Attualità Ecclesiale

Convegno a Palermo

Nuova tappa per la chiesa italiana

I direttori dei quotidiani a larga tiratura e dei mass-media non sono riusciti a trasmettere il vivo interesse che i loro inviati mostravano durante i lavori di questo Convegno. Mentre alcuni autorevoli delegati, presenti all’assemblea e inizialmente incerti nell’esprimere un giudizio sull’esperienza vissuta, ora scrivono che il Convegno si pone certamente come punto di riferimento da cui partire per sviluppare la prospettiva culturale orientata in senso cristiano, radicata nel Vangelo della carità e capace di rinnovare efficacemente l’incontro tra fede, cultura e vita del nostro Paese.

Si potrebbe dire che, nonostante taluni disagi metodologico-organizzativi, i risultati sono andati ben oltre le aspettative e che gli elementi positivi e innovativi superano di gran lunga le legittime osservazioni critiche.

Significativo è il fatto che dei delegati fraterni di altre chiese cristiane, presenti al Convegno, abbiano scritto di aver incontrato «una chiesa cattolica viva e vitale, capace di pensare a se stessa senza attestarsi su posizioni difensive ma, al contrario, ad affrontare i problemi di una società moderna, complessa, pluralista» (Notizie evangeliche, 22 novembre 1995).

A chi, con atteggiamento incredulo, domanda come mai a Palermo non siano emerse le tensioni e le notevoli distanze che spesso si registrano a livello locale per l’appartenenza a tendenze, gruppi, associazioni o movimenti diversi, non si può fare a meno di rispondere che nel Convegno non si respirava ansia, o paura, o senso di inadeguatezza, non si coglievano neppure ingenui trionfalismi. C’era piuttosto un clima di profondo e rispettoso dialogo tra tutti, la voglia di capire le nuove sfide, magari facendo una pacata e serena autocritica su errori o ritardi relativi alla responsabilità dei credenti nella vita del Paese, il desiderio di andare alla radice del problemi e poi di arrivare a concretezza.

I 2.335 delegati (di cui 206 erano i Vescovi, 125 le religiose, 39 i religiosi, 23 i diaconi e 1.756 i laici) hanno voluto guardare a tutte le espressioni della comunità cristiana e a quanti operano nei campi più diversi e, attraverso l’esperienza vissuta in quelle quattro giornate, hanno fatto emergere una chiesa dinamica e vitale, e perciò potenzialmente capace di ridare vita ad una società in cui troppe luci sono spente e sembra prevalere la rinuncia a sperare e a pensare al futuro.

Più ci si allontana temporalmente dal Convegno, maggiore è la convinzione che il protagonista principale è stato Cristo presente in mezzo ai convenuti. Col dono del suo Spirito egli ha aperto e sciolto cuori e menti a comprendere che stiamo vivendo degli anni formidabili nei quali siamo chiamati a ridare forza ad un’umanità che per tanti versi sembra quasi lasciarsi spegnere.

Per tentare di ordinare schematicamente e anche solo per offrire alcuni titoli dei densi contributi presentati e maturati durante il Convegno, credo possa risultare utile raccogliere il tutto attorno ai cinque principali avvenimenti.

1. Le indicazioni all’apertura dei lavori – I convenuti alla Fiera del Mediterraneo, sede del Convegno, sono stati accolti dalle parole del Card. Ruini che, citando il comandamento nuovo, ha detto: «Siamo venuti qui per individuare insieme, nell’ascolto della voce dello Spirito, le vie odierne di questa missione e i modi per portare» quei frutti duraturi prodotti solo da tralci che «rimangono nella vite». Gli ha fatto eco il Card. Saldarini invitando a fare non tanto «una grande conversazione», ma soprattutto «una grande conversione» alla verità eterna di Dio ed ai bisogni dell’autentica fraternità, rinnovando l’impegno di una santità di popolo capace di «edificare delle possibilità di esistenza» ispirate dalla cultura della carità.

2. Le relazioni – Due le relazioni svolte: quella del sociologo Franco Garelli e quella del teologo Piero Coda.

Rileggendo i dati della situazione, relativi alla religiosità e alla presenza dei credenti nel nostro Paese, il prof. Garelli proponeva quasi provocatoriamente, di prendersi un anno sabbatico in modo da evitare il moltiplicare le parole per andare all’essenziale: il primato dell’assoluto dello Spirito. I cattolici, ormai una minoranza, sperimentano grande difficoltà nell’esprimere e nel comunicare il dono della fede: rispetto al passato, sono minori gli spazi di confronto e di crescita, soprattutto in campo politico. Si è prospettato quindi il compito di elaborare un progetto culturale capace di ripensare a fondo l’impegno della comunità ecclesiale, partendo da una nuova spiritualità, particolarmente per i laici, che si cali «nel rumore della vita quotidiana».

Il teologo Coda ha evidenziato l’urgenza di una grande conversione pastorale che tenga conto realisticamente della vicenda storica e sappia dire parole nuove sull’impegno dei cattolici nella società. L’intima connessione esistente tra fede, annuncio della verità ed esercizio della carità nella vita della chiesa consente, per Coda, di prospettare alcuni tratti essenziali della prassi pastorale: il discernimento comunitario, necessario per «verificare lo stile ed il livello di fraternità presente nelle nostre comunità»; questo dinamismo comunitario viene reso possibile grazie all’inserimento vivo negli organismi di corresponsabilità e di partecipazione, voluti dal Concilio, e intesi come strumenti della reciprocità intraecclesiale, come struttura e metodo del dialogo e della comunione; la spiritualità di comunione capace di superare l’intimismo della fede e il pericolo di pensare la comunità ecclesiale come luogo semplicemente «organizzativo»; il rinnovamento pastorale che, se attuato in profondità, può risultare efficace antidoto ai guasti del soggettivismo, tipici della nostra cultura occidentale, riaprendo la persona alla trascendenza di Dio e a rapporti interpersonali capaci «dell’accadimento della verità nella carità». Solo in una logica di comunione sarà possibile ripensare e ridefinire la presenza e l’azione, anche in campo sociale e politico, dei cattolici e solo una mentalità che favorisca una «profetica estroversione» aprirà i cattolici al «di più profetico che viene dalla carità di Cristo».

3. La giornata col papa – Nel suo discorso all’assemblea Giovanni Paolo II ha sottolineato il momento di crisi, sia culturale sia di ethos collettivo, che attraversa l’Italia con i suoi aspetti positivi (il rifiuto dell’immoralità sociale e politica, il desiderio di trasparenza e solidarietà, ... ) e con i suoi gravi pericoli (la denatalità persistente, il permissivismo nell’aborto, il mancato sostegno alle scuole cattoliche ... Egli ha invitato i figli della chiesa a superare forme di agnosticismo e di ateismo pratico, a non fuggire la croce e, soprattutto, a «contribuire a ravvivare la coscienza morale della nazione, facendosi artigiani di unità e testimoni di speranza per la società italiana». Particolarmente incisive risultano le affermazioni sulla diaspora culturale dei cattolici che oggi hanno il compito culturale e socio-politico di riproporre valori e idee-forza fondamentali quali: la persona e il rispetto della vita, la famiglia, la libertà scolastica, la solidarietà, la promozione della giustizia e della pace.

4. I lavori dei gruppi nei cinque ambiti – Interessante è stata la scelta degli ambiti fatta dai partecipanti: 540 hanno scelto la cultura e la comunicazione sociale, 430 l’impegno sociale e politico, 378 l’amore preferenziale verso i poveri, 415 la famiglia e 420 i giovani. Gli incontri nei vari gruppi sono stati caratterizzati da ricchezza di contributi e particolare vivacità, che hanno arricchito il clima di fraternità e di ascolto nel quale si è visto il desiderio dei delegati di raccontare impressioni, idee, esperienze e prospettive. Il quadro che ne emergeva dava la netta impressione di una varietà e molteplicità di iniziative già presenti nella vita delle comunità. Proprio per questo le conclusioni hanno richiesto un grande impegno di elaborazione per riuscire ad esprimere nelle proposizioni finali, il più possibile, tutta la ricchezza dei contributi emersi nei gruppi.

5. Le conclusioni del Convegno – Il metodo del Convegno (sinergia di annuncio-liturgia-testimonianza) e lo stile di dialogo – non solo tra i delegati cattolici ma anche con i delegati fraterni delle altre chiese, con i credenti ebrei e mussulmani, nella tavola rotonda con esponenti della cultura laica – hanno aperto una «prospettiva di conversione di cui noi per primi dobbiamo saperci fare carico, nelle comunità cristiane dove si realizza la nostra testimonianza», diceva alla conclusione il prof. Savagnone, coordinatore generale degli ambiti.

L’intervento finale del card. Ruini, dopo le votazioni ha focalizzato alcune scelte da riprendere e precisare ulteriormente: testimoniare il Vangelo della carità per una nuova società in Italia reclama l’impegno dell’unità e richiede una crescita nella spiritualità.

Il Messaggio alle chiese, letto da mons. Antonelli, invita i credenti a guardare al futuro partendo dalla contemplazione dell’immenso amore che Dio ha manifestato per gli uomini, in Cristo crocifisso e risorto. È dalla forza di questo amore che sgorgano la vita nuova, la speranza, e la spinta operosa del cristiano.

Si attende ora il documento che la Conferenza episcopale preparerà in base alle proposte emerse durante il Convegno.

Vincenzo Zani

 

 

Ortodossi e cattolici in dialogo

Un’anima per l’Europa

Nel settembre scorso ha avuto luogo in Grecia il quarto Simposio intercristiano. Sede del convegno è stata la città di Alessandropoli di fronte all’isola di Samotracia, dove è sbarcato Paolo, secondo la testimonianza di Luca (At 16, 11). Tema trattato: «Il contributo del cristianesimo orientale e occidentale all’orientamento spirituale dell’Europa».

Per la quarta volta dal 1992 si sono incontrati ortodossi e cattolici, in gran parte professori delle Università di Atene e Salonicco e degli Atenei di Roma, per approfondire la conoscenza reciproca e per sviluppare il dialogo attorno a temi di spiritualità cristiana. Si tratta di una iniziativa organizzata dalla Facoltà di teologia di Salonicco e dall’Istituto di spiritualità dell’Antonianum di Roma.

La scelta del tema questo anno obbediva ad una precisa preoccupazione ecumenica. Il futuro dell’unione delle nazioni europee ha bisogno di un soffio spirituale cristiano. Gli ortodossi hanno molto a cuore che la casa comune europea sia costruita a partire da quella grande tradizione cristiana, di cui la Grecia si sente protagonista e che sta alla base della civiltà di questo Continente. Di recente il patriarca Bartolomeo I, in visita a Bruxelles, ha voluto sottolineare questo aspetto importante, affinché nel futuro non manchi all’Europa la profonda ispirazione della spiritualità cristiana.

Il Simposio, pur non essendo una iniziativa di dialogo ufficiale, ha assunto un rilievo particolare. Il patriarca Bartolomeo si è fatto presente con una sua lettera personale e inviando il vescovo Athanasios del Sinodo patriarcale di Istanbul; da Roma hanno mandato lettere i cardinali Silvestrini e Cassidy. Erano pure presenti il vescovo ortodosso della diocesi del posto, Anthimos, – che ha accolto tutti i partecipanti e in maniera speciale i cattolici con squisita ospitalità – e Antonio Varthalitis, vescovo cattolico di Corfù e Cefalonia e amministratore apostolico di Tessalonica. Sono intervenuti anche mons. Eleuterio Fortino, sottosegretario del Pontifico Consiglio per l’unità dei cristiani e il dottor Marc Luyckx, consigliere del Presidente dell’Unione Europea per le questioni religiose.

Le conferenze, svolte in un dialogo a due voci fra ortodossi e cattolici, hanno spaziato su questi temi: 1) la tradizione della chiesa come fattore della coscienza spirituale dell’Europa; 2) l’eredità cristiana orientale e occidentale; 3) i modelli di uomini e donne che hanno costruito l’Europa; 4) cristianesimo e comunità europea; 5) realtà e prospettive dell’Europa.

Alcuni membri del Movimento dei focolari con la loro presenza hanno contribuito a creare comunione tra tutti ed hanno presentato alcuni temi: Paolo Siniscalco ha parlato del contributo dei Padri latini; Joan Back ha presentato il Movimento e la sua esperienza ecumenica internazionale; un aderente al Movimento, appartenente alla chiesa ortodossa, C. Charalambidis, ha illustrato il tema dell’iconografia bizantina; il sottoscritto ha parlato delle donne sante costruttrici dell’Europa, come Brigida di Svezia.

L’amicizia che ormai si è creata tra i partecipanti in questi quattro simposi, lo scambio di doni nel dialogo, le celebrazioni liturgiche nelle due tradizioni, hanno molto contribuito a creare una vera comunione nella verità, nella preghiera e nella vita di ogni giorno. Così i momenti accademici erano intervallati dalle liturgie, ortodossa e cattolica, e arricchiti dalla conoscenza dei luoghi e delle istituzioni della diocesi. Pur non potendo ancora condividere lo stesso calice, è stata molto bella la celebrazione eucaristica domenicale nella cattedrale di Alessandropoli, nel giorno onomastico di sua beatitudine Anthimos, che ha presentato ai suoi fedeli il Simposio e gli ospiti cattolici.

Attraverso l’esperienza di dialogo con questo gruppo scelto di ortodossi greci si intravvede il cammino da seguire, che ci sembra sia quello di superare i malintesi, crescere nella conoscenza teorica e pratica della vita delle due chiese, aprire il dialogo soprattutto nella linea della teologia, della spiritualità, della liturgia, dei tesori di santità delle due tradizioni.

In questi giorni del Simposio è emersa con particolare forza la convinzione – ed è questa la mia esperienza più profonda – che la via dell’ecumenismo è quella dell’amare per primi, dello scambio dei doni, del servizio costante e gratuito. Devo testimoniare che siamo stati amati e serviti dalle nostre sorelle e fratelli ortodossi fino all’estremo della generosità e dei dettagli concreti.

Molte testimonianze confermano che lo Spirito Santo sta riaprendo anche in Grecia i dialoghi della cordiale amicizia e della carità autentica. È sufficiente citare la testimonianza di un sacerdote autorevole, Anthimos Koukouridis, protosincello, cioè vicario generale della diocesi. Durante il Simposio lo abbiamo visto con la lettera enciclica Ut unum sint tra le mani e al termine della celebrazione liturgica della Natività della madre di Dio ha espresso così i suoi sentimenti, che cercherò di riportare il più fedelmente possibile: «Oggi ho celebrato la divina liturgia con una certa tristezza nel cuore, perché al momento della comunione non abbiamo potuto condividere insieme l’Eucaristia, perché le nostre chiese sono ancora divise, pur vedendo davanti a me voi che siete fratelli e sorelle più buoni e più santi di me. E questo è un male, uno scandalo: dobbiamo pregare e lavorare, affinché questa situazione possa essere superata al più presto. Tornando alle vostre nazioni, dite che in noi e in voi sta lavorando lo stesso Spirito Santo, affinché un giorno non molto lontano ortodossi e cattolici possiamo condividere lo stesso pane e lo stesso calice dell’Eucaristia».

Il prossimo appuntamento sarà nel settembre del 1997 ad Assisi, la città di Francesco, mentre chiediamo insieme al cielo di affrettare l’ora della piena unità.

Jesús Castellano C.