Culto cristiano e comunione vissuta: quale rapporto?

 

Spiritualità collettiva e liturgia

a cura della redazione

 

In questo periodo in cui Chiara Lubich continua ad approfondire la spiritualità «collettiva», è opportuno domandarci quale rapporto esiste tra questa spiritualità e la vita che si esprime e si alimenta nella liturgia, in modo speciale in quella eucaristica. Intervistiamo a riguardo Jesús Castellano Cervera, noto specialista in materia.

Nei primi tempi della chiesa

GEN’S: Com’era il rapporto tra liturgia e vita quotidiana nei primi tempi del cristianesimo?

Con la Pentecoste e l’effusione dello Spirito Santo inizia nella chiesa – attraverso la parola, la chiamata alla conversione, la fede, il battesimo e l’eucaristia – la sua vita liturgica. Le prime comunità cristiane non separano la dimensione liturgica dalla vita, come attesta At 2, 42-48. Lo si vede dal fatto che vivono inseparabilmente quattro comunioni: della parola viva degli Apostoli, dell’amore reciproco, della frazione del pane e della preghiera.

Nelle testimonianze della liturgia primitiva si nota una stretta continuità tra la celebrazione liturgica e la vita ordinaria dei cristiani. L’ambito cultuale è il centro dei rapporti concreti di fraternità, carità, testimonianza; la vita cristiana nelle sue espressioni più genuine di comunione di beni, di lavoro, di ospitalità, di correzione fraterna, di testimonianza di fede fino al martirio è il logico protrarsi della vita cultuale dei credenti.

Già allora la liturgia comunitaria esigeva una spiritualità comunitaria: Un solo pane, un solo corpo (cf 1 Cor 10, 17).

Eucaristia e carità

GEN’S: San Tommaso – ma si potrebbero citare tante altre testimonianze1 – chiama l’eucaristia il sacramento della carità. Quale rapporto c’è tra l’eucaristia e la comunione fraterna che è frutto della carità vissuta?

Possiamo illustrare il rapporto liturgia – carità, liturgia – spiritualità comunitaria, con alcuni pensieri di un noto studioso della Bibbia, S. Lyonnet.

Egli, facendo riferimento all’ideale vissuto dalla comunità degli Atti degli Apostoli, afferma: «Per celebrare debitamente l’eucaristia non basta il fatto che un determinato numero di cristiani si riuniscano in uno stesso luogo... con il proposito di offrire a Dio il culto pubblico; bisogna che durante la settimana costituiscano una comunità, una famiglia, nella quale ogni membro viva, disposto a servire gli altri. Quindi il culto specificamente cristiano che è quello dell’eucarestia, è inseparabile dalla vita cristiana; pertanto non solo implica che durante la celebrazione i cristiani si sentano uniti tra loro e che manifestino questa unione mediante qualche gesto esterno, come il bacio di pace e l’elemosina per i poveri; esige piuttosto una trasformazione completa della vita»2.

Nel racconto dell’ultima cena di Gesù con i suoi discepoli, Giovanni è l’unico evangelista che non ha parlato dell’istituzione dell’eucaristia, ma ha manifestato quale sia il nuovo comandamento che corrisponde al Nuovo Patto, di cui l’eucaristia è il memoriale. Se infatti nell’Alleanza c’erano i comandamenti della legge di Dio, nella Nuova Alleanza c’è l’unico comandamento nuovo di Gesù, che li riassume tutti. Per cui Lyonnet continua: «Questa è la legge che noi cristiani ci impegniamo a vivere formalmente ogni volta che celebriamo l’eucaristia. Pertanto se i cristiani che celebrano la frazione del pane non si applicano con tutta lealtà e serietà nel fare della legge dell’amore, che l’eucaristia implica, un imperativo di vita, allora il rito eucaristico può sembrare un’irrisione o una menzogna»3.

«L’eucaristia – conclude – presuppone l’amore, allo stesso modo che il battesimo presuppone la fede... Come non si può amministrare il battesimo ad un adulto che non ha la fede, poiché il battesimo è segno ed espressione di fede, così pure, dato che l’eucaristia è espressione e segno di carità, è ovvio che presupponga una comunità nella quale si pratica la comunione fraterna, espressione concreta di questa carità. Ma è evidente che, come l’eucaristia presuppone la carità, così essa è insieme il suo alimento per eccellenza. Sono due aspetti che non si contraddicono in nessuna maniera, come ci ricordano spesso i documenti del Vaticano II»4.

Il culto è inseparabile
dalla giustizia sociale

GEN’S: Come conseguenza di tutto ciò, oggi si è fortemente consapevoli che la celebrazione eucaristica «deve avere anche delle conseguenze sulla presenza dei cristiani nella storia» (G. Gutiérrez); e tu hai scritto, diversi anni fa, in queste stesse pagine5, che l’eucaristia è fonte, modello e meta della giustizia nel mondo...

Infatti, come mostra lo stesso Nuovo Testamento, la comunione nella preghiera e nella frazione del pane si esprime nella comunione dei beni, spirituali e materiali.

La comunione dei beni materiali, richiesta dalla comunione dei beni spirituali, viene ricordata come ovvia anche dalla Didaché: «Se condividiamo i beni celesti, perché non condivideremo anche i beni materiali?»6.

Segno della comunione dei beni spirituali attuata nella liturgia è la «liturgia della carità», come ci testimonia san Giustino nel racconto della celebrazione eucaristica domenicale7.

La carità, anche con precisi impegni sociali, diventa esigenza per celebrare bene l’eucaristia e forma normale per prolungarne gli effetti. Giovanni Crisostomo accosta reiteratamente queste due realtà:

«Non vedi che solo al sacerdote è permesso presentare il calice del sangue del Signore?... Anche se tu sei laico – sembra dire Cristo – ...non esigo sangue ma un po’ di acqua fresca. Pensa a chi tu dai da bere e trema. Renditi conto che tu diventi sacerdote di Cristo nell’offrire con la tua mano, non carne, ma pane, non sangue, ma un bicchiere d’acqua fresca»8.

E ancora: «Tu che onori l’altare, sul quale posa il Corpo di Cristo, tu poi oltraggi e disprezzi nella sua indigenza chi è il Corpo stesso di Cristo. Questo altare lo puoi trovare dappertutto in ogni strada, in ogni piazza e puoi ad ogni momento offrire su di esso un vero sacrificio. Come il sacerdote in piedi davanti a questo altare invoca lo Spirito Santo, così anche tu davanti a questo altare lo invochi non con le parole, ma con gli atti, poiché nulla attira ed alimenta tanto il fuoco dello Spirito come l’abbondante effusione dell’olio della carità»9.

Giovanni Crisostomo si compiace nel mantenere questo parallelismo fra liturgia e vita di carità, come dimostra ancora questo brano eloquente: «Ogni volta che vedi davanti a te un fratello, pensa che hai davanti a te un altare e, lungi dal disprezzarlo, veneralo e difendilo dagli insulti degli altri. Se agirai così ti propizierai il Signore e meriterai i beni che ha promesso»10.

Siamo qui alla radice di quello che è stato chiamato il «sacramento del fratello» o «del povero» nel linguaggio di Giovanni Crisostomo. Purtroppo la dissociazione fra «sacramento eucaristico» e «sacramento del fratello» è stata nociva per la chiesa, riducendo l’eucaristia a devozione senza influsso sulla vita e secolarizzando il rapporto con il fratello, che non è più illuminato dalla visione eucaristica che fa vedere nell’altro una presenza di Cristo.

Liturgia ed evangelizzazione

GEN’S: Una liturgia così concepita diventa fondamentale per l’evangelizzazione, sia in quanto diffusione «per contagio» della vita evangelica, sia nella sua dimensione di servizio al mondo...

Il legame fra evangelizzazione, celebrazione liturgica e diaconia è assai sentito nella chiesa delle origini, come mostrano i citati testi di Giovanni Crisostomo. Questo grande Padre della chiesa conia un’espressione ardita parlando della carità, che è concretamente l’applicazione delle esigenze evangeliche proposte da Gesù nel capitolo 25 di Matteo sul giudizio finale. Egli dice che, vivendo la carità in questa maniera, «la terra diventa un cielo»11.

L’espressione è bella e appropriata. Essa ricorda ancora il doveroso legame tra liturgia e vita. Se infatti i primi slavi, assistendo per la prima volta alla celebrazione eucaristica, dissero di aver visto «il cielo sulla terra», è interessante notare che molti secoli prima era stato detto che, con la carità e le opere di misericordia – che oggi chiameremmo anche opere di giustizia – «la terra diventa cielo».

Non potremmo dire anche oggi che, attuando la spiritualità comunitaria, la terra diventa cielo perché si attualizza la comunione dei santi?

Dal sacramento celebrato
al sacramento vissuto

GEN’S: Potresti mostrare, almeno con qualche pennellata, quale contributo offra la spiritualità collettiva per vivere in modo adeguato la liturgia della chiesa?

Prima di tutto bisognerebbe rileggere quanto Chiara Lubich ha detto sul rapporto tra eucaristia e comunione con i fratelli, e tra eucaristia e ideale dell’unità12. Lì troviamo esposto, in un linguaggio accessibile a tutti, il fondamento sacramentale della spiritualità collettiva. Infatti Gesù nell’eucaristia, con il dono della Parola di vita e del Pane di vita, ogni giorno ci fa uno con lui e fra noi.

Nel Movimento dei focolari la spiritualità collettiva – che ha le sue radici nel comandamento nuovo, nella presenza del Risorto nella comunità unita nel suo nome e in Gesù abbandonato chiave dell’unità – viene attuata in alcune forme caratteristiche come il patto d’amore reciproco, il patto di misericordia, la comunicazione delle esperienze, la correzione fraterna, ecc., e con ciò essa ci aiuta a vivere concretamente la grazia dell’eucaristia.

Se dovessimo dire le cose col linguaggio tecnico dei teologi, si potrebbe affermare che vivendo la spiritualità collettiva attraverso tutti i suoi «strumenti», rendiamo viva ed operante la «res sacramenti», cioè la «grazia sacramentale» dell’eucaristia e della liturgia, che è l’unità del Corpo mistico di Cristo.

Questo mi sembra un profondo contributo del Movimento dei focolari, perché la spiritualità collettiva rende viva, attuale, vivificante ed incarnata la grazia dell’eucaristia, culmine e fonte di tutta la vita della chiesa13. Ricordo di aver ascoltato Chiara Lubich fare questa bellissima descrizione: «Che cos’è la chiesa? È l’uno provocato dall’eucaristia».

 L’unità è un dono di Dio: diventiamo una sola cosa per l’eucaristia. Ma a sua volta la comunione interpersonale autentica permette che l’eucaristia produca tutti i suoi effetti: senza l’unità, l’eucaristia rimane come muta.

La spiritualità collettiva è il modo pratico per vivere in pienezza la comunione reciproca che, celebrata nella liturgia, deve attuarsi nella vita quotidiana, fino a quell’espressione radicale che è il donare la vita gli uni per gli altri, secondo il modello trinitario.

La liturgia diventa così scuola di carità nel «sacramento del quotidiano», in modo che possiamo trasformarci in quello che riceviamo14. Attraverso i cardini della spiritualità collettiva lo Spirito Santo ci fa passare dal sacramento celebrato al sacramento vissuto.

 

a cura della redazione

 

1)   Cf J. CASTELLANO CERVERA, «Molti un solo corpo». Eucaristia e spiritualità collettiva in alcuni testi patristici, in Unità e carismi 5 (1995) n. 3-4, p. 20-25 (articolo che per molti versi completa la presente intervista).

2)   La naturaleza del culto en el Nuevo Testamento, in         AA.VV., La liturgia después del Vaticano II, Ed. Taurus, Madrid 1969, 450.

3)   Ibid., 451-452.

4)   Ibid., 453.

5)   Gen’s 13 (1983) n. 7-8, p. 10.

6)   IV, 8, Ed. Funk, I,  13.

7)   Apologia, I, 67; PG 6, 430.

8)   In Math, 45, 2-3; PG 58, 474.

9)   In Ep 2 ad Cor., Hom 20, 3; PG 61, 540.

10)           Ibid.

11)           Cf N. BROX, «Far sì che la terra diventi un cielo».   La diaconia nella Chiesa delle origini, in Concilium (1988) n. 4, 59-68.

12)            Cf Scritti Spirituali/4. Dio è vicino, Città Nuova Ed., Roma 1981, 43-47; «L’Eucaristia fa la Chiesa», in Gen’s 13 (1983) n. 5, p. 5-8 (riprodotto recentemente in C. LUBICH, Una famiglia per rinnovare la società, Città Nuova Ed., Roma 1993, 59-75). 13)            Cf Concilio Vaticano II, SC 10.

14)            Ibid., LG 26.