La spiritualità dell’unità, sorta circa cinquant’anni fa, si rivela sempre più di estrema attualità, un vero segno dei tempi

Costruiamo insieme
il «castello esteriore»

di Chiara Lubich

 

Parlando a Milano nel marzo ’95 in occasione del conferimento del premio «Autore dell’anno» dell’Unione Editori e Librai Cattolici Italiani, Chiara ha messo in luce alcune caratteristiche della spiritualità collettiva. Riportiamo alcuni tratti salienti del suo discorso.

Spiritualità collettiva

Si sa come in questi duemila anni dalla venuta di Gesù, la chiesa abbia visto fiorire nel suo seno, l’una dopo l’altra, e a volte contemporaneamente, le più belle, le più ricche spiritualità, sicché la Sposa di Cristo si è vista adorna delle perle più preziose, dei brillanti più rari che hanno formato e formeranno ancora tanti santi.

In tutto questo splendore una nota è sempre stata costante: è soprattutto l’individuo, la persona singola che va a Dio.

È questa una conseguenza ancora di quel lontano periodo della storia in cui i cristiani, scemato il primitivo fervore che aveva visto stringersi la comunità di Gerusalemme in un cuore solo e un’anima sola, e passate le persecuzioni, pensarono di salvare la propria fede ritirandosi nel deserto per attuare soprattutto il primo comandamento, amare Dio. È l’epoca dell’anacoresi.

Se questo salvò tanti principi cristiani e fece dei santi, non si sottolineò allora il valore del fratello nella vita spirituale e si vide nell’uomo anche, alle volte, un ostacolo per andar a Dio.

Apa Arsenio diceva: «Fuggi gli uomini, e sarai salvo»1.

E ancora molti secoli dopo, nel famoso libro dell’Imitazione di Cristo – bellissimo -, è stato scritto: «Disse un saggio: “Ogni volta che andai fra gli uomini, me ne tornai meno uomo’’»2.

Spiritualità individuali dunque, anche se il mistero del Corpo mistico di Cristo non permette mai che siano esclusivamente tali, in quanto ciò che avviene in una persona ha sempre riflesso sulle altre. Ed anche perché questi cristiani offrivano ed offrono a Dio preghiere e penitenze in favore dei fratelli.

Nuova e attuale

Ma oggi i tempi sono cambiati.

In quest’epoca lo Spirito Santo chiama con forza gli uomini a camminare accanto ad altri uomini, anzi ad essere, con tutti quanti lo vogliono, un cuor solo e un’anima sola.

E lo Spirito Santo ha spinto il nostro Movimento, vent’anni prima del Concilio, a fare questa solenne sterzata verso gli uomini.

Secondo la nostra spiritualità si va a Dio proprio passando per il fratello.

«Io – il fratello – Dio», si dice. Si va a Dio insieme con l’uomo, insieme con i fratelli, anzi si va a Dio attraverso l’uomo.

Da studi di nostri esperti – almeno in una prima visione generale – risulta che una spiritualità collettiva, come questa dell’unità, appare per la prima volta nella chiesa.

Ci sono state, sì, nel passato esperienze che si avvicinano ad essa, soprattutto sorte da chi metteva l’amore a base della vita spirituale.

È da ricordare, ad esempio, san Basilio, per il quale il primo comandamento riguardante l’amore di Dio e il secondo riguardante l’amore del prossimo erano posti a base della vita della sua spiritualità.

E soprattutto sant’Agostino, per il quale l’amore reciproco e l’unità avevano il supremo valore.

Ma P. Jesús Castellano, ad esempio (professore di Teologia Spirituale presso il “Teresianum’’ di Roma, e consultore della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, che conosce profondamente la nostra spiritualità), dice che «nella storia della spiritualità cristiana si afferma: “Cristo è in me, vive in me’’ ed è la prospettiva della spiritualità individuale, della vita in Cristo; o si afferma: “Cristo è presente nei fratelli’’ e si sviluppa la prospettiva della carità, delle opere di carità, ma manca in genere scoprire che se Cristo è in me e nell’altro, allora Cristo in me ama Cristo che è in te e viceversa (...) e vi è il donare ed il ricevere».

«Esiste – afferma il Castellano – anche una spiritualità comunitaria, ecclesiale, a Corpo mistico. (...) Si parla in genere di questa spiritualità come di una corrente del nostro secolo, secolo della riscoperta della chiesa.

Ma quel “di più’’ che il Movimento ci dà con la spiritualità collettiva è la visione e la prassi di una comunione, di una vita ecclesiale, “a Corpo mistico’’, nella quale vi è e la reciprocità del dono personale e la dimensione del diventare “uno’’.

Anche quando esistono intuizioni o affermazioni negli autori di oggi su questa dimensione della teologia e della spiritualità, manca in loro...di proporre questo come stile di vita, e di incarnarlo in una esperienza; dalle cose più semplici (come facciamo noi), “tenere Gesù in mezzo’’, che è il massimo e il minimo, alle dimensioni più impegnative del Movimento come l’economia di comunione e come l’inculturazione»3.

Nello stesso tempo una spiritualità collettiva è stata prevista per i nostri tempi da teologi contemporanei ed è richiamata dal Vaticano II. (...)

È un’era, la nostra, in cui il collettivismo cristiano viene in piena luce, in cui si cerca, oltre il Regno di Dio nelle singole persone, anche il Regno di Dio in mezzo alle persone.

Si cammina insieme

Le spiritualità individuali inoltre manifestano in genere delle precise esigenze in coloro che vi sono più impegnati:

La solitudine e la fuga dalle creature per raggiungere la mistica unione con la Trinità dentro di sé.

Per custodire la solitudine si esige il silenzio.

Per tenersi separati dagli uomini si usano il velo e la clausura, oltre un particolare abito.

Per imitare la passione di Cristo si fanno le più svariate penitenze, a volte durissime, digiuni, veglie.

Nella via collettiva si conosce pure la solitudine e il silenzio, per attuare, ad esempio, l’invito di Gesù a chiudersi nella propria stanza a pregare, e si fuggono gli altri se portano al peccato, ma in genere si accolgono i fratelli, si ama Cristo nel fratello, in ogni fratello, Cristo che può essere vivo in lui o può rinascere anche per l’aiuto che noi gli offriamo. Ci si vuole unire con i fratelli nel nome di Gesù, onde aver garantita la sua presenza in mezzo a noi.

Non un solo fiore,
ma l’intero giardino

Nelle spiritualità individuali si è quindi come in un magnifico giardino (la chiesa) e si osserva e si ammira soprattutto un fiore: la presenza di Dio dentro di sé. In una spiritualità collettiva si amano e si ammirano tutti i fiori del giardino, ogni presenza di Cristo nelle persone. E la si ama come la propria.

E giacché anche la via comunitaria non è e non può esser solamente tale, ma anche pienamente personale, è esperienza generale che quando ci si trova soli, dopo aver amato i fratelli, si avverte nell’anima l’unione con Dio. Basta, infatti, prendere un libro in mano per fare meditazione ed Egli subito ci invita al dialogo.

Per cui si può dire che chi va al fratello in modo corretto, amando come il Vangelo insegna, si ritrova più Cristo, più uomo.

C’è il silenzio, ma anche la parola

E, poiché si cerca di essere uniti con i fratelli, si ama in modo speciale, oltre il silenzio, la parola, che è mezzo di comunicazione.

Si parla per farsi uno con i fratelli. Si parla, nel Movimento, per comunicarsi le proprie esperienze sulla vita della Parola di vita o sulla propria vita spirituale, consci che il fuoco non comunicato si spegne e che questa comunione d’anima è di grande valore spirituale. San Lorenzo Giustiniani diceva:

«Nulla infatti al mondo rende più lode a Dio e più lo rivela degno di lode, quanto l’umile e fraterno scambio di doni spirituali...»4.

Si parla nelle grandi manifestazioni per tenere acceso in tutti il fuoco dell’amore di Dio. E quando non si parla si scrive: si scrivono lettere, articoli, libri, diari perché il Regno di Dio avanzi nei cuori.

Si usano tutti i mezzi moderni di comunicazione. E ci si veste come tutti per non separarci da nessuno.

Si fanno penitenze,
ma per l’unità

Anche nel Movimento si praticano le mortificazioni indispensabili ad ogni vita cristiana, si fanno le penitenze, specie quelle consigliate dalla chiesa, ma si ha una stima particolare per quelle che offre la vita d’unità con i fratelli.

Essa non è facile per «l’uomo vecchio», come lo chiama san Paolo, sempre pronto a farsi strada dentro di noi.

L’unità fraterna poi non si compone una volta per tutte; occorre sempre ricostruirla. E se, quando l’unità esiste, e per essa la presenza di Gesù in mezzo a noi, si sperimenta immensa gioia, quella promessa da Gesù nella sua preghiera per l’unità, quando l’unità vien meno subentrano le ombre e il disorientamento. Si vive in una specie di purgatorio.

Ed è questa la penitenza che dobbiamo essere pronti ad affrontare.

È qui che deve entrare in azione il nostro amore per Gesù crocifisso e abbandonato, chiave dell’unità; è qui che per amore di Lui, risolvendo prima in noi ogni dolore, si fa ogni sforzo per ricomporre l’unità.

Si prega in unità

Anche nel Movimento si prega ed è particolarmente sentita la preghiera liturgica, come la santa Messa, perché preghiera della chiesa.

Ed è caratteristica la preghiera collettiva insegnata da Gesù: «Se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà» (Mt 18, 19).

Per chi percorre la via dell’unità, Gesù in mezzo è essenziale.

Pena il fallimento personale, dobbiamo sempre ravvivare la sua presenza nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità, nei nostri convegni, nelle nostre cittadelle.

È Gesù in mezzo che porta quel «di più» che caratterizza il carisma.

Come due poli della luce elettrica, pur essendoci la corrente, non fanno luce finché non si uniscono, ma la producono appena uniti, così due persone non possono sperimentare la luce tipica del carisma dell’unità finché non si uniscono in Cristo mediante la carità.

Per chi percorre questa via tutto ha significato e valore nel lavoro, nello studio, anche nella preghiera e nella tensione alla santità, come nell’irradiazione della vita cristiana, se ha prima con i fratelli Gesù in mezzo, che è la norma delle norme di questa vita.

Qui si raggiunge la santità se si fa verso Dio una marcia in unità.

Il «castello esteriore»

Seguono questa spiritualità le persone più diverse di ambo i sessi, di ogni età, di ogni razza, di ogni lingua, di ogni popolo, di ogni ceto sociale, perché essa è arrivata ormai fino agli ultimi confini della terra e trasborda nelle altre chiese e religioni come anche in persone di altre convinzioni.

Per cui la società in tutti i suoi ambiti, i suoi aspetti, le sue vocazioni viene via via intrisa di divino. E ogni realtà viene clarificata, consacrata, perfezionata.

Santa Teresa d’Avila, dottore della chiesa, parla di un «castello interiore»: quella realtà dell’anima, abitata al centro da Sua Maestà, da scoprire durante la vita, superando le varie prove. E questo è un culmine di santità in una via prevalentemente individuale, anche se poi lei trascinava in quest’esperienza tutte le sue figliole.

Ma è venuto il momento, almeno ci sembra, di scoprire, illuminare, edificare, oltre il «castello interiore», anche il «castello esteriore».

Noi vediamo tutto il Movimento come un castello esteriore, dove Cristo è presente e illumina ogni parte di esso, dal centro alla periferia.

Ma se noi pensiamo fin dove arriva questa spiritualità, anche fuori della struttura dell’Opera, come ad esempio a responsabili della società e della chiesa, comprendiamo subito che questo carisma non fa solo dell’Opera nostra un castello esteriore, ma tende a farlo del corpo sociale ed ecclesiale.

Il Santo Padre, parlando recentemente ad una settantina di vescovi, amici del Movimento, ha detto: «Il Signore Gesù ... non ha chiamato i discepoli ad una sequela individuale, ma inscindibilmente personale e comunitaria. E se ciò è vero per tutti i battezzati – continua il papa – vale in modo particolare (...) per gli Apostoli e per i loro successori, i vescovi»5.

Così – io dico – questa spiritualità abbraccia tutto il popolo di Dio che diventa, per questo carisma, più uno e più santo.

 

Chiara Lubich

 

 

1)   Vita e Detti dei Padri del deserto, a cura di L. MORTARI, Roma 1975, p. 97.

2)    Imitazione di Cristo, I, XX, 1-6.

3)   J. CASTELLANO CERVERA, lettera a Chiara Lubich a proposito della spiritualità collettiva dell’Opera di Maria, del 21 giugno 1992

4)    S. LORENZO GIUSTINIANI, Disciplina e perfezione della vita monastica, Città Nuova Ed., Roma 1967, p. 4.

5)    GIOVANNI PAOLO II a un gruppo di vescovi amici del Movimento dei Focolari, in OR del 17 febbraio 1995, p. 5.