Unità e libertà:
il vero volto della persona


Riflessione sociologica


Vera ARAUJO

Sociologa brasiliana, Vera Araujo insegna dottrina sociale della chiesa nella cittadella internazionale di Loppiano e collabora a varie riviste. Oltre ad essere consulente del Movimento «Umanità Nuova» – espressione nel sociale del Movimento dei focolari – ha partecipato come «esperto» alla IV Conferenza del Consiglio Episcopale Latino Americano (CELAM) svoltasi nel 1992 a Santo Domingo.

 

L

a svolta antropologica dell’epoca moderna si sta evolvendo a danno dell’uomo.

La radice di questo paradosso sta nello smarrimento di una riflessione della ragione che ha perso contatto con la Fonte della vita. E, dal versante cristiano, di una riflessione che non poche volte ha trovato «soddisfazione» nel discorso dotto e nell’ascolto delle proprie parole, allontanandosi dalla Fonte della vita.

Il risultato concreto è davanti a noi come ammonimento e come sfida.

Come ammonimento: a rifondare il nostro pensare nella comunione totale con il Dio uno e trino, e allo stesso tempo nel rapporto fraterno con i compagni dell’ umana avventura, orientato alla vitalizzazione del regno di Dio all’interno della storia.

Come sfida: d. Vincenzo Zani ha già indicato i percorsi del pensiero per una più piena comprensione della verità sull’uomo. Vorrei ora indicare le linee d’azione di una cultura «alternativa» che mira alla progettazione e realizzazione di un mondo unito o più unito; linee d’azione che non sono puramente teoriche, ma che nascono dall’esperienza già in atto nel Movimento e che permettono alle persone di realizzarsi autenticamente, in unità con gli altri.

Una nuova cultura:
la cultura del dono,
la cultura del dare

Occorre superare tanti concetti logori, insufficienti, inefficaci e ideologicizzati, e assumere in pienezza tutti i contenuti dell’amore come forma e sostanza del nostro essere e del nostro agire, in modo da poter prendere sul serio la possibilità concreta di una «civiltà dell’amore», dove trovino spazio:

–    rapporti nuovi

–    strutture di grazia

–    istituzioni di unità.

La cultura del dono e del dare ci illumina concetti già conosciuti e ce ne fornisce di nuovi senza i quali il mondo unito è davvero un’utopia. Si dovranno ricomprendere termini come interdipendenza, solidarietà, uguaglianza, giustizia, pace, libertà, alla luce di un’antropologia che ponga al centro il vero volto della persona, che, perché fatta ad immagine e somiglianza di Dio, è sostanziata d’amore, di quell’amore che è dono.

Ecco il grande salto qualitativo: da possessori a donatori, in risposta a tutta la cultura pragmatica del successo, della competitività, dell’arrivismo ad ogni costo.

Costruire rapporti nuovi

Nei rapporti inter-umani il dare richiede il ricevere, perché sono il dare e il ricevere che creano la comunione, la fraternità e di conseguenza l’uguaglianza.

Dare vuol dire allora condivisione, comunione dei beni spirituali e materiali. Con questi atteggiamenti ne superiamo altri, contenuti nel dare che esiste nella civiltà dell’avere: quello che offende perché incrinato dal desiderio di potere sull’altro; quello che nell’atto del dare cerca la propria soddisfazione, la propria vanagloria; quello «utilitaristico» che pur dando è finalizzato e indirizzato al proprio utile, al proprio guadagno.

Il vero dare che crea rapporti nuovi è quello che Gesù ci insegna nel vangelo. Quel dare che, vissuto dai primi cristiani, faceva sì che si poteva dire di loro: «erano un cuor solo e un’anima sola e fra loro non v’era indigente» (cf At 4, 32).

Non di meno si richiede ai cristiani oggi per costruire il mondo unito.

Diceva Chiara Lubich in un grande incontro di giovani al Palaeur di Roma nel 1990: «Gesù ha definito il comandamento dell’amore “mio” e “nuovo”, perché è tipicamente suo, avendolo riempito d’un contenuto singolare e nuovissimo.“Amatevi – ha detto – come io vi ho amato”. E lui ha dato la vita per noi.

È dunque in gioco la vita in questo amore. E un amore pronto a dare la vita è ciò che egli chiede anche a noi verso i fratelli.

Non è sufficiente per lui l’amicizia o la benevolenza verso gli altri; non gli basta la filantropia, né la sola solidarietà. L’amore che chiede non si esaurisce nella non-violenza.

È qualcosa d’attivo, d’attivissimo. Domanda di non vivere più per se stessi, ma per gli altri.

E ciò richiede sacrificio, fatica. Domanda a tutti di trasformarsi da uomini pusillanimi ed egoisti, concentrati sui propri interessi, sulle proprie cose, in piccoli eroi quotidiani che, giorno dopo giorno, sono al servizio dei fratelli, pronti a donare persino la vita in loro favore»1.

In questi rapporti che si snodano nella quotidianità e nei momenti forti, la persona raggiunge la maturità dell’emancipazione, e, dunque, dell’autentica socialità.

Creare strutture di grazia

Anche qui una frase di Chiara Lubich illumina la mia riflessione: «Dopo millenni di storia in cui si sono sperimentati i frutti della violenza e dell’odio, abbiamo tutto il diritto oggi di chiedere che l’umanità cominci a sperimentare quali potranno essere i frutti dell’amore. E non solo i frutti dell’amore tra i singoli ma anche fra i popoli»2.

Da anni il papa va denunciando le «strutture di peccato» che circondano e rendono schiavi singoli e popoli. Esse, egli afferma, nascono nel cuore dell’uomo e nei suoi atteggiamenti morali per poi concretizzarsi in vere e proprie strutture di peccato.

Nel «mondo unito» l’amore sarà in grado di costruire strutture di grazia.

Nella Sollecitudo Rei Socialis papa Wojtyla afferma:

«Questi atteggiamenti (brama di profitto e sete di potere) e “strutture di peccato” si vincono solo – presupposto l’aiuto della grazia divina – con un atteggiamento diametralmente opposto: l’impegno per il bene del prossimo con la disponibilità, in senso evangelico, a “perdersi” a favore dell’altro invece di sfruttarlo, e a “servirlo” invece di opprimerlo per il proprio tornaconto» (n. 38).

E nella Centesimus Annus: «Le decisioni, grazie alle quali si costituisce un ambiente umano, possono creare specifiche strutture di peccato, impedendo la piena realizzazione di coloro che da esse sono variamente oppressi. Demolire tali strutture e sostituirle con più autentiche forme di convivenza è un compito che esige coraggio e pazienza» (n. 38).

Solidarietà, servizio, coraggio e pazienza sono attributi dell’amore per rompere i meccanismi perversi e avvicinarci decisamente verso strutture di grazia.

Non è l’economia di comunione su questa via?3 Ne sono certa, perché l’economia di comunione non riguarda soltanto il fare delle imprese: l’economia di comunione cambia la nostra mentalità, il nostro cuore. «Rinnovati», noi reimpostiamo la produzione e la distribuzione dei beni e dei servizi, attraverso strutture nuove.

L’economia di comunione ci pone in una posizione di libertà e di assunzione di responsabilità (dunque di amore solidale) nei confronti dei fratelli.

Dall’economia, le strutture di grazia potranno dilagare verso ogni campo del convivere sociale.

«Come esistono le strutture di peccato, ci possono e ci debbono essere le “strutture del bene”, della giustizia, della solidarietà, del rispetto reciproco, della pace, esse pure frutto e concentrazione di atti personali»4.

Creare istituzioni
che pongano le migliori condizioni
per costruire l’unità

In questo campo rileviamo la necessità di dare nuovi contenuti e nuovo spessore alle istituzioni nazionali e internazionali.

Ciò significa porre la presenza del cittadino – come soggetto di diritti e di doveri – protagonista nelle scelte che contano. In altre parole: non sono le istituzioni che creano il «mondo unito». Sono le persone che fanno esperienze di unità, anche all’interno e per mezzo di istituzioni che non solo non ostacolano ma, anzi, sostengono queste esperienze.

Il mondo unito sarà, necessariamente, multinazionale, multirazziale, multiculturale ecc. Richiede dunque cittadini che sappiano coniugare universalità e diversità.

Anche qui il valore che potrà compiere un’operazione così difficile e coinvolgente è solo l’amore.

Solo l’amore, dono partecipativo del donarsi trinitario di Dio, può andare incontro alla diversità senza paura di perdere la propria identità. Solo l’amore consente e realizza la comunicazione delle proprie diversità come fonte di arricchimento della identità di ciascuno.

Solo persone e popoli così preparati possono dar vita a quelle istituzioni che non solo non soffocano la persona, ma diventano mezzi di crescita per tutti insieme e per ciascuno.

Solo persone così attrezzate possono infine raggiungere la comunione, l’unità, ultima espressione della libertà autentica, non più solo cercata e desiderata ma realizzata e colmata in quell’attimo di tempo che già racchiude l’eternità.

Vera Araujo

 

1    C. LUBICH, Mondo unito, ideale che si fa storia, in: Città Nuova 7 (1990), p. 38.

2     C. LUBICH, Per una civiltà dell’unità, Atti del convegno Una cultura di pace per l’unità dei popoli, 11.06.1988, p. 17.

3    L’economia di comunione è un progetto economico-sociale, lanciato da Chiara Lubich in Brasile, nel maggio 1991. Esso propone la nascita di aziende che mettano in comune parte dei propri «utili» per sovvenire alle necessità dei bisognosi e per creare strutture atte alla formazione di «uomini nuovi».

4    GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai rappresentanti del mondo del lavoro nei cantieri navali di Castellamare di Stabia, 19.03.92, in: La Società 3 (1992), p. 48.