Vivere per l’unità
può significare anche
partire lontano

di Luis Gonzaga Galvis Quiceno (Honduras)

Nel carisma dell’unità un giovane sacerdote colombiano trova non solo la forza di accogliere l’invito del suo vescovo a partire per un posto distante come l’Honduras, ma pure la luce per impostare, in una parrocchia vastissima e sprovvista di mezzi, un’azione pastorale feconda.

D

a quando nel 1989 sono venuto a Roma per prendere parte al congresso internazionale di seminaristi, sono accadute tante cose. Ordinato sacerdote, sono stato destinato come vice-parroco alla cattedrale della mia diocesi. Ho trascorso là un periodo bello e ricco, durante il quale ho cercato di realizzare il più possibile una vita di comunione con il vescovo, col parroco e con gli altri sacerdoti della diocesi. Conscio di quanto, nel periodo della mia formazione, avevo ricevuto dal carisma dell’unità, ho cercato allo stesso tempo di non perdere il contatto con questa fonte, facendo anche 12 ore di pullman per incontrarmi con altri sacerdoti e laici che vivono questo spirito.

Passati due anni, il vescovo inaspettatamente mi ha chiesto di andare a lavorare nella diocesi di San Pedro Sula in Honduras, una diocesi con un milione e mezzo di abitanti e 40 sacerdoti, di cui solo due del posto. Mi sono consigliato con altri sacerdoti per non fare un passo al di là delle mie forze ed ho detto il mio «sì».

Giunto sul luogo, mi è stata affidata una parrocchia di 75.000 abitanti distribuiti in tre comuni, con un centro urbano e ben 67 paesini sparsi in un raggio di circa 100 km. La popolazione vive molto poveramente, alimentandosi con mais e fagioli. L’80% si dichiara cattolica.

Primi passi
in una realtà tutta nuova

Subito mi sono messo al lavoro e sono andato incontro alla gente nei negozi, negli uffici pubblici e nella campagna, ma non ci è voluto molto tempo per accorgermi che non era possibile arrivare per questa via a tutti. Dopo un primo momento di smarrimento, mi son detto: «Qui è inutile agitarsi; io devo vivere bene il momento presente, cercando di amare concretamente le persone che Dio mi fa incontrare».

In parrocchia, con i laici più impegnati ci siamo proposti di vivere noi per primi il vangelo per poterlo poi annunziare agli altri. In seguito abbiamo fatto un calendario per visitare, almeno due volte l’anno, i 67 paesini e creare anche lì dei nuclei di persone impegnate a vivere insieme la Parola di Dio. Inoltre, la Provvidenza ci ha dato la possibilità di trasmettere via radio un programma religioso. L’abbiamo impostato come evangelizzazione vitale, comunicando cioè assieme alla dottrina anche le esperienze concrete da noi vissute.

Intanto avevo preso contatto con una famiglia dei Focolari anch’essa in missione in Honduras. L’esperienza di questi coniugi, che vengono ormai ogni mese in parrocchia, ci è stata di grande aiuto, anche perché la famiglia qui, come in altri paesi dell’America Latina, non ha una tradizione assodata. Grazie all’impegno comune sono sorti vari gruppi familiari che, sforzandosi di vivere il vangelo, riescono a creare un clima nuovo nei loro rapporti. Sembra un sogno vedere qui famiglie unite e felici! E tanti giovani le guardano come una meta concreta che anch’essi possono raggiungere. Quest’anno i matrimoni preparati con cura e celebrati in chiesa si sono raddoppiati.

In mezzo ai poveri,
un vero spirito di comunità

Nel dicembre scorso abbiamo ricevuto il dono di una comunità di suore venute da El Salvador. Con loro – come con i laici più impegnati – abbiamo deciso di mettere al primo posto nella nostra vita la mutua e continua carità. Su questa base vediamo insieme ogni programma. Quando quest’anno la responsabile della congregazione religiosa è venuta a visitare le suore, ha constatato che, pur essendo questa la loro casa più povera, vi si respira un vero spirito di comunità. Ora desidera che anche le novizie siano formate nella spiritualità dell’unità.

Quando l’anno scorso siamo stati invitati alla Mariapoli in El Salvador (un ritiro comunitario promosso annualmente dai Focolari), ci siamo consultati tra di noi e l’abbiamo ritenuta un’occasione preziosa per andare avanti nell’evangelizzazione. I nostri parrocchiani avrebbero potuto vedere in un piccolo bozzetto come diventa la società quando vive il vangelo. E siamo andati in 107. Da allora è iniziato per molti un impegno più profondo di formazione cristiana.

Wilmer Yovani

Concludo con l’esperienza dolorosa e gioiosa insieme che abbiamo vissuto con Wilmer, un seminarista che il rettore del seminario da un po’ di tempo ci mandava come aiuto in parrocchia. Era venuto la prima volta nella settimana santa del ’93 ed era stato colpito dalla presenza di Gesù che avvertiva nella nostra comunità. La sua vita da allora ha acquistato una profondità nuova. A poco a poco capisce che la realizzazione personale non si trova in una professione – e nemmeno nel sacerdozio – ma nell’amare Dio e il prossimo. Colpito dalla parola «unità», vuol vivere per essa. Scrive allora al suo rettore e gli dice di voler contribuire col suo granellino di sabbia a fare del presbiterio una famiglia. Tornato in seminario, si impegna con grande slancio a promuovere tutto ciò che aiuta un’autentica vita comunitaria.

Il 2 luglio 1994 viene in parrocchia e, vedendomi molto stanco, si offre di accompagnarmi in macchina in un paese per la celebrazione di un matrimonio. Lungo la strada scoppia una ruota e la macchina si ribalta. Ferito gravemente, Wilmer muore quasi immediatamente.

Per me è un’esperienza durissima, ma non priva di luce. Proiettato a vivere costantemente per l’altro, Wilmer è morto facendo un atto d’amore e ciò mi dà la certezza che egli, così attratto da Gesù in mezzo alla comunità, continuerà ad essere un apostolo dell’unità, aiutandoci ad essere sempre più porzione viva della chiesa.