«Solo Maria poteva suscitare una vocazione così, lei che era madre ed era vergine...»
Sposati: verginizzati dall’amore
a cura della redazione
Gli sposati sono chiamati ai più vasti orizzonti, non limitati alla famiglia, ma aperti sull’intera umanità. Inoltre non esistono cristiani «di serie B»: tutti i battezzati sono fatti per la santità, che consiste nella perfezione dell’amore evangelico. Quale rapporto esiste fra santità e verginità? E fra carità e verginità? In quale senso gli sposati sono chiamati ad essere «verginizzati»? Quali rapporti fra vocazione al matrimonio ed alla verginità? Sono alcune delle domande a cui rispondono Lucia e Paolo Crepaz, medici, lei deputata per due legislature, lui anche giornalista, genitori di cinque bambini ed un altro in arrivo. Lo fanno in base alla loro personale esperienza, inseriti in un Movimento al cui interno è sbocciata una «consacrazione» degli sposati, nuova nella chiesa.
Verginità: misura dell’amore
GEN’S: Cosa pensate della verginità, che valore ha per voi che siete sposati?
PAOLO: La verginità racchiude in sé il profumo della perfezione, della donazione totale. Dio rivela, a quelli che chiama, la bellezza del donare tutto, dell’essere fin da questa vita ciò che tutti saremo poi in cielo. Essi anticipano sulla terra il dover essere del Paradiso. È una dimensione che affascina ogni creatura, anche noi sposati. Ed è così che, guardando al vergine, gli sposati trovano la misura dell’amore, la meta del quotidiano amore reciproco: totale e perfetto. Fino al dono totale di sé, spirituale e fisico, nella vita di coppia. Se il vergine dona la sua vita e può generarne per questo spiritualmente un’altra, l’amore di una coppia suscita vita, e non solo in senso materiale. È un modo diverso di concorrere al divenire della creazione, accanto a quello sublime dei vergini.
Tutti chiamati alla «verginità»
GEN’S: C’è, secondo voi, un legame fra la dimensione della verginità e la vita nel matrimonio?
LUCIA: La verginità ci sembra anzitutto, in senso lato, la vocazione di ogni figlio di Dio. «Vergine» in quanto si stacca da tutto, non possiede nulla, non è legato a idee o cose, a beni terreni o ad attaccamenti, ma possiede un solo tesoro: il Padre che lo ama. È questo Padre che con tutto il cuore, la mente, le forze cerca di amare, e a cui dona la sua esistenza. Nel matrimonio questa dimensione è possibile, almeno spiritualmente, per l’amore, perché l’amare diventa lo stile di vita, vivendo ‘fuori di sé’ nella ricerca del rapporto con l’altro, il coniuge in primo luogo. La possibilità di vivere così l’amore tra i due può anzi diventare un riverbero che potenzia il rapporto personale con Dio. La bellezza e le difficoltà della vita in famiglia sono ingredienti quotidiani per rendere sempre più puro e fertile l’amore per gli altri.
Lasciarci reciprocamente liberi
GEN’S: Entrando più nel concreto, come avete vissuto questa realtà da fidanzati?
LUCIA: Quei due anni sono stati molto importanti: per conoscersi, per imparare a volersi bene, per ascoltarsi e fare posto all’altro dentro la propria vita. È evidente che l’amore si esprime in tanti aspetti e tante sfumature, fra questi anche il desiderio di un rapporto fisico. Ci siamo chiesti in tante occasioni cosa significasse e che senso avesse vivere la purezza, quando l’amore per l’altro ti spinge a dare tutto. In quei momenti è venuto in luce, oltre l’educazione cristiana ricevuta o il rispetto delle indicazioni della chiesa, il senso profondo dell’amore per l’altro, il desiderare il vero bene dell’altro. In questo senso abbiamo scelto di «non appartenerci», di lasciarci reciprocamente liberi, fino ad... un minuto prima del matrimonio.
Questa scelta ha portato molti frutti e ci ha dato tanta gioia. Si sono moltiplicate le risorse e la fantasia per conoscerci davvero: parlare della nostra vita futura assieme, del lavoro che avremo o non avremo svolto, dei figli, della loro educazione, del nostro rapporto con Dio, delle nostre difficoltà.
Era spesso talmente evidente, senza che lo sapessimo, la profondità della nostra intesa, che venivano a consigliarsi con noi coppie di amici che convivevano da tempo, i quali anche stando bene tra loro, ci dicevano: «Vogliamo volerci bene come riuscite a farlo voi».
Grazie a questa tappa vissuta così, poi nel matrimonio ci siamo ritrovati una ricchezza di rapporto costruita ed un senso di maggiore rispetto uno per l’altro...
Un amore senza misura
GEN’S: È possibile continuare un tale stile di vita, nella sostanza, anche da sposati?
PAOLO: È una realtà quotidiana, fatta di piccole e grandi cose. Si tratta ad esempio di vedere Lucia «nuova» ogni mattina: facile a dirsi, ma poi nel concreto... Mi accorgo di conoscere ormai tanti aspetti di lei, del suo modo di fare, delle sue abitudini, per cui è facile «chiuderla» in una figura nota. Quando al mattino mi faccio la barba, davanti allo specchio, da solo, spesso è un’occasione buona per svuotare la mente e dare a Lucia un posto nuovo nei miei pensieri. Si tratta ancora di aver scoperto assieme che il rapporto fisico tra noi ha un senso ed una bellezza solo se esprime, se completa, una condivisione piena fra noi.
Ma ci sono state anche occasioni più difficili: ad esempio quando assieme abbiamo accettato la candidatura di Lucia al Parlamento, che le era stata richiesta, e la successiva elezione a deputato. Ci si prospettavano davanti degli anni (sarebbero poi stati sette) di parziale lontananza, di rapporto da ricominciare decine e decine di volte. Sono stati anni molto importanti e difficili nel realizzare tra noi la misura dell’amore, cioè... senza misura. Ma i frutti dentro e fuori la nostra famiglia ci sembrano impagabili.
Con i figli...
GEN’S: Come vivete questa realtà con i vostri figli?
LUCIA: Tanti fallimenti, piccoli e grandi, ci hanno fatto perdere da tempo l’idea di genitori perfetti! L’esperienza personale dell’amore e della misericordia di Dio ci ha fatto capire come l’unica ricchezza che abbiamo da donare loro sia il nostro desiderio, la nostra attenzione a volerci bene, a chiederci scusa e ricominciare, fra noi e con loro. Ci ricordiamo spesso di una frase di Chiara Lubich: «I figli hanno bisogno non tanto di due genitori che li amino, ma che si amino».
Nella misura in cui realizziamo questa realtà essi scoprono, ci sembra, la dimensione dell’amore per gli altri, l’apertura, la solidarietà, ma soprattutto sperimentano di avere un Padre che li ama, che li perdona e che offre a ciascuno, ogni giorno, una chance per ricominciare.
Questa stessa realtà ha aperto loro gli occhi e il cuore sull’umanità che ci circonda e li ha preparati a scelte di disponibilità come quella di accettare la mamma in Parlamento o il trasferimento della nostra famiglia per lavorare per il Movimento.
C’è poi una responsabilità che sentiamo, come affidata a noi, davanti a Dio: creare nella nostra famiglia un ambiente che possa non disturbare la voce di Dio che ogni momento potrebbe passare e chiamare qualcuno dei nostri figli al dono splendido della verginità.
Rapporti tra sposati e vergini
GEN’S: Che rapporto avete sperimentato fra chi è sposato e chi è vergine?
PAOLO: Nella nostra vita abbiamo avuto l’avventura di aver incontrato Chiara Lubich che, alla luce del suo carisma dell’unità, e a contatto con Igino Giordani, grande personalità politica e della chiesa, ha visto, per gli sposati come lui assettati di santità e di perfezione, la possibilità di una particolarissima vocazione, nuova dentro la chiesa.
Lei stessa ricorda: «[Nel 1953] una sessantina di focolarini si consacravano a Dio col voto di castità. Racconto questa bella notizia a Giordani e lui mi fa un panegirico della verginità... era così umile, forse vedeva un ideale per lui [che era sposato] impossibile. E di colpo io dico: ma se tu ami, se la tua vita è solo amore, tu sei verginizzato, l’amore verginizza. Se tu sei solo amore, questo verginizza. Ma si potrà suggellare questo con una promessa: che tu fai sempre tutto per amore; così sei vergine, povero e obbediente...».
E così è nata, anche per tanti altri che l’hanno ereditata, la chiamata per gli sposati al focolare, una «convivenza» di vergini e di sposati sull’esempio della famiglia di Nazaret: poter vivere tutti, vergini, o verginizzati dall’amore, in uno scambio reciproco di doni e di ricchezze, staccati dal mondo, secondo il proprio stato, ma dentro il mondo, ognuno mettendo Dio al primo posto.
a cura della redazione