Quando da soli
si arriva al limite

di Markus BRUN (Svizzera)

Alle volte, di fronte agli imprevisti, i nostri sogni di spiritualità e di comunione svaniscono. Ma proprio in quel momento si può aprire una dimensione più profonda. È l’esperienza di Markus Brun, un seminarista svizzero, che ha trovato nell’amore vicendevole la forza di affrontare il problema dell’individualismo
e di superare un momento molto delicato per la salute.

S

ono entrato in seminario con entusiasmo. Mi affascinava l’idea di iniziare una vita nuova insieme a persone che hanno scelto di seguire Dio e di vivere per gli altri. Ma è bastato poco tempo per scontrarmi con una realtà ben diversa. C’era in seminario chi lottava per riformare la chiesa con idee molto progressiste e chi pensava di salvarla con programmi conservatori. Ben presto in mezzo a questa situazione mi sono sentito un po’ solo tra i diversi gruppi. Tanto che ho cominciato ad interessarmi a delle comunità religiose, pensando che forse là avrei trovato una vita che mi aiutasse ad andare avanti nella ricerca di Dio.

Durante il secondo anno di studio, per un imprevisto, è sfumata la prospettiva di un viaggio in Terra Santa e mi restava del tempo libero. Avevo già avuto primi contatti con la spiritualità dell’unità, attraverso qualche incontro della Parola di vita, ma era rimasta una cosa tra altre. Un invito inaspettato mi ha portato a Grottaferrata dove ho trascorso alcuni giorni con i seminaristi del «centro gens»1. Stando con loro ho scoperto qualcosa di grande: quello che leggevamo nei salmi e negli altri testi della liturgia si traduceva spontaneamente in vita. Questa corrispondenza fra esperienza quotidiana e preghiera mi ha fatto tale impressione che ho deciso di approfondire e vivere sempre di più questa spiritualità.

Nel cammino ricco di momenti importanti che ne è seguito, c’è stata una particolare esperienza che mi ha mostrato come è vera e divina l’unità che cerchiamo di costruire ogni giorno tra noi. Tutto è cominciato con una visita medica tre anni fa. Mi viene diagnosticato un tumore al femore, non maligno, ma che deve essere comunque asportato al più presto. Il medico mi parla di un intervento abbastanza complesso e di una convalescenza lunga e mi chiede se sono d’accordo. Non so rispondere subito: mille domande mi assalgono e vedo crollare tutti i miei progetti. Mi trovo alle prese con gli studi, voglio impegnarmi a vivere per l’unità tra i seminaristi... Perché questa operazione adesso?

In questo mio «perché» mi sembra però di riconoscere il grido di Gesù al culmine della sua passione: «Perché mi hai abbandonato?». Sento che è l’occasione per un incontro profondo con Lui. Così posso dire di sì.

Il giorno prima dell’intervento viene a visitarmi Ruedi, un seminarista che vive anche lui la spiritualità dell’unità. Nel nostro incontro, ci è molto presente la frase di Gesù: «Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro». È una realtà che mi infonde tanta tranquillità. Ci salutiamo e ci promettiamo di vivere ogni momento, anche a distanza, in questa presenza di Gesù in mezzo a noi.

Arriva così il giorno dell’operazione. L’intervento è andato bene, ma è durato il doppio del previsto. Ho perso metà del mio sangue e mi sento molto debole. Non posso muovermi sul letto e sono circondato da tubi e macchine. Non riesco nemmeno a pregare. Vedendo la croce sul muro, sento un vuoto dentro; mi sento come un niente. La sera del giorno seguente la situazione si complica: circolazione instabile, polso troppo alto, e sempre carenza di sangue. Mi rendo conto di quanto succede e passo la notte in uno stato di profonda angoscia. Ad un certo momento mi raggiunge una telefonata di Ruedi. Parliamo poco, ma quanto basta per dirci di essere pronti a dare la vita l’uno per l’altro. Ma per fare questo avverto che è necessario che io compia da parte mia un passo: devo mettere da parte le mie sofferenze, quelle fisiche e quelle spirituali, per essere tutto proiettato in questa realtà divina che vogliamo nasca tra noi.

Dopo questa breve telefonata sento una grande forza dentro. Tutto è diventato leggero e luminoso. Da un momento all’altro sto meglio e lo star sveglio quasi tutta la notte diventa come un gioco. Spesso viene l’infermiere per controllare la flebo o la fasciatura e cerco di aiutarlo il più possibile. Ho ritrovato la forza di amare.

 

1    Il centro per i seminaristi diocesani aderenti al Movimento dei focolari.