Dalla Germania un’analisi e una proposta sul celibato dei presbiteri diocesani

 

Quale stile di vita
per il celibato dei preti?

di Wilfried Hagemann

 

 

In Germania sono in continuo aumento i divorzi, che raggiungono quasi il 50% fra le giovani coppie; numerosissimi poi sono coloro che convivono senza sposarsi, come pure i singles che preferiscono vivere da soli, senza però rinunciare a una vita sessuale. La sessualità è vissuta nella più totale libertà da ogni norma. In questo ambiente la vita celibataria, la verginità, viene considerata impossibile, inumana, quasi segno di un deficit psichico o mentale. L’autore dell’articolo, attualmente rettore del seminario teologico di Münster, fa una lettura oggettiva del fenomeno e propone un ascolto più attento a quanto lo Spirito suggerisce oggi alla sua chiesa.

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isogna riconoscere che, almeno nel mio Paese, uno stato di vita come quello celibatario, che di per sé dovrebbe parlare al mondo dell’amore immenso di Dio, ha perso la sua credibilità non solo nella società in generale, ma anche in ampi strati di coloro che frequentano le nostre parrocchie.

I diaconi, ormai prossimi all’ordinazione presbiterale, ritornando in seminario dopo aver trascorso un anno nella pratica pastorale, dicono che i parrocchiani non capiscono più come dei giovani buoni e intelligenti si obblighino a vivere nel celibato per tutta la vita.

In simili ambienti anche le persone che hanno scelto la verginità come donazione personale a Dio e alla chiesa, ad un certo momento possono sentirsi demotivate, vedendo che la loro scelta non è valorizzata dalla comunità che vogliono servire.

Casi emblematici

Voglio presentare brevemente alcuni casi che sottolineano questa situazione drammatica. Un sacerdote da quattro anni vicerettore del seminario maggiore, poco dopo aver ricevuto una parrocchia comunica al suo vescovo di non essere più in grado di continuare nel ministero, perché non riesce più ad avere un contatto con Dio: ha perso la fede. In tale situazione ritiene che la sua predicazione non sia più credibile.

Un altro sacerdote, che da almeno due anni aveva un’amica, cambia parrocchia. Ma tre mesi dopo dichiara di voler lasciare la chiesa cattolica per entrare nella chiesa vecchio-cattolica, con la quale ha già stipulato un contratto di lavoro pastorale. È andato dal vescovo quando tutto era già concluso, mettendolo nettamente fuori gioco, benché questo vescovo sia veramente un padre per tutti i sacerdoti e li sappia ascoltare uno per uno.

Un altro ancora chiede al vescovo di poter iniziare una vita comunitaria spirituale con una assistente pastorale molto giovane. Il vescovo parla diverse volte con il sacerdote, spiegandogli che una tale comunità non va d’accordo con una vita celibataria. Il sacerdote rinunzia al progetto, ma due mesi dopo comunica al vescovo che questa assistente pastorale aspetta un bambino, di cui è padre. Anche lui smette il ministero e sposa civilmente la ragazza.

Un sacerdote, ordinato da tre anni, celebra con tutta la parrocchia e con il suo parroco, che è anche il decano del capitolo, la pasqua in una maniera toccante sia in chiesa sia nell’agape dopo la liturgia. Il giorno dopo, senza dire niente al parroco, scrive al vescovo di voler dare le dimissioni dal sacerdozio. Dopo 10 giorni scompare e più tardi si viene a sapere che è andato a vivere in un ambiente omosessuale.

Un parroco, dopo aver celebrato con grande solennità il suo cinquantesimo di sacerdozio insieme a tutta la parrocchia, alla fine della liturgia benedice tutti e li invita al ricevimento nella sala parrocchiale. Egli però non si presenta e manda a dire che proprio in questo momento ha lasciato il ministero.

Cresce il pessimismo

Di fronte a simili collassi spirituali, non infrequenti anche tra sacerdoti giovani e ancora freschi di ordinazione, l’apprezzamento della vita celibataria sta continuamente calando anche negli ambienti ecclesiali. Alcuni teologi, di fronte ad una situazione sempre più insostenibile, affermano che bisogna rivedere la prassi del celibato dei presbiteri, evitando conformismi e ipocrisia.

In diversi sinodi diocesani, quando si discute sul nesso tra sacerdozio e celibato si chiede, quasi spontaneamente e con percentuali molto elevate, di aprire l’accesso al sacerdozio anche ad uomini sposati, perché non si capisce bene la verginità e perché si teme per la crescente scarsità di sacerdoti. Per cui si ha la fondata impressione che anche dentro la stessa chiesa si pensa che il valore del celibato sia ormai in declino.

La dichiarazione del Comitato Centrale dei Cattolici Tedeschi, pubblicata alla fine dell’anno 1994, ha parlato apertamente e con grande vigore sul valore unico e indispensabile della vita celibataria, per una chiesa che voglia testimoniare oggi l’amore infinito di Dio a un mondo che tanto soffre, anche se alla fine chiede l’accesso al sacerdozio per uomini maturi sposati.

Ma il Comitato Centrale mette il dito su un problema molto acuto in questo contesto, cioè sull’impossibilità di una vita celibataria in Germania se il sacerdote vive da solo e per proprio conto, e chiede alla chiesa di iniziare un dialogo molto intenso sull’intera vita del sacerdote, facilitando la nascita e lo sviluppo di forme nuove e comunitarie di vita. Anche se ogni sacerdote deve rimanere libero di organizzare la sua vita personale, è necessario che la chiesa studi e appoggi forme di vita che siano più adatte alla vita celibataria, come suggeriva già il Vaticano II. Forse la crisi odierna ci avverte che siamo già in ritardo, non avendo preso sul serio a suo tempo i suggerimenti del Concilio.

La risposta dello Spirito

D’altra parte queste nuove forme di vita non si possono studiare a tavolino nelle curie e tanto meno si possono imporre. Esse devono nascere dallo Spirito e devono diffondersi per libera scelta dei sacerdoti stessi. I vescovi possono solo riconoscerne il valore, proporle ed incoraggiarle, come in molti luoghi stanno facendo.

Difatti in questi ultimi decenni si sono sviluppate diverse associazioni sacerdotali che promuovono un nuovo stile di vita tra i preti. Nella varietà di questi gruppi si possono individuare associazioni puramente regionali, con un influsso crescente, perché i vescovi danno loro molto appoggio come lo si poteva constatare già nella famosa lettera pastorale della Conferenza episcopale tedesca sul servizio sacerdotale, pubblicata nel 1993.

Altre associazioni si sono costituite, alimentandosi con la vita, la teologia e la spiritualità dei moderni carismi fioriti nella chiesa. Penso alla fraternità Jesus Caritas della spiritualità di Charles de Foucauld, alla famiglia spirituale di Schönstatt, al movimento carismatico e al movimento sacerdotale dei Focolari.

I focolari sacerdotali

L’idea del focolare sacerdotale ha suscitato in Germania una certa attrattiva nel clero. L’esperienza della presenza di Gesù risorto fra quelli che si amano e cercano di vivere insieme il vangelo, ha riscosso l’attenzione e l’interesse di tanti. Vivere il vangelo in ubbidienza continua a Dio e al prossimo, mettere in comune idee, esperienze ed anche beni materiali, tutto questo non soltanto rende liberi e semplici, ma crea tra i sacerdoti uno stile di vita profondamente fraterno, che apre ai bisogni delle nostre parrocchie, favorisce lo sviluppo degli aspetti positivi in esse esistenti, mette in luce l’attualità del vangelo e fa sperimentare l’amore infinito di Dio per ogni essere umano in una società tanto secolarizzata e caotica. Proprio questo aspetto comunitario e per se stesso evangelizzante ha attratto tanti sacerdoti cattolici e oggi anche alcuni pastori evangelici.

L’esperienza di questo stile di vita, iniziata tra alcuni di noi quasi 40 anni fa, sta dimostrando che l’unità, quando è vissuta, rinnova i sacerdoti interiormente e dà nuovo slancio alla loro missione. Essi, quando non vivono insieme, si incontrano settimanalmente. Sebbene tutto ciò fosse già suggerito dal Concilio, all’inizio ritirarsi per un giorno dalla propria parrocchia sembrava un assurdo, una mancanza di responsabilità, anche se poi - come l’esperienza stessa dimostrava - si serviva ancora meglio la comunità.

Nonostante le difficoltà e le incomprensioni, l’esperienza portava tanta luce da farci sperimentare una grande libertà interiore e capivamo che valeva la pena continuare per essere più radicati in Dio e, quindi, più chiesa. Non solo, ma abbiamo cercato tutte le possibilità per promuovere tra noi la vita comune ogni volta che le condizioni delle diocesi ce lo permettevano. Sono così sorte case parrocchiali con comunità sacerdotali stabili.

Il fatto che nelle diocesi tedesche abbiamo potuto dare vita a 27 comunità di questo tipo dimostra che i vescovi e i responsabili per la formazione del clero hanno capito e appoggiato questa iniziativa, ritenendola particolarmente preziosa per il clero.

I vantaggi di una vita di comunione

Il trovarsi insieme nella semplicità del quotidiano, pregando e prendendo i pasti insieme, porta spontaneamente ad uno scambio continuo di idee e alla domanda: «Cosa vuole Dio oggi da noi?». E constatiamo che il vedere insieme, alla luce del vangelo, il lavoro, la preghiera, lo svago, l’armonia della casa, lo studio, fa sperimentare la presenza di Gesù risorto «tra due o più riuniti nel suo nome», apre orizzonti nuovi riguardo a Dio, alla chiesa e alla vita personale e rende feconda l’attività pastorale.

In un tale clima è più facile parlare delle difficoltà che ognuno incontra e accorgersi della crisi di chi vive dentro o nell’ambito di questa comunità stabile. Abbiamo anche constatato che problemi personali delicati riguardanti il celibato, messi in comune, perdono spesso la loro drammaticità e si risolvono con naturalezza. Naturalmente questa non è una ricetta con effetti automatici, perché ognuno deve portare la propria croce. Quando, però, la croce è portata insieme diventa meno pesante.

Anche nell’ambito di tali comunità abbiamo dovuto constatare che l’uno o l’altro sacerdote non riusciva a vivere bene il celibato. Ma il background della comunità apriva loro una piattaforma per decidere bene, in armonia con la chiesa e con la propria coscienza senza prendere decisioni avventate.

Dall’altra parte troviamo in queste comunità anche uno spazio per capire meglio il nostro disegno come presbiteri della chiesa cattolica oggi.

Non posso dimenticare una riunione di circa 35 sacerdoti che hanno messo in comune le loro impressioni dopo che uno del gruppo, senza preavviso, aveva lasciato il ministero. In questa occasione veniva fuori non tanto il dolore o la delusione per un amico e compagno di viaggio che era partito, quanto una rinnovata decisione di continuare nella sequela di Gesù. E, guardandoci attorno, sperimentavamo una gioia profonda, scoprendo tante persone, sacerdoti e laici, uomini e donne, tutti uniti dall’amore reciproco, che plaudivano alla nostra scelta.

Naturalmente queste comunità non si mantengono in piedi in maniera automatica e miracolistica, ma hanno bisogno di un ampio respiro e di persone esperte che le accompagnino. All’inizio non vedevamo questa necessità ma, dopo esperienze buone e meno buone, abbiamo capito che una piccola comunità non può stare in piedi da sola. Essa ha bisogno di essere integrata in una rete più grande. In questo ci aiuta molto concretamente il fatto di far parte di un Movimento internazionale con una Scuola sacerdotale, dove è possibile passare un periodo di formazione per apprendere, in maniera teorica ed esperienziale, a vivere la spiritualità dell’unità, con un Centro internazionale che organizza incontri annuali di spiritualità, di aggiornamento pastorale e teologico, che costituiscono un continuo nutrimento di sapienza applicata alla vita e mettono in circolazione innumerevoli esperienze ed eventi del Movimento e della chiesa nei vari Continenti. Viene messa così in atto la formazione permanente di persone capaci di portare avanti anche un dialogo interculturale e interconfessionale, oggi indispensabile. In questo modo la vita celibataria non resta isolata nella diocesi, ma entra in un gioco di comunione ecclesiale con respiro mondiale.

In questo contesto la nostra vita cristiana, approfondendo l’unione con Dio in maniera personale e comunitaria, fa scoprire il valore del fratello, visto non più come ostacolo, ma come via provvidenziale per andare più speditamente verso Dio. In queste comunità i rapporti fraterni sono molto più profondi di quelli con i propri parenti, e i sacerdoti si promettono a vicenda di essere disposti a dare la vita gli uni per gli altri secondo la parola di Gesù: «Nessuno ha amore più grande di chi dà la vita per i propri fratelli».

Avendo sperimentato ormai da anni questa vita di comunione, posso dire con profonda convinzione che solo così il celibato può essere vissuto con gioia e torna ad essere credibile presso il mondo d’oggi.

D’altra parte non si tratta di un’esperienza solo tedesca, perché questo stile comunionale di vita è seguito ormai da moltissimi preti nei cinque Continenti ed ovunque con gli stessi frutti.

In Germania la vita celibataria dei presbiteri, vissuta in questa forma, per parecchi è già un progetto in atto e per altri una sfida che vale la pena raccogliere.

 

 

 

Wilfried Hagemann