Edificare Nazareth

Da quando i monaci, dopo il periodo dell’anacoretismo, hanno trovato maggior aiuto spirituale a vivere insieme formando cenobi e poi monasteri, la dinamica della vita comune ha avuto modo di essere sperimentata, variata, studiata e regolamentata in tutte le sfumature concepibili.

E in realtà, come nel matrimonio la vita comune può diventare purgatorio o paradiso, allo stesso modo la vita comune dei consacrati può rivelarsi o massima penitenza o vita celeste.

Per trasformarla in vita celeste, i fondatori e i superiori, loro successori, hanno usato – a seconda dei tempi, del proprio carisma e del proprio genio umanopedagogie diverse.

Mi è capitato sotto gli occhi questo testo di un monaco cistercense, discepolo e contemporaneo di san Bernardo, Aelredo di Rievaulx, superiore della locale abbazia che alla sua morte (1167) contava 140 monaci e circa 500 conversi. Come si può notare, è una pedagogia tesa a formare Cristo in sé, come condizione per poter vivere santamente insieme. Non è esplicita la motivazione di vivere «alla trinità» e formare il «castello esteriore» proprio della spiritualità collettiva che costituisce il carisma del nostro tempo (vedi il testo di Chiara Lubich a pag. 3), ma è un passo indispensabile per poterlo costruire.

Che Nazareth significhi fiore, e Galilea passaggio avvenuto lo si trova nel libro di san Girolamo sul Significato dei nomi ebraici.

Ed ecco il testo, tratto dal Sermo 38 ai monaci:

«Nazareth significa fiore. Come edificare questa casetta in noi perché possa chiamarsi fiore? Nel fiore considerate tre elementi: la bellezza, il profumo e la promessa del frutto. Il nostro cuore deve dunque possederli tutti e tre, se vogliamo concepire Cristo in noi.

Già il vostro cuore è diventato Galilea, perché siete passati dalla vita del mondo a uno stato religioso, dalle ricchezze alla povertà, dai piaceri a una vita di lavoro, dal superfluo al necessario. Ora non vi resta che edificarvi Nazareth.

Ma poiché Nazareth significa fiore, questa casetta la si deve edificare con quei tre elementi che abbiamo considerato nel fiore: la bellezza, il profumo e il frutto.

Se questi tre elementi sono in noi, viviamo spiritualmente a Nazareth, e Cristo viene concepito in noi. Se non ci sono, in nessun modo Cristo può esservi concepito.

La bellezza riguarda la castità, il profumo la carità fraterna, la speranza dei frutti il fervore spirituale.

Grande bellezza dell’anima è la castità. Essa respinge ed esclude ogni cosa brutta, ogni sentore di libidine e ogni macchia carnale. Ciascuno di voi deve possedere questa bellezza fin dall’inizio della sua vita in comune, poiché proprio nella vita comune, se è autentica, Cristo viene concepito.

Deve anche possedere l’amore fraterno... in modo che tutti i fratelli ne sentano il profumo. Il cuore umano, infatti, è come un vaso pieno di miele o di veleno. Finché il vaso ha il coperchio, nessuno sa cosa c’è dentro. Ma se qualcuno alza il coperchio, si conosce subito dall’odore il contenuto che vi era nascosto.

Di conseguenza, fratelli, finché il monaco se ne sta chiuso in sé, finché nessuno gli parla o gli ordina qualcosa o gli offre qualche stimolo ad aprirsi, il vaso resta chiuso, e non si sa cosa contiene. Ma se lo si fa parlare o gli si ordina di fare qualcosa, magari di pesante, o se lo si redarguisce per qualche mancanza, allora il vaso viene scoperchiato e si riesce a sentire se l’odore è buono o cattivo.

Se si indispettisce, se si lascia andare a critiche, a mormorazioni, oppure se si permette (...) derisioni o leggerezze del genere, è chiaro che non offre ai fratelli un buon profumo, poiché non contiene in sé amore fraterno ma piuttosto una disposizione viziosa. Non ha edificato in sé Nazareth, e di conseguenza Cristo in lui non può venire concepito.

Chi invece parla con ponderazione, chi risponde con umiltà, chi obbedisce con pazienza, chi non manifesta né a parole né col volto alcuna amarezza, diffonde un buon profumo, come se il suo vaso fosse pieno di ottimi aromi. Mostra insomma che ha l’amore fraterno, e si merita di esserne ricambiato da tutti.

Deve anche possedere ciò che fa sperare buoni e grandi frutti. Ossia? Uno spirito fervoroso. Da uno che è tiepido, pigro e lento non si aspettano frutti. Da uno invece che è fervoroso, che con fervore fa il suo dovere, che abbraccia con fervore ogni cosa, ci si aspettano frutti perché li ha in sé.

Questi tre elementi, soprattutto, dobbiamo possedere fin dall’inizio della nostra vita comune, dal momento che per prima cosa Cristo lo si deve concepire in noi».

S. C.