Flash di vita

Il coraggio
del primo passo

La giornata era particolarmente fredda e buia: pioveva e c’era nebbia. Anche interiormente avvertivo il buio, un senso di vuoto e non sapevo come trascorrere quel pomeriggio. Con due amici, alla ricerca di una distrazione, ci siamo diretti in macchina verso un paese vicino situato su di un colle. Ricordo che, durante il percorso, uno di loro ha composto una canzone che diceva più o meno così: «Ti senti solo? Ti trovi fuori posto? Incomincia ad amare chi ti sta accanto e vedrai!».

Arrivati sul colle, siamo scesi dalla macchina per respirare un po’ d’aria e per contemplare il paesaggio, ma il freddo e la nebbia ci hanno costretti a ritornare dentro. Sembrava proprio che per noi non ci fosse posto. Attraversando il paese, siamo passati davanti ad una chiesa e abbiamo deciso di entrare per una visita.

Per prima cosa mi sono fermato davanti al tabernacolo e nel dialogo con Gesù mi sono ricordato quanto fossero vere queste parole di Chiara Lubich: «Finché ci sarà un tabernacolo sulla terra, io non sarò mai sola».

Dopo il colloquio con Gesù eucarestia mi sono alzato e incontro il parroco. Lo saluto e mi intrattengo un po’ con lui. Sento che l’incontro con Gesù non è stato interrotto ma continua in questo fratello. All’uscita della chiesa, in un angolo recondito, c’è una vecchina ricurva; mi avvicino a lei e la saluto: «Buon Natale!». Era tanto contenta di essere stata presa in considerazione ed io altrettanto. Non aveva detto Gesù che in chi soffre c’è una sua particolare presenza? Egli è veramente vicino ad ogni uomo e se lo riconosci trovi anche tu la gioia di vivere. Fuori della chiesa abbiamo condiviso questi pensieri e sembrava che il tempo tetro fosse scomparso e in segno di festa siamo entrati in un bar.

Qui si avvicina un uomo che non vedevo da tempo ed egli racconta liberamente le sue cose personali e la sua esperienza di Dio. Sperimentiamo anche qui, mentre sorseggiamo un cappuccino, quella particolare presenza promessa da Gesù dove due o tre sono riuniti nel suo nome.

Prima di rientrare in casa, passando davanti all’abitazione del vescovo, mi tornano in mente queste altre parole di Gesù rivolte agli apostoli: «Chi ascolta voi ascolta me e chi disprezza voi disprezza me», e lo ringraziai per quest’altra sua presenza sulla terra.

In quel pomeriggio mi sembrava di aver un po’ sperimentato il mistero dell’incarnazione che continua sulla terra. Si avvicinava il Natale e nell’omelia mi è venuto spontaneo parlare dell’Emanuele, del Dio con noi, attraverso queste esperienze concrete della sua presenza multiforme, ma reale, fra gli uomini.

Un’altra esperienza l’ho vissuta nel Natale scorso. Circa dieci anni fa si era rotto il rapporto con un vicino di casa. Anche se da parte mia mi sembrava che non ci fosse stata alcuna responsabilità e avessi tentato il possibile per una riconciliazione, i miei tentativi non erano approdati a nulla, anzi avevo ricevuto persino delle minacce.

Nel mio cuore rimaneva vivo il desiderio di ristabilire il rapporto, ma non sapevo come fare e mi sembrava di trovarmi di fronte ad un muro invalicabile. Più volte in questi dieci anni avevo cercato di farmi coraggio per andare a trovarlo, ma non c’ero riuscito.

Non conoscendo più il suo indirizzo, avendo egli nel frattempo cambiato casa, quest’anno l’ho rintracciato attraverso l’elenco telefonico. Il giorno di Natale, di mattina, dopo aver confezionato un cesto di doni, mi sono presentato alla sua casa con un certo tremore. Suono il campanello e si affaccia dalla finestra la moglie. Chiedo di suo marito e lei, guardandomi con indifferenza come non mi avesse mai conosciuto, mi dice di attendere. Lascio immaginare questi attimi di attesa! Ma, dopo qualche minuto la signora scende e mi accoglie con festa dicendo: «Ma guarda chi si vede! Mi scusi, non l’avevo riconosciuta», e mi introduce in casa, intrattenendomi con molta cordialità e dicendo che suo marito sarebbe venuto subito.

Quello che è avvenuto all’arrivo di lui non me lo sarei mai immaginato. Mi ha accolto con un grande abbraccio come una persona cara che non vedeva da molto tempo e più volte ha ripetuto: «Ma che regalo mi ha fatto venendo a trovarmi! Sono stato cattivo, ma molto dipende dal mio caratteraccio».

Ci siamo seduti e ci siamo intrattenuti in una lunga e cordiale conversazione per circa due ore. Mi ha parlato della sua vita, del suo lavoro, dei suoi figli e desiderava che non andassi più via. Mi invitava poi a ritornare per pranzare con lui. Prima di partire ha voluto donarmi alcuni prodotti dei suoi campi.

Quest’incontro festoso che ha recato gioia ad entrambi, mi ha fatto sperimentare l’amore di Dio, perché solo lui poteva infondermi il coraggio di non bloccarmi di fronte alle difficoltà, ma di saper osare e credere di più al bene che si nasconde in fondo al cuore di ogni uomo.

E. B.

Si parte dal cimitero

Ho incontrato un uomo al cimitero alcuni mesi addietro e da quel momento ci siamo ritrovati regolarmente per diversi colloqui molto interessanti. È un signore in pensione da alcuni anni dopo una vita abbastanza movimentata: capo militare in Algeria, poi responsabile di un’agenzia di assicurazione e fondatore di un’importante loggia massonica.

Perché ha voluto incontrarmi così spesso? Soltanto perché quel giorno nel cimitero mi ero avvicinato a lui per salutarlo (non l’ho conoscevo affatto!) e nel dialogo, in quel luogo che gli parlava solo di morte, avevo detto che la cosa che mi faceva vivere era il mettere in pratica ogni mese insieme ad altri una frase del vangelo, che noi per questo motivo chiamiamo Parola di vita.

Questo mese ha voluto farmi incontrare tutta la sua famiglia. È stata una cena splendida per il dialogo con la moglie, con la figlia al quinto anno di medicina e con tante domande sulla sofferenza, e con il figlio pilota di aereo.

Durante tutta la serata abbiamo condiviso le nostre esperienze di fede. Erano toccati dal fatto che Gesù non è per me uno spirito astratto, ma una persona concreta. Il capo famiglia alla fine ha detto: «Non ci siamo incontrati per caso in quel cimitero».

E. P.

A cena da un musulmano

Con il signor Adl Mohammed Walid il rapporto è molto buono già da alcuni anni. Giorni fa è venuto in parrocchia ed ha voluto lasciare un contributo per i bisogni della comunità cristiana. In quell’occasione mi ha chiesto di ricambiare il dono andando a cena a casa sua. Ho accettato.

Una cena semplice, in una casa piuttosto ricca. Una moglie padovana, quattro figli, che il papà vorrebbe fossero educati secondo la cultura del nostro paese. Ho avuto modo, senza averlo neppure pensato, di raccontare qualcosa della mia vita, del distacco dalle ricchezze e specialmente della comunione dei beni che cerco di vivere insieme ad altri cristiani.

Ad un certo punto egli ha detto: «Dio è con voi». Accompagnandomi al cancello, ha aggiunto: «Se conosce qualche famiglia che si trova in difficoltà, me lo dica, ed anch’io posso impegnarmi a versare un contributo mensile».

T. P.

Dopo la notte...

Inaspettatamente e in breve tempo accadono alcune piccole o grandi incomprensioni con persone della parrocchia.

Il responsabile del consiglio pastorale mi rimprovera aspramente per una iniziativa di solidarietà a favore di un extra–comunitario, che lui non condivide e non appoggia.

Il direttore del coro si offende (e con lui tutta la famiglia), prendendo per rimprovero una semplice mia richiesta; così il coro viaggia nell’incertezza fino all’ultimo.

Una famiglia molto amica, che ha il dolore di un imprevisto tilt parossistico dell’unico figlio di 20 anni, mio figlioccio, mi fa capire che è bene non andare in casa e comunque non vedere il ragazzo; in seguito mi suggerisce di non chiamarli neanche per telefono.

Il gruppo giovanile, nel quale sono stato presente in modo particolare dal campeggio dello scorso luglio, è tutto un groviglio di incomprensioni e di critiche nei miei riguardi.

La domestica ad ore si è offesa, perchè ritiene di non essere creduta nella sua indisposizione che le impedisce la presenza lavorativa in canonica per otto giorni.

Comprendo quasi subito, nell’incalzare di situazioni del genere, che tutto questo è il mio tassello per costruire l’opera di Dio, è un volto del Signore crocifisso e abbandonato. E mi viene in mente di dare un nome a questo suo volto: è il senza famiglia. Dalla mattina presto e più volte nella giornata vado ripetendogli: «Sei Tu, Signore, l’unico mio bene». Solo in questo trovo la pace.

Dopo un periodo di oscurità avvengono fatti inattesi.

Il direttore del coro viene da me per un colloquio di pace.

Incontro pubblicamente in chiesa il giovane malato e la sua famiglia, quattro volte: egli mi scrive anche un biglietto di riconoscenza e la famiglia mi porta dei doni.

Così fa anche il responsabile del consiglio parrocchiale.

Il gruppo giovanile si sente gratificato per l’apprezzamento mio e della comunità, sia in generale per la presenza, il canto, i vari servizi, sia specificamente per l’ottima riuscita di una iniziativa.

La domestica si ricrede, particolarmente davanti ad alcuni riconoscimenti concreti del suo servizio.

Soprattutto io mi rendo conto che, in realtà, non ho mai perso la mia famiglia e capisco meglio che devo costruirla anzitutto col sacerdote che vive con me, perché ciò che importa è il nostro amore scambievole e l’unità tra di noi e con i nostri collaboratori più vicini.

Abbiamo così riscoperto che la nostra segretaria parrocchiale è una vera presenza di Maria, sempre vigilante e concreta nell’amore. E così pure le suore, sempre pronte all’ospitalità, all’unità nella preghiera, alla lode, all’amore.

Molti parrocchiani sono rimasti impressionati da questa unità e dalle nostre omelie che da essa scaturiscono. Ci sembra di poter dire che crediamo in Dio Amore e che cerchiamo di testimoniarlo.

D. A.