«L’insegnamento del Cristo sul matrimonio e sul celibato continua ad essere rivoluzionario, oggi come lo fu il primo giorno»

 

Un cuore pieno d’mmenso amore

di Roger Schutz

 

«Storicamente l’insegnamento morale protestante, insistendo sul valore del matrimonio, ha sensibilmente svalorizzato il celibato... Più recentemente, sotto l’influsso dei rapporti ecumenici che hanno permesso una migliore comprensione delle pratiche delle altre chiese, il protestantesimo ha rivisto la sua posizione. La creazione di comunità religiose protestanti (Taizé, Grandchamp, Reuilly, Pomeyrol... ) ha portato a ridare un senso positivo alla vocazione al celibato. Si è ritrovata così una tradizione cristiana che risale ai tempi apostolici»1. Queste righe di uno dei più noti specialisti protestanti di etica, possono ben introdurre le pagine che riportiamo, tratte da un libro scritto dal fondatore di Taizé2.

L

a castità del celibato è possibile soltanto a causa del Cristo e del vangelo: importa ricordarlo a coloro che hanno abbandonato moglie, figli, campi... se si rifiuta questa visione, si è condannati in anticipo all’amarezza, allo scacco e forse al decadimento spirituale: la pienezza della vita cristiana, altrettanto grande nel celibato che nel matrimonio, viene distrutta alla base.

Questa realtà è così difficile da comprendere che non possiamo condannare quelli che non afferrano l’insegnamento del Cristo sul celibato. Egli stesso insiste: «può comprendere solo colui al quale ciò è stato dato». (...)

Nell’Antica Alleanza

Invero, in Israele, il matrimonio viene concepito come un obbligo naturale, segnato sempre dal ‘crescete e moltiplicatevi’. Importa anzitutto assicurare la discendenza ad Abramo, donde l’insistenza sulla procreazione, in vista della sopravvivenza del popolo d’Israele. Ma, se si guarda da vicino la facilità estrema concessa per il divorzio, ci si rende ben presto conto che la monogamia in Israele rischia d’essere una poligamia, attraverso monogamie successive. Si salvaguarda cosi il comandamento primitivo: «Tu non commetterai adulterio», tranquillizzando al tempo stesso la coscienza morale dell’uomo.

Poiché, per la legge religiosa, tutti devono sposarsi, si può affermare che, al momento della venuta del Cristo, in Israele non esiste una vera vocazione al matrimonio giacché non esiste una scelta liberamente consentita.

La novità portata da Cristo

Cristo vien dunque a stabilire un ordine nuovo. Vi sono d’ora innanzi nella chiesa due vocazioni difficili, fatte di rinunce, di limitazioni e di sacrifici. Il matrimonio, realmente monogamico, dal quale è escluso il divorzio (...) e il celibato. D’ora innanzi non vi è più bisogno di procurare ad ogni costo discendenti ad Abramo. Gesù stesso, realmente uomo e pienamente Dio, accetta per sé la scelta del celibato a causa del regno dei cieli.

Matrimonio e celibato sono tutti e due degli assoluti cristiani. Tutti e due, a causa del Cristo, sono prefigurazioni del regno futuro. Tutti e due impongono delle condizioni di vita, minacciate da pericoli, le quali non possono essere accettate se non a causa di Cristo e del vangelo.

La preoccupazione della Riforma

La Riforma, preoccupata di fondamenti scritturali, è tuttavia molto spesso ritornata - per quanto concerne il celibato - ad una posizione vetero-testamentaria.

Nel XVI secolo si vedevano anzitutto alcuni abusi del celibato ecclesiastico. Certissimamente l’assenza di una teologia del celibato ha mantenuto nelle masse protestanti il rifiuto ad un impegno nel celibato cristiano. Infatti nella maggior parte di essi nasce una ribellione di fronte alla rinuncia dell’amore dell’uomo per la donna. (...)

Come volete pertanto che la tensione sparisca, finché si rifiuterà di considerare il celibato cristiano come una chiamata di Dio?

Si accetta tutt’al più, del celibato, l’utilità pratica, appoggiandosi allora su san Paolo, mentre ciò che costituisce veramente la chiamata al celibato è ben più che il segno estremo di contraddizione ch’esso rappresenta in seno ad un mondo ostinato, dalle orecchie chiuse e che ha bisogno di segni visibili.

Nel clima erotizzato del mondo occidentale, una vita offerta in un’autentica castità, in nome del Cristo, pone un problema d’apertura spirituale. (...)

Nella sequela dei Signore

Ma - è opportuno ripeterlo qui - il matrimonio e il celibato cristiano non sono validi se non in una ricerca di obbedienza al Signore della chiesa, con l’unico fine di amarlo maggiormente.

Essi non saranno mai causa di impoverimento della personalità, se sono accettati per amore del Cristo e del prossimo. In caso contrario, rapidamente essi costituiscono una involuzione nella ricerca di se stessi: non amiamo più a causa del Cristo e del vangelo, ed il nostro amore, lungi dal donarsi, vuole anzitutto possedere e accaparrare per se stesso.

Così appunto i migliori sposi possono fare del loro focolare una cellula votata alla morte, perché tutto è in funzione della felicità naturale; si vedono genitori cristiani che arrivano ad amare i loro figli solo per soddisfazione propria.

E non vi sono forse dei celibi che si lasciano, poco a poco, scivolare su questo pendio? La loro sensibilità troppo viva, la paura di manifestarsi si mutano per essi in una sensibilità introversa e generano degli esseri pieni di suscettibilità.

Se la carità del Cristo non s’impadronisce del nostro essere nella sua totalità, se non ci lasciamo infiammare dal suo amore, non potremo pretendere di raggiungere la pienezza del matrimonio o del celibato cristiano.

Per tutti coloro che sono entrati nella grande famiglia monastica, l’impegno definitivo al celibato manifesta la volontà di diventare l’uomo di un solo amore. La vocazione monastica così come lo indica il suo significato originario, vocazione di solitudine - comporta, per colui che vi risponde, una certa solitudine con Dio. Ora, dovendo amare veramente Dio, invisibile, senza odiare gli uomini che si vedono, colui che vive di questa vocazione alimenta il suo potere di amare all’unica sorgente, il Cristo. Per mezzo della castità del celibato, egli tende a diventare veramente l’uomo di un solo amore. (...)

Legarsi per tutta la vita?

Per quello che concerne il celibato ci siamo interrogati sul diritto di legarsi per tutta la vita: sarebbe questo un trattenere la libertà dello Spirito Santo? Ma allora non facciamo dei ragionamenti sulla libertà di Dio, con l’unico scopo di risparmiare noi stessi, come se Dio non fosse abbastanza libero e potente per far sentire il suo appello? Per noi, la sola risposta consiste nell’impegnarci unicamente in conseguenza delle promesse del Cristo: «Colui che avrà lasciato padre, madre, moglie, figli... riceverà quaggiù il centuplo e nei secoli che verranno la vita eterna». Se ci s’impegna col Cristo, subito egli s’impegna con noi. È questa una verità d’esperienza, che ha confermato per noi una chiamata che verrà capita pienamente forse solo da colui al quale ciò è stato dato.

«Se il celibato apporta una maggiore disponibilità per occuparsi delle cose di Dio, non può essere accettato che per donarsi maggiormente al prossimo con l’amore stesso del Cristo. Il nostro celibato non significa né rottura con gli affetti umani, né indifferenza: esso richiede però la trasformazione del nostro amore naturale. Solo Cristo opera la conversione delle passioni in un amore totale per il prossimo. Quando l’egoismo delle passioni non è superato da una progressiva generosità, quando il cuore non è costantemente ripieno di un immenso amore, tu non puoi lasciare che Cristo ami in te, ed allora il tuo celibato ti peserà. Quest’opera del Cristo in te esige un’infinita pazienza» (dalla Regola di Taizé).

L’eroicità di una scelta

L’impegno della castità è un richiamo a vivere una purezza radicale, e ciò in condizioni di vita talvolta esposta; non sarebbe esagerato parlare allora di una castità eroica, in una lotta necessaria, che ci lega al Cristo corpo ed anima.

La purezza di cuore ha per effetto di farci vedere Dio: «Beati i cuori puri, essi vedranno Dio». Bisogna confidare in questa promessa di vedere Dio, di vederlo molto presto, di vederlo già nella nostra vita terrena. Ciò solo, infine, conterà. Senza questo desiderio di vedere il Cristo, non bisogna sperare di poter resistere nella purezza del cuore e della carne. Senza quest’attesa, alimentata, rinnovata in sé con la contemplazione silenziosa della persona stessa del Cristo Dio, ogni purezza è impensabile, talmente la privazione definitiva e senza ritorno di ogni desiderio carnale, anche immaginativo, sembrerebbe dover condurre ad una sorda rivolta, talmente vi è in ogni essere un bisogno d’intimità totale, che aspira all’appagamento - bisogna dirlo - attraverso l’intimità corporale.

Per resistere nella castità, per rispondere all’appello della purezza di cuore, per rimanere nell’autenticità, solo il desiderio di vedere il Cristo sarà capace di estinguere questa sete. A poco a poco, tutto ciò che è torbido e inconfessato, viene travolto, nostro malgrado, dalla contemplazione del Cristo vivente nel vangelo e glorioso nella preghiera della chiesa.

«Strappare l’occhio, tagliare la mano, occasione di caduta»: ogni disciplina non può essere accettata che a causa del Cristo e del vangelo. Bisogna certamente combattere come un buon ginnasta nell’arena, per conseguire il premio; strappare l’occhio col fine di creare delle abitudini nuove, e di dominare un intero meccanismo interiore, capace, in questa o quella situazione, di mettere in moto il corteo delle immaginazioni. Al termine del cammino trovare il riposo della nostra vita carnale vivendo col Cristo in Dio. (...)

Solo il nostro sguardo sul Cristo permette la lenta trasformazione. Poco per volta l’amore naturale si cambia in carità vivente; il superamento è operato. Il cuore, l’affettività, i sensi, l’umanità sono sempre lì ben vivi, ma è un Altro, al di fuori di noi, che li trasfigura.

Roger Schutz

 

1)   E. FUCHS, Sexualité, in: Encyclopédie du protestantisme, Ed. Du Cerf - Labor et Fides, Parigi-Ginevra 1995, p. 1456.

2)   R. SCHUTZ, L’oggi di Dio, Morcelliana, Brescia 1982, pp. 85-92.