Vita di famiglia tra sacerdoti

di Gerardo IPPOLITO ed altri sacerdoti di LECCE (Italia)

Anziché vivere ciascuno a casa sua, cinque sacerdoti della Puglia, nel Sud Italia, hanno dato vita ad un «focolare sacerdotale». Dapprima in affitto, poi in un apposito appartamento.Ciò che più colpisce nella loro esperienza è l’autentico spirito di famiglia che vige tra loro e che incide profondamente nella loro attività ministeriale.

G

erardo Ippolito, parroco: Ho conosciuto il Movimento dei focolari quando avevo 19 anni e frequentavo il liceo classico in seminario a Taranto. La spiritualità dell’unità mi ha accompagnato negli anni della teologia ed è stata determinante perché io diventassi sacerdote.

Con gli altri sacerdoti del focolare ci conosciamo ormai da tanti anni, non solo perché siamo, quasi tutti, della stessa diocesi, ma perché anche loro hanno scoperto questa spiritualità in seminario quando io ero formatore. Bisogna dire che siamo completamente diversi l’uno dall’altro e non ci saremmo scelti se avessimo seguito interessi umani. Ma l’ideale comune è stato più forte, per cui, appena si è presentata l’opportunità e d’accordo col vescovo, abbiamo deciso di fare vita comune. Abbiamo constatato che non basta parlare di unità, bisogna viverla, e l’abitare insieme rende concreto il dare la vita l’uno per l’altro.

La casa: monumento
alla provvidenza e
alla comunione dei beni

Antonio Podo, cappellano d’ospedale: La casa dove abitiamo attualmente, non è arrivata subito. Dapprima ci spostavamo presso l’uno o l’altro e solo per qualche giorno alla settimana; poi abbiamo preso una casa in affitto ma troppo piccola per ospitare tutti e così in seguito ne abbiamo comprata una.

Abbiamo toccato con mano come la Provvidenza ci è venuta incontro in modo unico, quasi a farci capire che Dio porta avanti da sé le sue opere. Una signora, avendo saputo che vivevamo insieme, ha venduto una sua casa e ci ha donato i 70 milioni che ha ricavato; una vecchietta che abbiamo sempre cercato di amare, di ascoltare, è rimasta conquistata dalla nostra vita e ci ha dato all’inizio 75 milioni, ed ora ogni settimana fa la spesa per noi, per cui è una provvidenza continua. Si sono aggiunti, in seguito, soldi di altri sacerdoti della nostra regione che vivono la spiritualità dell’unità, per cui possiamo dire che la nostra casa è un vero monumento alla provvidenza e alla comunione dei beni.

È chiaro che questo sovrabbondante dono di Dio, dovuto allo sforzo continuo che facciamo per tenere Gesù in mezzo a noi, colpisce chiunque venga a conoscenza di questa realtà. Chi poi viene in casa rimane attratto della bellezza, dall’ordine, e soprattutto dall’armonia che regna tra noi e che si riflette anche nell’ambiente esterno.

Irradiazione
della vita
di comunione

Flavio De Pascali, padre spirituale in seminario: Questa vita di comunione si irradia e porta frutto nei diversi ambienti in cui ci troviamo ad operare. Per me, che faccio il padre spirituale in un seminario minore, è importante non solo il lavoro di formazione nei confronti dei ragazzi, ma soprattutto il condividere, il farmi uno con le loro mille esigenze concrete. Nascono così veri e profondi rapporti che non sono formali o legati soltanto alla mia funzione. Un seminarista che avevo aiutato a cercare la sua strada mi ha scritto tempo dopo, dalla comunità di cui ora fa parte, per ringraziarmi di tutte le volte che l’ho accompagnato al pullman, dei soldi che gli ho anticipato, del tempo che gli ho dedicato, ecc...

Il legame col vescovo:
«Ci sente come una famiglia»

La nostra vita di unità è naturalmente conosciuta e benedetta dal vescovo. È normale, per esempio, che quando qualcuno di noi va a parlare con lui, il vescovo chieda immancabilmente notizie degli altri. Ci sente come una famiglia.

L’anno scorso doveva dare un nuovo incarico ad Antonio, ed è stato naturale, venendo a pranzo da noi, chiedere il nostro parere; gli abbiamo suggerito un lavoro pastorale confacente alle caratteristiche, alla sensibilità e alle qualità di Antonio, ed infatti l’inserimento come cappellano in un ospedale per lungo-degenti si è rivelato particolarmente felice.

Gerardo Ippolito: Qualche tempo fa, il vescovo aveva intenzione di spostare un sacerdote da una parrocchia. La gente, molto legata a quel sacerdote, ha reagito con l’occupazione della chiesa. Vari sacerdoti interpellati si rifiutavano di trasferirsi in quella parrocchia. Il vescovo allora, conoscendo benissimo la nostra disponibilità, mi ha chiamato e mi ha detto: «Tu sei l’ultima spiaggia: accetti o no?». Ho detto subito di sì sapendo che chi ascolta il vescovo ascolta Gesù stesso. Poi non c’è stato più bisogno del cambiamento perché sono sopravvenuti dei fatti nuovi, ma è rimasta la bella unità con il vescovo e tra noi, visto che insieme stavamo affrontando le difficoltà che quella situazione comportava.

Il rapporto con i familiari:
insieme, anche nei dolori

Luigi Lezzi, vice-parroco: L’essere pronti a dare la vita l’uno per l’altro ci porta a guardare concretamente le esigenze di ciascuno; le gioie e i dolori diventano comuni e anche i problemi dei nostri genitori ormai anziani vengono portati da tutti.

Due mesi fa mio padre stava molto male, perché, per un tumore, il fegato era irrimediabilmente compromesso. Era in ospedale e bisognava assisterlo di notte; ci è sembrata la cosa più normale, visto che siamo veri fratelli, prenderci tutti questa responsabilità. Ognuno di noi ha fatto la sua notte di assistenza, e potete immaginare la meraviglia di mia madre, dei parenti e della gente che in ospedale vedeva dei sacerdoti (cosa piuttosto inusuale) assistere una persona anziana apparentemente estranea. Mia madre, che non aveva mai compreso del tutto la mia scelta di vita comunitaria, diceva: «Sono contenta che vivi con questi sacerdoti».

L’attività ministeriale:
«La nostra vita diventa
scuola di comunità»

Carlo Santoro, vice-parroco: Dalle nostre parti, a volte, le parrocchie sono come delle isole, indipendenti le une dalle altre, nonostante i progetti di pastorale organica. Comprendendo che è necessario aprirsi alle altre comunità, abbiamo cominciato dalle nostre, favorendo occasioni di incontro e di collaborazione. I nostri parrocchiani sono rimasti attratti dall’unità che c’e tra di noi e la nostra vita, più che le parole, diventa ogni giorno scuola di comunità. Per esempio, durante un campeggio fatto insieme, alcune persone della mia parrocchia, tra cui anche dei lontani dalla chiesa, hanno scoperto Dio e, nella vita secondo il vangelo, la via per aprire alla comunione l’ambiente individualista in cui vivevano.

Così, comunicandoci le esperienze, ci sforziamo di portare insieme i pesi, le difficoltà e le gioie delle rispettive parrocchie o ambiti pastorali, pur salvaguardando le responsabilità di ciascuno.