Fare del seminario
una palestra di comunione

intervista a Numa RIVERO (Venezuela)

Nominato rettore del seminario filosofico di Coro (Venezuela), Numa Rivero assieme all’équipe dei formatori ha cercato di fare della vita di comunione il principio base di tutto il processo educativo. Con effetti che convincono.

N

on è facile essere rettore di seminario e tanto meno quando si è piuttosto giovani, come nel tuo caso. Quali sono stati per te i primi passi in quest’avventura?

Quando il vescovo mi ha chiesto di assumermi il compito di rettore, mi sono spaventato non poco per la responsabilità che mi attendeva. Ma ho ripreso coraggio ricordandomi che non dovevo puntare sulle mie qualità, ma sui doni di Dio, che arrivano se si cerca di fare la sua volontà.

Non sono andato in seminario con programmi speciali in mente, poiché ero convinto che la prima cosa da fare, la più importante, era amare evangelicamente, ad una ad una, le persone che avrei incontrato. E questo significava non arrivare come chi vuole imporre qualcosa, ma ascoltare profondamente ognuno. Ogni decisione da prendere la proponevo al vice-rettore e dopo a tutti e così è nato a poco a poco il nostro programma.

Inoltre ho cercato di far sentire ai seminaristi che imparavo tante cose da loro e che anche noi formatori dobbiamo fare, assieme a loro, la nostra strada di crescita nella formazione; in una parola: che pure noi ci troviamo con essi alla scuola di Gesù. Si è creato così un rapporto aperto e libero.

Il sacerdozio comune
alla base del
sacerdozio ministeriale

Potresti illustrarci maggiormente questo vostro approccio?

Cercando di vivere insieme come fratelli e comunicando con semplicità quanto vivevamo, abbiamo cominciato ad incarnare il vangelo nella vita quotidiana. In questo modo sin dai primi mesi è venuta in rilievo la scelta di seguire Dio prima di qualsiasi altra cosa, il cercare la sua volontà, l’impegno a stabilire con lui un rapporto profondo che facesse di noi «uomini di Dio».

Un secondo punto chiave è stato l’amore fraterno: stare attenti alle gioie, ai bisogni, ai dolori degli altri, rispettare e valorizzare i doni di ciascuno, perdonarsi a vicenda, ecc.

A voler riassumere questo approccio si potrebbe dire: abbiamo capito che per prepararsi al sacerdozio ministeriale bisogna vivere innanzi tutto il sacerdozio comune, mettendo in pratica il vangelo e riconvertendoci ogni giorno, perché il mondo ha bisogno di testimonianze più che di parole.

Dal sentire il seminario
come un’istituzione
al sentirlo famiglia

E i seminaristi come hanno reagito?

Essi non solo sono stati «al gioco», ma si sono sentiti affascinati da questo stile di vita. Per cui pian piano sono cambiati i loro atteggiamenti e più che vedere il seminario come un’istituzione lo hanno sentito famiglia, la loro casa. Per esempio, hanno portato tante cose dalle loro famiglie per provvedere a quello che ci mancava. Hanno fatto circolare tra loro vestiti e altre cose secondo il loro bisogno. Hanno messo in comune il loro superfluo. Al lavoro si sono sentiti responsabili gli uni degli altri, aiutando chi è più lento. Ma la cosa più importante è che essi hanno imparato a parlare tra loro di ciò che Dio opera nella vita di ciascuno. E ancora: questa armonia nuova creatasi fra di noi ha iniziato a ripercuotersi pure sul nostro modo di vestire, di mantenere in ordine i letti e tutti gli ambienti del seminario.

Per dirla in breve: rafforzata la carità e il rapporto reciproco, via via si sono stagliati bene i vari aspetti della nostra vita: lo studio, la vita spirituale, l’apostolato ecc. E sono gli stessi seminaristi ad esserne responsabili. Abbiamo infatti nominato incaricati per ogni aspetto perché la vita di formazione sia portata avanti da tutti.

E come verificate il vostro cammino?

Ogni mese ci riuniamo con tutti per rivedere la nostra vita; e abbiamo visto che questi raduni sono molto fruttuosi. Inoltre faccio mensilmente un colloquio personale con ciascuno. Per il rapporto aperto che c’è tra di noi, i seminaristi sono tanto sinceri ed allora sono momenti pieni di luce per il loro cammino. E si riescono a prendere insieme, senza traumi, le decisioni.

Nuove vocazioni
e maggiore coscienza
delle proprie scelte

A fare un bilancio, che cosa diresti?

Questo modo di vivere ha colpito numerose persone, adulti e giovani che frequentano il seminario, e tanti ci hanno aiutato anche materialmente. Ma soprattutto sono nate molte vocazioni, perché parecchi giovani, imbattendosi in seminario in un clima semplice e fraterno, hanno trovato la forza di dare il loro sì a Dio. Quando abbiamo iniziato, i seminaristi erano undici. Attualmente – pur seguendo un criterio piuttosto stretto nell’ammissione – sono quaranta.

Quanto ai seminaristi, anch’essi sono contenti, perché si sentono più coscienti della propria vita e più protagonisti della loro formazione. Tirando con loro le fila a conclusione dell’ultimo anno accademico, abbiamo constatato il desiderio unanime di andare avanti su questa linea.

Infine devo dire che anche per me questa è una tappa importante nella vita, perché mi sfida ad uscire continuamente da me stesso per creare e ricreare una comunità basata sull’amore reciproco.