Flash di vita

Flash di vita

Il coraggio di parlare

Sono una coppia felice e aiutano volentieri in parrocchia. I loro due vispi bambini si sono preparati con cura alla prima comunione. Poi è accaduto l’imprevisto: un incidente d’auto ha strappato dalla vita il marito, giovane negli anni e promettente nella carriera. È vero, a casa non mancano i soldi, ma non potranno mai sostituire l’affetto di uno sposo e di un padre.

Il parroco è stato vicino alla vedova che, trovandosi in terra straniera, si sente come sperduta. L’ha aiutata nel risolvere i problemi del momento attraverso persone competenti della comunità. Ora qualsiasi cosa succede lei telefona e chiede cosa fare, come prima faceva col marito. Non riesce ad affrontare la vita da sola. Pian piano dovrà pure imparare. Passano i mesi, ma la situazione non cambia.

Lei è giovane, intelligente ed anche attraente. Ha un cuore che prima batteva forte per colui che più non c’è ed ora, senza che lei lo voglia, sembra impazzire per un uomo che sa non potrà mai essere suo. Il parroco va per la sua strada e neanche si accorge delle attenzioni che lei gli rivolge con piccoli regali, fino a quando un giorno se la vede arrivare con un dono insolito: un libretto di poesie. È avvolto in un pacchetto con altre cosine e deve aprirlo - come lei gli dice con una certa insolita energia - da solo nella sua stanza.

Legge e resta turbato, forse anche un po’ intrappolato, perché il cuore fa scherzi inattesi. Capisce che dovrebbe parlarne con i suoi amici sacerdoti, perché da tempo hanno fatto con loro un patto, quello di dirsi tutto e subito senza aspettare che sia troppo tardi. Ma lascia passare i giorni e intanto la gente comincia a parlare.

Si sa che il popolo conosce sempre tutto del suo prete e, a volte, più di quanto conosca lo stesso interessato. Nel nostro caso tutti sapevano, mentre i due pensavano che ogni cosa fosse rimasta segreta.

La notizia arriva anche alle nostre orecchie. Cosa fare? «Non c’è tempo da perdere - suggerisce uno di noi. Andiamo da lui subito e parliamone insieme».

Siamo andati in tre, tutti suoi amici. Ci ha ricevuti con festa ed ha posto sul tavolo il suo miglior whisky, uno di quei regali che egli conserva per offrirlo agli amici più stretti.

È un pomeriggio autunnale, umido e uggioso e lo smog della città sembra impastato con l’aria. Ci voleva questo whisky per rischiararsi la gola e prendere coraggio.

Dopo un po’ uno di noi comincia: «Siamo qui, Giovanni, per parlarti di una cosa un po’ delicata....». E senza lasciar finire la frase, egli aggiunge: «Avrei dovuto venire io da voi a parlarvene, ma sono contento che siete qui. Voi mi volete veramente bene».

Racconta tutto e poi va a prendere il libretto delle poesie. È battuto a macchina con cura, ogni poesia è contornata da un disegno e la copertina è rivestita di un panno tutto ricamato a mano. Dentro un cuore innamorato.

«Cosa pensi di fare?». La risposta è sincera e decisa, d’accordo col suo carattere: «Tagliare!». Sì, tagliare, ma farlo bene. È una creatura umana, una mamma, una donna con una grande ferita nel cuore. Anche lei deve essere aiutata per accettare il taglio e per orientarsi dove Dio la chiama.

Si va da lei in due: l’interessato ed uno di noi. «Sì, dobbiamo andare in due, con Gesù in mezzo a noi, per poter portare la pace», aveva detto contento il nostro Giovanni.

Questa visita per lei è una sorpresa. Avrebbe gradito vederlo a casa sua da solo, anche se l’altro sacerdote è pure suo amico. Poi si parla del più e del meno fino a giungere al punto dolente. Ed è dolente davvero, perché la reazione della signora è un secco no, quasi dovesse difendere con le unghie e con i denti un sacrosanto diritto acquisito. Se ne stupisce persino Giovanni, perché tra loro due non c’è mai stato niente di compromettente. Lei aveva preso le sue iniziative, ma senza trovare alcun incoraggiamento.

I bambini sono a scuola e lei può alzare la voce per gridare che la chiesa non è madre, ma matrigna e che ne avrebbe tirato le conseguenze. Sono stati momenti drammatici: lacrime, grida, minacce di suicidio. Abbiamo conservato la calma. Ci siamo salutati e Giovanni le ha detto che poteva telefonarci per qualsiasi evenienza e che noi saremmo tornati insieme ad aiutarla secondo le nostre possibilità.

L’abbiamo affidata ad una brava famiglia e, con tanta buona volontà, lei ha cambiato parrocchia. Dopo un anno la tempesta è passata e si è risposata. Oggi è nonna felice, con qualche capello bianco in testa, mentre Giovanni sulla testa non ha più neanche un capello, ma nel cuore di ambedue risplende la semplicità dei bambini del vangelo.

Due disegni di Dio da ammirare. Forse non si sarebbero realizzati, se in quel brumoso pomeriggio di novembre fosse venuto meno il coraggio di parlare.

E. P.

«Solo con Lui solo»

Trascriviamo un’esperienza che ci sembra sintomatica, perché mette a nudo certe «tentazioni sottili» che possono offuscare la nostra totale donazione a Dio.

Ho sempre avuto una certa difficoltà ad accettare che alcune persone che seguivo spiritualmente, a un certo punto, si rivolgessero ad un altro sacerdote, fosse anche solo per la confessione. Soffrivo, riconoscevo in questo un attaccamento, mi proponevo di liberarmene, ma ogni volta mi ritrovavo allo stesso punto.

L’esperienza di questa Pasqua è stata per me straordinaria e lo è ancora, perché mi sembra che Dio stia purificando il mio cuore per dilatarlo nell’amore. Ma procediamo con ordine.

Da quando sono in questa parrocchia, quasi due anni, diverse persone vengono da me per colloqui o per la confessione e seguono un cammino spirituale. Tra questi una giovane a cui avevo proposto un incontro mensile per la direzione spirituale, vista la sua sensibilità religiosa. Ci eravamo trovati due volte e mi sembrava che tutto andasse molto bene. Poi, da qualche mese, non aveva più chiesto il colloquio, nonostante continuasse a frequentare.

Nel ritiro quaresimale per sacerdoti è stato presentato il tema sull’affettività del prete. Mi ha colpito soprattutto il fatto che, quanto io insegnavo nei corsi per fidanzati sul passaggio dall’affettività all’amore, ora veniva detto a me. Ho preso più coscienza della presenza in me del mondo affettivo. Ho capito anche che la realtà spirituale, presente in me, doveva essere il punto sintesi della mia persona che illumina anche il mondo dell’affettività.

Ho letto con gioia il bellissimo messaggio del Santo Padre ai sacerdoti del giovedì santo sulla donna accanto al sacerdote come sorella e madre.

È arrivato il triduo pasquale. Tutte le persone che mi aspettavo dovessero venire a confessarsi da me, andavano invece da un altro sacerdote e da parte mia dovevo ascoltare confessioni che non suscitavano particolari emozioni. Stavo male, sentivo un dolore nell’anima, ero nel buio, mi stancavo molto e anche di notte non riuscivo a riposare. Anche la giovane che seguivo spiritualmente ha preferito confessarsi con un altro.

Ho capito che Dio voleva dirmi qualcosa. Mentre sentivo un certo disagio, mi veniva di cantare il Magnificat e non capivo il perché. Continuavo ad essere nel buio. La notte dopo la veglia pasquale ho dormito poco: ero stanchissimo, ma avevo la forza di ripetere continuamente: «Sei tu, Signore, l’unico mio bene».

Anche il giorno di Pasqua avevo l’anima dolorante, ma a sera, quando ho iniziato il rosario, a poco a poco l’anima si è aperta alla comprensione.

Ho capito che finora la mia affettività era abitata «in modo tranquillo» da alcune persone che la mantenevano in una situazione di appagamento. Queste persone, che non costituivano un pericolo immediato per il mio celibato, sembravano quasi necessarie per il mio equilibrio affettivo. La difficoltà nasceva solo quando qualcuna usciva dal raggio della mia affettività. Ma il problema veniva superato perché, anche se quella persona non ritornava, c’era sempre qualcun’altra che si aggiungeva.

Dio aveva fatto piazza pulita nel mio cuore ed io ero rimasto solo: mi guardavo intorno e non trovavo nessuno. Ed ho finalmente capito con molta chiarezza che il mio mondo affettivo non era abitato da Dio solo. Mi è stato chiaro che dovevo dargli tutto il mio cuore, la mia affettività. Era una nuova scelta di Dio che mi veniva chiesta e Dio stesso mi dava la grazia di compierla.

Avevo scelto Dio con tutta la mente quando era crollato il mio progetto di sacerdozio e avevo messo Dio prima del sacerdozio. Avevo scelto Dio nel mondo della volontà quando avevo deciso di non fare più la mia volontà, ma quella di Dio. Ora dovevo scegliere Dio nel mondo dell’affettività. È una scelta che presuppone il perdere.

Il dolore fortissimo durante il triduo pasquale di quest’anno ha costituito la purificazione della mia affettività; ora su questa morte Dio sta costruendo la vita di un amore più puro.

Voglio rimeditare a fondo quello scritto straordinario di Chiara Lubich che invita a «dilatare il cuore sulla misura del cuore di Gesù».

Nuovi orizzonti mi si sono spalancati davanti: amare tutti senza distinzione e senza attendermi ritorni. Vorrei poter dire, tra non molto, di amare Dio con tutto il cuore e ogni prossimo per Lui solo.

 

N. M.