Tentativi di una pastorale universitaria che generi la comunità cristiana

 

«Insieme troveremo la strada»

di António Bacelar

 

 

Da sei anni l’autore di questo articolo, un giovane sacerdote portoghese, sta portando avanti un’esperienza pastorale nel campo universitario. Si sa quanto sia difficile oggi fermentare con i valori evangelici questi ambienti. Come ha rilevato ultimamente la conferenza episcopale portoghese, la metodologia seguita dal Bacelar ha dato dei frutti.

D

ai tempi d’oro dell’Azione cattolica la diocesi non si era più impegnata a fondo in questo campo particolarmente refrattario alla pastorale tradizionale. Quando alcuni anni addietro il vescovo mi disse: «Dovresti promuovere e coordinare la pastorale universitaria in tutta la diocesi», capii subito che egli voleva ricominciare, ma con qualcosa di nuovo.

Se da un lato l’aspettativa del vescovo e di tutti era grande, dall’altro i dubbi su cosa fare e come fare erano ancora più grandi sia in me, sia nel vescovo. Egli, rendendosi conto del mio stato d’animo, aggiunse: «Né io né tu sappiamo cosa fare, ma insieme troveremo la strada».

Forse queste parole mi sarebbero risuonate semplicemente consolatorie, se non avessi già sperimentato che nella comunione vitale con il vescovo Cristo può inventare, illuminare e portare avanti con frutto ogni nuovo cammino pastorale.

Partendo dalla comunione

Di fronte ad una diocesi come quella di Porto, con un numero incalcolabile di universitari in una città con quasi cinquecentomila abitanti, quelle parole «insieme troveremo la strada» tornavano insistenti nella mia mente. Pochi mesi prima, in un incontro di sacerdoti del Movimento dei focolari, Chiara Lubich aveva detto di cogliere nei vescovi la presenza dello Spirito. Ho cercato di farlo in tutti gli incontri che ho avuto con lui e con coloro che in qualche modo lo rappresentano, a cominciare dal vescovo ausiliare, responsabile di quest’area pastorale. Poi per due anni ho partecipato a tutte le riunioni del clero nei 34 settori della diocesi ed ho stabilito contatti personali con i responsabili dei vari movimenti e organismi ecclesiali legati alle università. In ogni incontro ho cercato non di imporre delle norme, ma di ascoltare, di offrire qualche servizio.

Da questi rapporti fraterni è nata la mutua fiducia e la disponibilità nel ricercare le vie giuste ed anche una certa luce nell’individuarle. Il vescovo, all’inizio di quest’anno, ha messo in risalto che i frutti già raccolti hanno avuto origine dall’unità tra noi due: «Io ho avuto fiducia in lui – diceva – ed egli ha avuto fiducia in me ed ambedue abbiamo avuto fiducia in Dio».

Nel primo incontro il vescovo mi aveva detto anche un’altra cosa: «Non preoccuparti delle strutture, delle case e di altri mezzi, fa come Gesù: costruisci rapporti, crea comunione con colui a cui più tardi, al momento opportuno, tu possa dire di averlo visto sotto il fico». Non dovevo, dunque, fare sforzi eroici per avere chi sa quali virtù o capacità personali su cui poggiarmi, ma dovevo solo vivere la comunione con tutti.

Questo vivere per l’altro richiede un continuo allenamento che io avevo la fortuna di fare con quei colleghi sacerdoti che condividono con me la spiritualità dell’unità. Prima, infatti, di qualsiasi altra attività – non come un optional della vita spirituale, ma come parte essenziale del mio essere cristiano – cerco di vivere e di costruire ogni giorno quest’unità affettiva ed effettiva con questi fratelli, trascorrendo con loro la mia giornata settimanale di riposo e mantenendo poi continui contatti durante la settimana.

Dopo quest’esercizio quotidiano d’ascetica comunitaria – dove mettiamo tutto in comune, anche le nostre ispirazioni e progetti, sempre pronti a perderli o modificarli, se ci sembra che Dio ce lo chiede – è più facile vivere la comunione con il vescovo, con gli altri sacerdoti e con i responsabili dei movimenti e degli organismi che operano in campo universitario. La vita d’unità, prima in questo gruppo ristretto e seriamente impegnato e poi con tutti gli altri, è per me la palestra dove mi alleno per realizzare quell’   «insieme troveremo la strada».

Per costruire una rete

Ho cominciato, quindi, il mio lavoro con i giovani dando priorità assoluta ai rapporti personali e, senza preoccuparmi di organizzare attività appariscenti, ho cercato di creare una rete tra i cristiani che vivono nello stesso ambiente, facendoli uscire dall’anonimato e rendendoli capaci di diventare protagonisti della loro storia. Uniti abbiamo avuto la forza di andare incontro agli altri senza preconcetti e senza paure. Con gioia abbiamo messo in comune i diversi doni e carismi, valorizzando tutto quello che di positivo si trova in ogni gruppo o movimento. La comunione è stata offerta anche a tutti gli studenti che vivono il periodo universitario sentendosi fuori posto, sradicati dal loro ambiente e dalla propria cultura, come spesso avviene per coloro che vengono dai Continenti più poveri. In questa linea comunionale abbiamo animato momenti d’incontro per approfondire la nostra fede ed abbiamo utilizzato anche forme di religiosità popolare, immettendovi, però, un contenuto più consistente.

I giovani, pur appartenendo a movimenti diversi o a nessun movimento, nella misura in cui quest’unità è cresciuta, si sono sentiti più chiesa, capaci di generare la presenza di Cristo tra loro. È stata quest’esperienza di Cristo presente nei nostri incontri che li ha convinti ad intraprendere un autentico cammino di fede in questa linea.

Naturalmente utilizziamo anche le strutture, non molte finora e badando che non siano asfissianti. Così all’inizio dell’anno, seguendo la tradizione, facciamo un incontro aperto a tutti abbastanza partecipato, a cui fanno seguito altri meno numerosi durante l’anno. Invitando gli universitari a ritrovarsi insieme nelle loro varie facoltà, cerchiamo di rompere quel ciclo di isolamento e di privatizzazione della fede che rende rachitico il cristianesimo, e li invitiamo ad impegnarsi gli uni verso gli altri e tutti verso coloro che hanno una fede smorta o del tutto spenta.

Abbiamo costituito un segretariato che raccoglie elementi disposti ad una più intensa vita di comunione e loro sono poi divenuti gli animatori di altri gruppi. Non lo chiamiamo gruppo dirigente, ma di servizio, per togliere ogni parvenza di comando.

Cosa fanno questi animatori con i giovani che nelle varie facoltà si raccolgono attorno a loro?  Si lascia a tutti una grande libertà. «La pastorale universitaria – diciamo loro – qui e adesso è quella che voi volete». C’è chi suggerisce di continuare gli incontri tra loro senza allargare troppo il gruppo per poter andare in profondità nella vita cristiana; c’è chi desidera affrontare un tema di attualità per dibatterlo alla luce della fede davanti a un numero maggiore di studenti che ne fossero interessati; altri ancora desiderano approfondire il testo di un’enciclica papale particolarmente sentita. Ogni attività per noi è buona, perché è una scusa, o meglio, uno strumento prezioso per costruire la comunione.

Tra i giovani ci sono quelli che provengono dai movimenti o dai gruppi ecclesiali o dalle parrocchie o addirittura da nessun legame vivo con la chiesa. Cerchiamo di fare in modo che questa diversità di mentalità non costituisca un ostacolo, ma diventi un contributo alla comunione. La spiritualità dell’unità mi ha aiutato molto in questo, facendomi valorizzare non solo le singole persone, ma anche i movimenti e i loro organismi. Ho potuto trasmettere ai giovani il comandamento nuovo applicato anche in questo campo: «Ama il movimento altrui come il tuo», fino a realizzare la presenza di Gesù tra persone appartenenti a diversi movimenti.

Sapendo che la comunione è dono di Dio e, come tale, si realizza attraverso l’amore mutuo, gli animatori si sono resi conto che possono generare la vita cristiana nei vari gruppi, solo se danno una concreta testimonianza di quest’amore. Diversamente non si può parlare né di servizio, né d’unità, ma di dominio e di uniformità. I giovani sono molto sensibili a questo.

A servizio di tutti

La pastorale universitaria non vuole essere un organismo che ingloba tutto e tutto guida con ferree direttive, ma un amico che ti dà una mano per portarti dove tu desideri andare. Abbiamo così dato tutto il nostro appoggio a quanto di buono già veniva fatto da altre organizzazioni: quella dei gesuiti, più orientata verso una linea formativa; quella dei domenicani nella linea della riflessione; quelle di determinati movimenti con altri tipi di proposte. Noi ci impegniamo con tutte le nostre forze a divulgare le loro iniziative attraverso il nostro bollettino informativo ed anche a raccoglierne i frutti attraverso una revisione improntata alla collaborazione.

Nella comunione con e tra gli universitari si scoprono le loro necessità concrete e si vede cosa possiamo fare per venire incontro ai loro bisogni senza lasciarci prendere dall’interesse della conquista. Oltre a fare da ponte tra gli studenti e le attività delle varie associazioni, abbiamo un servizio di accoglienza e di alloggio, con la collaborazione di quindici parrocchie, per quelli che arrivano in città e non hanno dove andare.

L’accoglienza si fa anche stando con loro negli ambienti che essi frequentano, stabilendo rapporti d’amicizia intorno ad una edicola di giornali o nelle residenze universitarie. Se il nostro essere per l’altro è autentico, essi lo percepiscono ed entrano nel gioco della comunione, ognuno secondo la propria misura.

Di fronte alle necessità materiali abbiamo creato un fondo di solidarietà, rendendo così visibile la comunione sia per chi dà che per chi riceve. Ogni anno facciamo circolare centinaia di migliaia di scudi, dando possibilità a studenti, soprattutto a studenti del Terzo Mondo, ma non solo ad essi, di concludere i loro studi vivendo con un minimo di dignità. In questo campo sperimentiamo continuamente l’aiuto della Provvidenza. Un giovane doveva tornare nel suo paese urgentemente per visitare la mamma gravemente ammalata, ma non aveva un soldo: c’è arrivata la somma necessaria da un professore che l’aveva ricevuta inaspettatamente come pagamento retroattivo. Un altro studente aveva estremo bisogno di un aiuto: è stato facilissimo organizzare una cena di beneficenza e raccogliere molto di più di quanto avevamo bisogno.

Abbiamo dato una particolare attenzione alla comunità africana, creando momenti di incontro e di scambio culturale. Durante il Natale abbiamo lanciato la campagna: «Nessuno solo in questo Natale». Ho fatto anch’io la cena di Natale con tredici africani di cinque paesi diversi in un clima di vera fraternità.

Attività speciali

Anche se non consideriamo prioritario per la pastorale universitaria fare quello che si può fare in parrocchia o nella propria comunità ecclesiale, sia in campo formativo che in campo liturgico, abbiamo visto che è logico prendere alcune iniziative. Soprattutto quando queste permettono un approfondimento nella fede e un’esperienza di comunità a coloro che vivono nello stesso ambiente. Ci sono quindi incontri mensili nei quali si medita una frase del vangelo per poi metterla in pratica e comunicarsi le esperienze; ci sono celebrazioni liturgiche all’inizio e alla fine dell’anno e durante i tempi liturgici forti, come l’avvento e la quaresima; si promuovono viaggi a Taizé, a Roma, a Santiago di Compostela, per aprirsi ad orizzonti più ampi e conoscere esperienze ecclesiali moderne.

C’è da noi una forma di religiosità popolare molto sentita: la benedizione delle borse di coloro che hanno concluso il corso. Più di una volta ho avuto la tentazione di lasciarla cadere, anche perché mi sembrava inutile investire con quelli che ormai vanno via. Ma in una prospettiva di servizio e di comunione la preparazione di questa celebrazione ha oltrepassato i confini pure importanti della dimensione liturgica, allargandosi alla riflessione sulla responsabilità nel mondo professionale. Abbiamo constato, inoltre, che in questo modo molti studenti avevano la possibilità di fare un’esperienza di servizio agli altri e di comunione tra loro. Il numero degli impegnati in questo lavoro, infatti, è andato aumentando. L’ultima volta erano 700 ed hanno coinvolto ben 10.000 persone. In questa occasione sono frequenti le confessioni e i ritorni alla pratica cristiana dopo molti anni di lontananza.

Una docente universitaria, ritornata a casa dopo una di queste messe, mi ha scritto: «Bellissima eucaristia! Magnifica organizzazione, frutto di tanti progetti, lavori e sacrifici. Il nuovo spazio utilizzato – avevamo dovuto prendere un ambiente capace di contenere tanta gente – è divenuto una cattedrale viva per la creatività, la fede e l’amore. È stato molto bello ed ha testimoniato che in fondo al cuore dei nostri universitari palpita il senso cristiano del proprio inserimento nell’Università...». Il vescovo, poco incline a fare elogi, quel giorno non ha potuto trattenersi dal dire ai giovani: «Siete meravigliosi!» ed è scoppiato un applauso spontaneo e prolungato.

Collaborazione
con le parrocchie e i movimenti

La pastorale universitaria è una pastorale d’ambiente e riguarda perciò non solo chi vi è impegnato direttamente, ma anche le comunità da cui provengono gli studenti e i professori. Le nostre forze, anche ben organizzate, sono sempre poche. Per di più il nostro è un segretariato a servizio di tutti gli universitari della diocesi, sia di quelli che vi risiedono temporaneamente, sia di quei diocesani che studiano o insegnano fuori.

Il recente documento vaticano sulla «Presenza della Chiesa nell’Università e nella cultura universitaria» sottolinea che la responsabilità pastorale e missionaria del mondo universitario riguarda tutta la comunità cristiana. Lo spirito comunitario della nostra esperienza ci ha aperto le porte alla collaborazione con tutte le altre forze cattoliche, perché non siamo stati visti né come concorrenti sul campo, né come autorità che impone, ma come fratelli che aiutano.

Ormai sta andando avanti un’azione interattiva tra il segretariato diocesano della pastorale universitaria e le comunità parrocchiali. Il rapporto stabilito con loro fin dall’inizio continua e dà i suoi frutti. La stessa cosa avviene con i vari movimenti ecclesiali.

Le difficoltà

La diffusione delle università e la complessità dei suoi meandri non facilitano una presenza ufficiale e strutturata della chiesa, ma esigono che essa agisca attraverso la testimonianza delle persone. Queste dal canto loro, a causa della tradizionale tendenza a privatizzare la propria fede, devono essere continuamente spronate a muoversi non come individui isolati, ma in comunione tra loro, cioè come chiesa viva. A questo scopo si rivela decisiva una spiritualità vissuta comunitariamente.

Se in questi anni abbiamo raccolti dei frutti, che alcuni ritengono non comuni, lo dobbiamo al fatto che ci siamo mossi in questa linea sia nel segretariato, che conta circa 20 persone tra studenti, docenti e alcuni laureati di recente, sia nella rete degli animatori. Portiamo avanti questa vita tra gli animatori con momenti di comunione particolarmente intensa, approfittando dei week-end o dei giorni festivi. Stare insieme, mettere in comune le proprie esperienze positive e le proprie difficoltà, affinare l’unione con Dio, alimentarsi della sua Parola, tutto concorre a farci sentire chiesa e a darci la gioia di seguire un cammino di fede.

Un’altra difficoltà è costituita dal fatto che la stragrande maggioranza della popolazione universitaria vive in continua mobilità. Una mobilità esterna: studenti che vanno e studenti che vengono; e una mobilità anche interna: studenti che attraversano una fase difficile ed altri una più facile; ci sono quelli che interrompono un fidanzamento e quelli che lo iniziano; alcuni lasciano il lavoro per dedicarsi di più agli studi ed altri lo intraprendono per potersi mantenere... In un simile ambiente, quando pensi di aver preparato dei buoni collaboratori, li vedi partire o constati che il loro tempo a disposizione è diventato estremamente ridotto; quando un gruppo è ben costituito, ecco che si sfalda da un momento all’altro; quando la collaborazione tra i movimenti va a gonfie vele, c’è un imprevisto e bisogna ricominciare da capo.

Se è vero che nella pastorale la priorità spetta al seminare e non al raccogliere, nel mondo universitario ci vuole un supplemento di gratuità e di donazione. La forza per lavorare in un simile ambiente – ma oggi, penso, in ogni campo – la si trova nella vita di comunione che riusciamo a costruire tra noi. Gli studenti che mi sono più vicini lo sanno e nessuno di loro si meraviglia se il lunedì non sono all’università ma con i miei fratelli sacerdoti. Ed essi stessi sperimentano quanto l’unità costruita nel proprio gruppo sia indispensabile per poter amare gli altri in modo disinteressato e con la disponibilità a ricominciare sempre e con gioia.

D’altra parte il continuo alternarsi delle persone, i cambiamenti sociali sempre più accelerati nella nostra società, esigono la capacità di adattarsi ai segni dei tempi e la disponibilità a confrontarsi, a cambiare schemi, processi, metodi, anche quando questi avevano dato quei buoni risultati che adesso non riescono più a dare.

Si scopre così che il punto focale, la vera chiave per una pastorale che possa portare i suoi frutti, resta sempre la croce. Solo un amore ardente ed esclusivo a Cristo, che sulla croce soffre l’abbandono, garantisce alla nostra attività pastorale di essere ancorata in Dio e assicura l’unità tra i giovani e l’incidenza della loro testimonianza.

Un’ultima sfida con cui ci confrontiamo ogni giorno è il rapporto tra fede e cultura. Il dramma della rottura – o la gioia della sintesi – avviene nelle persone concrete. È impossibile restare indifferenti e portare avanti una pastorale che non abbia dei luoghi dove si possa mettere a confronto e creare ponti tra ciò che si studia e la fede che si professa e si vive. Oggi questo non lo si può fare solo a livello intellettuale, perché soprattutto i giovani non credono più ai maestri, ma cercano i testimoni. È importantissimo allora poter presentare una comunità cristiana di studenti, anche piccola ma viva, dove la gioia della sintesi si sta componendo, per poter dire agli altri: «Venite e vedete!».

António Bacelar