Un cammino
che non termina qui

Hubertus BLAUMEISER

Sacerdote della diocesi di Augsburg (Germania),
Hubertus Blaumeiser è dal 1986 responsabile del Centro per i seminaristi diocesani che aderiscono al Movimento dei focolari. Assieme agli altri sacerdoti e seminaristi di questo Centro, aveva già animato i precedenti Congressi internazionali di seminaristi nel 1987
e nel 1989.

Nel suo contributo traccia un breve bilancio ed evidenzia prospettive per un cammino nel quotidiano.

«U

no perché tutti siano uno» è stato il tema di questo Congresso che ha voluto far risuonare fra noi il supremo desiderio di Gesù, la sua ansia di estendere a tutta l’umanità quella vita che lo univa al Padre: «perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me...» (Gv 17, 22-23). Una realtà che non può non interpellare chi si prepara al sacerdozio. Non a caso questo capitolo del quarto vangelo viene chiamato preghiera «sacerdotale»: è una consegna lasciata agli apostoli e, in loro, ai sacerdoti.

Ma come si fa ad essere uno? I giorni che abbiamo trascorso insieme ci hanno fatto sperimentare l’importanza di alcuni atteggiamenti che costituiscono, per così dire, l’arte di amare cristiana:

– amare tutti, cominciando dal prossimo che abbiamo a fianco;

– amare per primi, servire, vivere l’altro («farsi uno»);

– e come chiave: il mistero pasquale che ci porta a vivere, nei rapporti con ogni prossimo, una piccola o meno piccola «morte» per risorgere, non più da soli ma insieme, come Uomo nuovo: Gesù che vive in me, in te, fra di noi (cf. Gal 3, 28 e Mt 18, 20).

Tutto ciò – abbiamo visto – sta diventando sempre più lo stile di vita di milioni di persone, di migliaia di sacerdoti e seminaristi, di seminari interi, di parrocchie e comunità ecclesiali. È uno stile di vita che risponde alla ricerca più profonda del mondo di oggi e genera una nuova cultura: la cultura dell’unità. E nello stesso tempo traduce in pratica le due grandi piste dell’ecclesiologia del Vaticano II: comunione – «che siano uno» – e missione – «perché tutti siano uno». Nel carisma dell’unità, tanti hanno trovato una chiave perché si possano attuare più pienamente queste due note di fondo della chiesa di oggi.

Qualche prospettiva

Iniziamo con una domanda che molti si sono posti: a cosa puntare per tradurre nel quotidiano ciò che abbiamo vissuto? Ovvero: come fare perché quest’esperienza di comunione, di unità, di famiglia, non rimanga un episodio? Vale a dire: dove tendere per continuare ad essere «uno» e coinvolgere in questa realtà affascinante tanti altri che la attendono?

Certamente l’unico a poter rispondere appieno a questa domanda è lo Spirito Santo. E ad ascoltare le impressioni di molti, pare che non abbia mancato di offrire a ciascuno la sua luce, facendo sentire magari una vera e propria chiamata ad un cambiamento di vita, ad un impegno nuovo.

Comunque, a voler insieme tentare qualche risposta, alla luce del vissuto di questi giorni, in fondo è ovvio dove puntare: per essere uno bisogna essere almeno in due; per avere «Gesù in mezzo» occorrono due o più riuniti nel suo nome e cioè nel suo amore; amore che ha per misura l’essere pronti a dare anche la vita l’uno per l’altro (cf. Mt 18, 20; Gv 15, 13). Appare perciò cosa primaria creare nel proprio ambiente almeno una cellula nella quale si viva così.

In seguito si tratterà – come hanno illustrato le testimonianze che abbiamo sentito – di mantenere sempre viva questa realtà e quindi di ritrovarsi, aiutarsi, scambiarsi le esperienze del vangelo vissuto.

Ma non basta essere uno fra noi: perchè la nostra azione sia benedetta da Dio, occorre l’accordo coi formatori. Per cui sarà fondamentale metterli al corrente di quanto viviamo. Loro – l’abbiamo sempre constatato – hanno un dono particolare per aiutarci a discernere la volontà di Dio; un dono da cui non si può mai prescindere.

Ed allo stesso tempo c’è da aver cura di non chiudere mai l’unità in un piccolo gruppo: le nostre «cellule» vogliono essere al servizio di tutti. Il loro motto infatti è: «UNO perché tutti siano UNO».

Le vie per donarci agli altri sono innumerevoli, diverse a seconda delle situazioni. Ma ora, a fine congresso, forse è utile metterne in rilievo qualcuna che potremmo percorrere tutti insieme.

Creare attorno a noi la famiglia

Lontana dall’essere chiamata solitaria, la vocazione del seminarista e quindi del sacerdote – ci ha detto il Papa – è chiamata ad una famiglia più vasta. È quanto, con la grazia di Dio, abbiamo potuto sperimentare in questi giorni. Ora si tratterà di realizzare nei nostri ambienti quest’esperienza e di prenderci cura in particolare di chi si trova un po’ isolato, se non addirittura emarginato.

Quando, durante l’estate scorsa, preparavamo questo Congresso, qualcuno ci raccontava di un seminario che si trova a pochi passi da una casa del clero nella quale vivono vari sacerdoti anziani alquanto soli. E allora ci è venuto in mente un motto che ci può servire da ispirazione: «Che attorno a noi non ci sia nessun seminarista e nessun sacerdote solo». Se non sapremo fare famiglia, senza distinzioni di sorta, non si comprenderà mai nella sua vera natura il celibato. Gesù ha chiesto di posporre la famiglia, ma nello stesso tempo ha dato inizio ad un’altra, più ampia. Solo se riusciremo a testimoniarlo nei fatti, la nostra vita sarà convincente

Dare concretezza alla comunione

Come l’umanità potrà comprendere il nostro parlare di «comunione», se questa realtà non finisce per coinvolgere le nostre tasche? Continueranno a dire che è un discorso spirituale, alienante, mentre ciò che sin dai tempi degli apostoli ha scosso i non credenti è proprio la comunione concreta.

Oltre all’unità, questo incontro ci ha fatto percepire anche la grande diversità delle situazioni in cui viviamo, a cominciare dall’aspetto economico. Se qualcuno di noi ha lo stereo e la macchina, qualcun altro ha dovuto farsi prestare la valigia o un paio di pantaloni per poter venire fin qua. Come non mettere allora in moto fra noi la «cultura del dare»! E non solo nelle forme più varie all’interno dei seminari ma anche, per quanto possibile, a livello mondiale.

Fra i seminaristi che vivono la spiritualità dell’unità, sin dal 1972 esiste a questo scopo il cosiddetto «Fondo San Giuseppe». Alimentandolo con le iniziative più diverse, con esso stiamo sostenendo i nostri fratelli in necessità. E ci aiutiamo a vicenda a portare avanti ovunque questo nuovo stile di vita attraverso incontri e viaggi e attraverso la venuta di qualche seminarista alla Scuola sacerdotale.

Anche qui un motto ci può aiutare: «e non c’era tra loro nessun bisognoso» (At 4, 34).

Dare all’unità
un respiro universale

Se è stato possibile questo congresso, ciò è dovuto anche al fatto che c’è, fra i seminaristi che vivono la spiritualità dell’unità, un vivace scambio di notizie e di esperienze attraverso lettere, fax, telefonate. È per questa comunicazione che la nostra vita prende un respiro più vasto e che possiamo vincere il rischio di chiuderci. Ed è in quest’unità davvero «cattolica» che troviamo lo sprone a un rinnovamento continuo, che ci fa superare sfide di ogni genere.

Per cui viene da dire: se vuoi vivere quest’Ideale, tieniti collegato! Sul posto, attraverso lettere ed incontri. E – a volere – con tutti gli altri attraverso uno strumento nato anch’esso già negli anni ’70: la rivista Gen’s, che viene tradotta ormai in parecchie lingue.

In occasione di questo incontro, abbiamo pensato di arricchirla di una nuova rubrica: «Perchè tutti siano UNO – notizie dal mondo dei seminari». Attraverso di essa, in particolare, potremo continuare a camminare insieme e comunicarci come prosegue, dalle Filippine alla Colombia, la seconda parte del nostro «congresso» la quale si svolge... nei seminari1.

Hubertus Blaumeiser

1    Sono già uscite due edizioni di questa rubrica, con numerose esperienze giunte dalle più varie parti del mondo. Cf Gen’s 2 e 3/1995.