Flash di vita

 

Natale... con i suoi straccetti rossi

Una proposta inattesa quella del vescovo: andare a convivere in una stessa casa con un parroco emerito, un monsignore ben noto per il suo carattere di uomo burbero benefico. Benefico lo dico ora che l’ho conosciuto, perché prima tutti mi dicevano che era un tipo difficile.

Egli in fondo – così mi ha fatto capire il vescovo – ha una sola esigenza, quella di essere accettato così com’è, riconoscendogli tutto il bene che ha fatto nei lunghi anni del suo servizio pastorale. Io sapevo, però, che altri colleghi non avevano resistito con lui e che la parrocchia era divisa in due fazioni, senza contare la sua vastità e tutti gli altri problemi connessi.

Ho avuto spavento e istintivamente mi è venuta in mente la mia comunità armoniosa e con un lavoro pastorale ben avviato. Valeva la pena accettare? Non mi sarei imbarcato in un’avventura pericolosa?

Ho detto al vescovo: «Non mi spaventa il fatto di dover convivere col monsignore: penso che riuscirò a volergli bene, ma mi spaventano tutti gli altri problemi di quella cittadina e non so se sono all’altezza per affrontarli bene».

Egli mi ha risposto: «L’unità che tu farai col monsignore sarà la prima predica ed anche la più efficace; per il resto mi assumo personalmente tutta la responsabilità». E mi ha dato alcuni giorni di riflessione prima di dargli la risposta definitiva.

Per non prendere una decisione avventata, mi sono consigliato con i colleghi con cui cerco di vivere una vita di comunione fraterna secondo lo spirito del Movimento dei focolari. Ho detto tutto a loro: la mia paura di affrontare una comunità parrocchiale così problematica ed anche la difficoltà di dover portare con me la mia mamma ottantasettenne, invalida, che vive in carrozzella ed ha bisogno di continua assistenza.

Abbiamo cercato di vedere ogni cosa alla luce del vangelo. Se il vescovo, al corrente di tutto, mi aveva invitato ad assumere questo incarico, dovevo tentare con tutta la buona volontà. L’incoraggiamento di questi confratelli e il loro starmi vicino («Vedrai – mi dicevano – che andrà tutto bene!»; oppure: «Noi saremo con te e ti aiuteremo in tutto») mi hanno incoraggiato a discernere la volontà di Dio.

Con uno di loro ho fatto una visita a questa parrocchia tanto temuta. Non la conoscevo e neanche conoscevo questo monsignore. Abbiamo trovato la chiesa aperta: una chiesa così enorme da sentirmi quasi perso, con una pessima acustica, e subito dopo l’entrata a sinistra sopra un piedestallo di marmo un busto bronzeo, ieratico, serio. È del parroco emerito. Mi sentivo raggelare il sangue. Abbiamo guardato il crocifisso ed abbiamo rinnovato insieme la nostra disponibilità alla volontà di Dio. Ho capito quanto sia necessario essere almeno in due per riuscire ad operare certe scelte importanti nella vita.

Dalla chiesa siamo passati alla canonica e qui alcuni timori sono subito spariti. Il monsignore, dal volto severo nel busto di bronzo, si è mostrato accogliente e gentile e ci ha servito un caffè. Anche se capivo da vari indizi che la vita non sarebbe stata facile, ho detto che ero disponibile ad assumere la parrocchia e ad averlo come mio collaboratore. Poi abbiamo visto insieme come sistemare la casa per poter portare con me la mamma.

Quando ho detto il mio sì definitivo al vescovo, egli mi ha abbracciato, liberandomi da ogni rimasuglio di timore e dandomi la certezza che andavo nella nuova parrocchia con la benedizione di Dio.

Alla messa d’ingresso c’erano molti sacerdoti amici ed ho sentito di poter dire ai parrocchiani che il monsignore ed io saremmo vissuti insieme. Da quel momento ogni mattina il mio primo saluto è per il vecchio parroco e, giorno dopo giorno, tutte le barriere, che erano sorte in questi ultimi anni tra i sacerdoti e la comunità, sono cadute.

All’inizio il monsignore si sfogava lamentandosi dei torti ricevuti da una persona, ma accortosi che io gli volevo bene con un ascolto sofferto e senza risposta, un giorno mi ha detto: «Mi scusi, sa! È più forte di me...». E non ha più toccato questo tasto, anzi quando quella persona è venuta a fargli visita l’ha accolta con tanta gentilezza.

Per la seconda domenica di novembre avevo organizzato col consiglio pastorale la giornata del ringraziamento. Vedendo alcuni giorni prima che il monsignore mi girava attorno quasi volesse esprimere un desiderio, mi sono messo in atteggiamento di ascolto ed egli: «C’è qualcosa da fare domani?». Ho capito che ci teneva ad essere presente e gli ho chiesto di presiedere la messa concelebrata. Era entusiasta, ma più contenta di lui era la gente che mi diceva: «Grazie, che non lo hai messo da parte!».

Alla vigilia di Natale alcuni mi hanno fatto notare che ci sarebbe stato un grande afflusso di gente alla messa di mezzanotte e che era brutto vedere il vecchio monsignore «con i suoi straccetti rossi» inginocchiato in disparte ai lati dell’altare.

Ho capito quanto la gente gli volesse ancora bene e ne ho gioito. Anche in questa circostanza egli mi girava intorno senza dirmelo chiaramente e allora l’ho preceduto facendogli questa proposta: «Sarebbe contento, monsignore, se a mezzanotte lei presiedesse la liturgia ed io facessi l’omelia? Mentre nel giorno di Natale lei potrebbe presiedere ed anche fare l’omelia?». Si è
trasformato per la gioia e da tanto tempo non aveva cantato così bene come quella notte.

Ormai anche il suo aspetto fisico è cambiato e il suo stesso vestire è più armonioso. Tra lui e la mia mamma è nato un bel rapporto di stima reciproca.

Ora le persone entrano in canonica e dopo tanti anni di difficoltà dialogano liberamente con noi due. I fanciulli del catechismo sono accolti volentieri, nonostante il trambusto che sempre portano. Le due signore, che vengono per tenere in ordine la casa e per accudire i due anziani, sono felici di prestare questo servizio e dicono che è bello lavorare con noi perché siamo «due preti che si vogliono bene».

 

G. F.