno. Lo visitavo o gli telefonavo per sapere sue notizie.

Durante questo periodo poté riflettere, come mi disse, sul senso di Dio nella sua vita. Aveva lottato contro di lui e adesso si rendeva conto che egli c’era e gli era amico. Io lo ascoltai a lungo e gli dissi solo questo: «Dio ti ama». Egli mi rispose di sì. Quel giorno mi parlò di Dio in un modo così gioioso che mi commosse. Non si lamentava per le sue sofferenze né per i progetti che non avrebbe potuto portare a termine.

Nel febbraio dello scorso anno stavo riposando insieme ad un gruppo di amici in una località a un’ora e mezza da Coro. Omar stava prossimo all’agonia e da qualche giorno mi aveva mandato a chiamare. Quando, finalmente, mi localizzarono, ero malato per un attacco di gotta e non riuscivo a camminare. In quel mese cercavo di vivere quell’aspetto dell’amore evangelico che richiede di “farsi tutto a tutti”: non era dunque il momento di ragionare se potevo o no viaggiare e andai subito da lui.

Entrai nella sua casa con la serenità sul volto e tanta pace nel cuore. Mi avvicinai al suo capezzale e gli dissi che ero lì con lui. Mi rispose che si sentiva ancora forte, quasi per dirmi che bisognava continuare a lottare per il bene dell’umanità.

Sapendo che si avvicinava ormai il grande viaggio, gli feci notare che Gesù lo stava visitando per dargli la pace. «La pace! Quella che sto cercando...» – mi rispose. Si confessò e ricevette l’unzione degli infermi. Pregò con grande fede, poi mi strinse forte la mano e lentamente si addormentò.

Quando dovetti riprendere la via del ritorno, l’atmosfera in quella famiglia si era trasformata, perché la moglie e i figli avevano partecipato in prima persona all’intenso momento vissuto da Omar.

Poco dopo egli lasciò questo mondo e la famiglia mi chiese di celebrarne il funerale. Accettai con qualche timore iniziale, sapendo che i figli e tutti gli amici di Omar erano comunisti, mentre la moglie e i parenti di lei appartenevano alla chiesa evangelica.

Cosa dire nel funerale di fronte a queste persone? Raccontai a tutti il rapporto che avevo vissuto con Omar e per tanti fu scoprire il meraviglioso disegno di Dio su di lui.

Volendo riassumere in poche parole la sua figura, l’ho chiamato un pellegrino anticonformista ed impegnato. La sua caratteristica è stata la coerenza e il suo ideale la lotta per la giustizia e il cambiamento sociale.

Ha militato nel marxismo-leninismo ed ha vissuto l’ateismo non come negazione di Dio, ma come rottura con un’immagine di Dio che impediva il cambiamento sociale. Fu ateo per circostanze storiche, perché il marxismo-leninismo gli si presentò come un cammino coerente, non vedendo altre alternative. Fu il momento storico che fece ateo il militante politico. Ma si possono chiamare atei coloro che con sincerità di cuore sono andati alla ricerca del bene comune per tutta la loro vita nella speranza di costruire una società più giusta?

La malattia fu per Omar l’occasione per mettere a fuoco la verità piena della sua vita. E da quel momento imparò a vedere Dio, quel Dio che in fondo aveva sempre servito negli ultimi.

Sono convinto che durante la sua agonia avvenne la sintesi definitiva tra la Verità sempre cercata e Dio, e quindi l’anticonformismo e l’impegno divennero speranza. Non ci sono parole che possano descrivere questo momento dove la verità di Omar si è aperta all’Assoluto di Dio.

Alla fine del suo pellegrinaggio ho potuto constatare che la sua lotta si trasformava in fiducia filiale nel Padre, l’impegno si mutava nell’incontro solidario con il Messia sofferente ed il cambiamento tanto agognato si trasformava in coabitazione con lo Spirito Santo; l’umano ed il divino si compenetravano, Dio diveniva Verità dell’uomo e l’uomo verità di Dio. Omar, in realtà, non aveva cambiato idea ma, raccogliendo in unità tutta la sua vita, aveva raggiunto la verità tutta intera.

Numa Rivero