La chiesa in Italia

L’

autore, protagonista in prima linea al Convegno di Palermo, fa una presentazione teologico-pastorale della Nota dell’episcopato italiano del 26 maggio di quest’anno. Si tratta del documento che dovrà guidare concordemente e creativamente tutte le componenti di questa chiesa nei prossimi anni verso il Giubileo del 2000, in sintonia con l’itinerario tracciato per la chiesa universale da Giovanni Paolo II. Il commento, a motivo della sua estensione, sarà pubblicato in due puntate.

 

Col dono della
carità dentro la storia

«Il Convegno di Palermo – si dice in un recente volume di S. Lanza e di S. Gaeta – ha il sapore degli inizi. È una ispirazione»1.

È vero che è il frutto di tutto un cammino precedente, dal Concilio sino ad oggi. Ma è pure vero che è un nuovo inizio. Tale nuovo inizio – mi sembra – sta proprio qui: è venuto il momento di un rilancio creativo e maturo del Vaticano II nella prospettiva della nuova evangelizzazione, ovviamente aggiornandone il messaggio ai nuovi segni dei tempi, dal momento che si è conclusa un’epoca della storia della Chiesa e della cultura occidentale e, conseguentemente, anche di una certa azione pastorale e di una certa proposta culturale.

Vogliamo qui indicare in modo molto sintetico alcune colonne portanti della Nota Pastorale, con cui i vescovi rilanciano – per dirla con ETC – la via italiana alla nuova evangelizzazione: un nuovo rapporto tra vangelo e cultura.

Si tratta di riscoprire l’originalità profetica e forgiatrice di storia di quella carità che possiamo definire – sempre sulla scia di ETCla matrice trinitaria della vita ecclesiale e della trasformazione del mondo. Sono convinto che il cambio di paradigma culturale che – a livello planetario – il passaggio al nuovo millennio esige, solo qui può trovare la sua sorgente e il suo approdo.

Le grandi direttrici

1. La vita secondo lo Spirito

In realtà, il primato della spiritualità di cui s’è parlato a Palermo e per cui – come ha annotato ad es. E. Franchini – questo terzo Convegno ecclesiale sarà forse ricordato come quello della «scelta spirituale»2, va inteso in senso alto e determinato. E cioè come richiamo alla costitutiva dimensione pneumatologica dell’esistenza cristiana.

La spiritualità, in altri termini, non va compresa come un di più decorativo, ma come l’innervatura dell’esistenza cristiana, grazie a quella presenza dello Spirito che rende attuale, nel cuore del credente e nel mezzo della vita della comunità cristiana e della storia, la presenza e l’azione di Gesù Crocifisso e Risorto Vivente oggi nella storia. «Agente principale della nuova evangelizzazione – ha sottolineato Giovanni Paolo II – è lo Spirito Santo: perciò noi possiamo essere cooperatori nell’evangelizzazione solo lasciandoci abitare e plasmare dallo Spirito, vivendo secondo lo Spirito e rivolgendoci nello Spirito al Padre (cf Rm 8, 1-17)» (n. 11).

Di conseguenza, «la prima risorsa e la più necessaria (per la nuova evangelizzazione) sono uomini e donne nuovi, immersi nel mistero di Dio e inseriti nella società, santi e santificatori. Non basta aggiornare i programmi pastorali, i linguaggi e gli strumenti della comunicazione. Non bastano neppure le attività caritative. Occorre una fioritura di santità» (n. 10).

Dare per scontata quest’affermazione e subordinarla di fatto ad altre considerazioni, molto probabilmente significa non aver esperienza di che cosa significa la grazia e la tensione alla santità cristiana.

L’anemia e scarsa incisività di tanta vita cristiana a livello di religiosità diffusa, gli opposti ed entrambi deleteri atteggiamenti dell’arroccamento apologetico e del compromesso con lo «spirito del mondo», il disorientamento e malessere che è riscontrabile anche all’interno  della fascia dei cristiani più impegnati non derivano proprio – lo notava già anni fa W. Kasper – dalla mancanza di una forte impronta spirituale, di una forma di santità all’altezza del vangelo e delle sfide di oggi?3

Anche K. Rahner diceva dopo il Concilio – e oggi questa sua affermazione acquista quasi un sapore profetico di fronte al revival selvaggio e ambiguo del «sacro», che fa da contrappunto al vuoto di senso lasciato dal secolarismo – che il cristiano di domani o sarà un mistico, e cioè uno che ha esperienza di Dio, o semplicemente non sarà4. Il fatto è che senza la «mediazione» vitale dello Spirito il fossato tra vangelo e storia resta, e resta invalicabile.

A Palermo si è presa più profonda consapevolezza di questa realtà, e si sono date alcune indicazioni. «Ci sono senz’altro modalità diverse di attuare l’unica santità – scrive la Nota – ‘‘come raggi dell’unica luce di Cristo riflessa sul volto della Chiesa’’ (VC, 16), ma gli elementi fondamentali sono comuni e accessibili a tutti: sono gli elementi di una spiritualità trinitaria e incarnata nel quotidiano» (n. 10).

La spiritualità di cui oggi s’avverte la necessità – e che di fatto, attraverso molteplici rivoli, più o meno nascosti, irriga già il tessuto ecclesiale – dev’essere alla portata di tutti, essendo spiritualità del Popolo di Dio che cammina nella storia secondo il messaggio del Concilio, e perciò non può non avere un taglio laicale5; dev’essere capace di convertire la fuga mundi in uno stare dentro il mondo senza confondersi con esso ma fermentandolo nella direzione di «cieli nuovi e terra nuova»6; dev’essere inoltre comunitaria, adeguata cioè all’ecclesiologia di comunione del Concilio, in grado anzi di attualizzarla7; dev’essere infine concentrata sul mistero pasquale di Gesù Crocifisso/Risorto/Veniente come chiave di realizzazione della sequela personale e comunitaria e di irradiazione della presenza di Dio nella storia.

In una parola, si tratta di una spiritualità che trae alimento dalla novità del vangelo della carità: che pone al centro, nella loro indissolubile unità secondo la forma e la misura del messaggio e dell’esistenza pasquale del Cristo, l’amore di Dio e l’amore di ogni prossimo.

Scrive la Nota pastorale: «A partire dalla preghiera, la carità assume, purifica ed eleva tutte le realtà dell’esperienza personale di ogni giorno: le relazioni familiari, sociali, ecclesiali, le attività professionali, culturali, ricreative. La carità congiunge la preghiera con l’impegno, in modo da rendere contemplativi nell’azione e memori del mondo davanti a Dio. Genera una spiritualità che guarda oltre la storia, ma è sostanziata di storia. Ama appassionatamente Dio; ma vede Dio in tutti e ama tutti appassionatamente, come Dio li ama. Né uno spiritualismo intimista, né un attivismo sociale; ma una sintesi vitale, capace di redimere l’esistenza vuota e frammentata, di dare unità, significato e speranza» (n. 11).

Di qui l’attenzione alle sorgenti, antiche e recenti, della vita spirituale, che davvero non mancano nella nostra Chiesa – come documenta, ad esempio, la bella raccolta recentemente curata da S. De Fiores su La «nuova spiritualità»8 – con l’invito a mettere in circolo e a servizio di tutti i carismi ricevuti e ad abbeverarsi ad essi con fiducia e slancio.

Giovanni Paolo II, sin dalla Tertio millennio adveniente, ha inteso dare una forte impronta pneumatologica al cammino verso il giubileo. L’ha confermato anche nell’omelia della veglia di Pentecoste, inaugurando la missione a Roma: «La Chiesa cerca di prendere una coscienza più viva della presenza dello Spirito che agisce in lei, per il bene della sua comunione e missione mediante doni sacramentali, gerarchici e carismatici. Uno dei doni dello Spirito al nostro tempo è certamente la fioritura dei movimenti ecclesiali, che sin dall’inizio del mio Pontificato continuo a indicare come motivo di speranza per la Chiesa e per gli uomini»9.

 

2. Cammini di formazione

Al fine di maturare la vita secondo lo Spirito, è evidente che tutti abbiamo bisogno di conversione e di formazione permanente.

La Nota esprime questa esigenza chiedendo «di conferire maggiore consapevolezza ed efficacia educativa a tutta la pastorale (...) e di privilegiare le scelte più idonee a sollecitare la graduale trasformazione della pratica religiosa e devozionale di molti in adesione personale e vissuta al vangelo» (n. 13)10.

Oltre a ribadire indicazioni ben conosciute e sempre valide (quali la valorizzazione dell’anno liturgico, la diffusione della Sacra Scrittura e la formazione a una sua lettura sapienziale, la conoscenza della dottrina della Chiesa attraverso i catechismi CEI), tre mi sembrano le indicazioni più rilevanti:

– la prima: sviluppare «itinerari di vita cristiana diversificati, che tengano cioè conto dell’età, del ruolo ecclesiale, dell’esperienza spirituale, della condizione familiare, culturale e professionale» (n. 14);

– la seconda: «perché l’esperienza di fede venga personalizzata, valorizzare i luoghi in cui la persona esce dall’anonimato: la famiglia anzitutto, quindi la parrocchia, ‘‘casa aperta a tutti’’11, le piccole comunità, i gruppi, le aggregazioni ecclesiali. Queste realtà possono diventare laboratori di preghiera, di rapporti umani e fraterni, di apostolato, di servizio ai poveri e alla comunità, di progettazione pastorale, culturale e sociale» (ibid.);

– la terza: all’interno di questi itinerari, comprendere e fondere in una circolarità dinamica le tre dimensioni fondamentali della pastorale e della vita cristiana: annuncio, celebrazione e testimonianza, nella linea di quanto indicato da ETC 28 e secondo le indicazioni concrete date dal Santo Padre per l’itinerario di preparazione prossima al Giubileo.

 

3. Sviluppo della comunione

Palermo è stato, nonostante alcuni limiti, evento di comunione (cf n. 19). Anche questo fatto è segno di un cammino percorso e di una maturità raggiunta.

Nel Convegno – così come del resto nella compagine ecclesiale italiana – le «differenze» ci sono state. Ma anche se si sono notate alcune «assenze», esse sono state giocate tutte in positivo: non in spirito di contrapposizione, bensì con la consapevolezza crescente che ognuna di esse deve esprimere l’unità e convergere verso di essa, quale manifestazione della pluriformità dello Spirito di Cristo e dell’incarnazione molteplice della sua Parola.

«Ciascuno – ha sottolineato il Papa al Comitato centrale del Giubileo, richiamando la prima lettera di Pietro per descrivere ‘‘l’atmosfera che si deve respirare in questi anni di immediata preparazione’’ – viva secondo la grazia ricevuta, mettendola a servizio degli altri, come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio» (1 Pt 4, 10)12.

Proprio perché a Palermo ciò si è verificato, «abbiamo constatato, con nuova meraviglia – scrive la Nota – che davvero la comunione fraterna è immagine della Trinità divina, immagine sommamente persuasiva anche per gli uomini del nostro tempo» (n. 19).

 

a) La dinamica di reciprocità

Di qui, una prima sottolineatura di grande importanza: puntare sulla «reciprocità tra le diverse componenti della comunità ecclesiale, in comunione e sotto la guida dei Vescovi» (n. 20).

La Nota spiega: «La convinzione che la pienezza dei doni dello Spirito si trova solo nell’insieme della Chiesa, deve indurci a valorizzare le diverse componenti nella loro specificità, facendole convergere verso l’unità. Dobbiamo alimentare una cultura della reciprocità e della partecipazione e attivare un’incessante comunicazione e collaborazione, per esprimere concretamente la comunione. Tutti siamo abbastanza poveri per dover ricevere; tutti siamo abbastanza ricchi per poter dare» (ibid.).

Tale consapevolezza e prassi di reciprocità va cercata ad ogni costo e prima di ogni altra cosa, perché esprime l’identità profonda e sperimentale dell’originalità cristiana. Dare per scontato ch’essa ci sia – mentre non lo è – significa costruire sulla sabbia.

 

b) Discernimento comunitario

In questo contesto va compreso l’invito convinto a un rilancio degli organismi di partecipazione ecclesiale in diocesi e in parrocchia. Essi, se opportunamente pensati, formati e gestiti, sono strumento essenziale per una reale attuazione dell’ecclesiologia di comunione del Vaticano II.

Gli organismi di partecipazione vengono proposti come «luoghi esemplari» di quel discernimento comunitario che è uno dei temi  qualificanti di Palermo come metodo ecclesiale privilegiato di formazione spirituale, lettura della storia e progettazione pastorale.

Esso costituisce, ovviamente, una realtà centrale dell’esistenza cristiana e come tale lo richiama il Nuovo Testamento, ad esempio San Paolo (cf Rom 12, 2): discernimento è la capacità di sintonizzare la propria mente e il proprio cuore, e di conseguenza la propria azione, secondo la voce dello Spirito in fedeltà a Cristo per testimoniarlo nella propria vita. A questo tema biblico e cristiano, si è accostato l’aggettivo «comunitario» al fine di sottolineare che le novità antropologiche e sociali del nostro tempo – oltre che la costitutiva dimensione comunionale della fede – esigono nella Chiesa e da parte della Chiesa una forma di discernimento che sappia coniugare insieme la dimensione personale e quella, appunto, comunitaria.

Ciò su cui occorre porre l’accento è, dunque, l’aggettivo comunitario: questo il salto di qualità che oggi si esige, anche se ovviamente la comunitarietà presuppone ed è orientata a un’adeguata responsabilizzazione personale.

La Nota enumera gli elementi che questo metodo deve comprendere per essere autentico: «docilità allo Spirito e umile ricerca della volontà di Dio; ascolto fedele della Parola; interpretazione dei segni dei tempi alla luce del vangelo; valorizzazione dei carismi nel dialogo fraterno; creatività spirituale, missionaria, culturale e sociale; obbedienza ai Pastori, cui spetta disciplinare la ricerca e dare l’approvazione definitiva» (n. 21).

E auspica: «Si tratta di una prassi da diffondere a livello di gruppi, comunità educative, famiglie religiose, parrocchie, zone pastorali, diocesi e anche a più largo raggio. I responsabili delle comunità cristiane ne approfondiscano il senso e  le modalità per poterla promuovere come autorevoli guide spirituali e pastorali, saggi educatori e comunicatori» (ibid.).

Quest’ultima è un’indicazione a mio avviso molto importante. Occorre, certo, formare le nostre comunità alla partecipazione e alla corresponsabilità; ma proprio per questo occorre formare i responsabili delle comunità – a vari livelli – perché siano in grado di animare e guidare una gestione matura e realmente comunitaria delle medesime. Altrimenti tutto rischia di rimanere sulla carta.

 

c) Dialogo e cooperazione

 Sempre in questo contesto di crescita della comunione, si colloca l’invito a intensificare – ad esempio con incontri, gemellaggi, ecc. – i rapporti tra il Nord e il Sud del Paese, la cooperazione tra le nostre Chiese e le altre Chiese in Europa e nel mondo; il dialogo e la collaborazione ecumenica.

Un importante segno che ha caratterizzato Palermo, al di là di ogni pur rosea prospettiva, è stato senza dubbio quello della centralità del dialogo ecumenico ma anche di quello interreligioso, in conformità all’impulso impresso da Giovanni Paolo II con l’Ut unum sint e con la Tertio millennio adveniente, e alla crescente rilevanza di queste realtà, sia sotto il profilo del loro oggettivo peso sia sotto quello della più larga acquisizione di coscienza da parte del Popolo di Dio.

In particolare, la positività della partecipazione ai momenti di preghiera, di riflessione e di confronto dei «delegati fraterni» delle altre Chiese e comunità ecclesiali è stata sottolineata dalla reazione in larga misura positiva di questi ultimi, e «già sta dando – sottolinea la Nota – frutti di reciprocità» (n. 22). Ha scritto, ad esempio, Pietro Trotta, delegato fraterno delle Chiese evangeliche: «Nel complesso il Convegno è espressione di una chiesa cattolica viva e vitale, capace di pensare a se stessa senza attestarsi su posizioni difensive ma, al contrario, impegnandosi ad affrontare i problemi di una società moderna, complessa, pluralista»13.

Occorre proseguire su questa linea a livello della base, favorendo la recezione dei risultati del dialogo, utilizzando come strumento prezioso di catechesi quella sorta di «vademecum» ecumenico in vista del Giubileo che è l’Ut unum sint: per evitare il rischio che l’ecumenismo sia faccenda dei vertici e non plasmi la sensibilità e la vita di tutti.

(Conclude nel prossimo numero)

 

Piero Coda

 

 

1)   S. Gaeta – S. Lanza, Cultura e pastorale del terzo millennio. Da Palermo il nuovo cammino, Paoline, Milano 1996.

2)   Il filo rosso del Convegno ecclesiale, in Settimana 30 (1995) n. 44, 8-9.

3)   Introduzione alla fede, Queriniana, Brescia 1972, 204-205.

4)   Cf Nuovi saggi, III, Saggi di spiritualità, San Paolo, Roma 1968, 19-35.

5)   Importante la sottolineatura di Garelli, secondo cui la grande necessità di oggi è proprio quella di una spiritualità originalmente laicale e non semplicemente mediata da spiritualità nate dalla e per la vita monastica o, più in generale, di speciale consacrazione.

6)   Di particolare interesse ciò che ha detto in proposito il Card. Ruini coniugando in forma rinnovata – nell’apertura dischiusa da GS 37 – la dialettica tradizionale frui/uti in una prospettiva moderna insieme e pasquale (Intervento conclusivo, n. 15).

7)   Si veda, per un esempio, quanto scrive C. Lubich, La spiritualità collettiva e i suoi strumenti, in Gen’s 25 (1995) n. 2, 45-52.

8)   Ed. Studium, Roma 1995.

9)   In L’Osservatore Romano, 27-28 maggio 1996.

10) Occorre – si precisa – finalizzare «tutta la pastorale all’obiettivo prospettato dal nostro progetto catechistico: ‘‘Educare al pensiero di Cristo, a vedere la storia come lui, a giudicare la vita come lui, a scegliere e ad amare come lui, a sperare come insegna lui, a vivere in lui la comunione con il Padre e lo Spirito Santo. In una parola, nutrire e guidare la mentalità di fede’’ (CEI, Il rinnovamento della catechesi, 38)» (n. 13).

11) Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 27.

12) In L’osservatore Romano, 5 giugno 1996.

13) In NEV (Notizie evangeliche) 47 (1995) 1.