Unità e libertà:
il vero volto
della persona


Riflessione teologica-antropologica


Vincenzo ZANI

 

Sacerdote ed esperto di questioni sociali, Vincenzo Zani, ha dato origine al Seminario Permanente Europeo di Brescia. Dopo aver coordinato per molti anni la pastorale della Scuola nella sua diocesi e, più recentemente, nell’intera Lombardia, alla fine del 1994 è stato nominato Direttore dell’Ufficio nazionale della Conferenza episcopale italiana per la pastorale dell’educazione, della scuola, della cultura e dell’università.

S

crutando i fenomeni sociali e culturali del nostro tempo possiamo cogliere alcune tensioni di fondo, che contengono domande radicali ed esigenti. Esse ci fanno comprendere come la nostra riflessione su «libertà e unità» si ponga alla base dei problemi e delle prospettive della vita individuale e collettiva delle persone che vivono nel mondo di oggi. Le diverse variabili che attraversano la realtà odierna possono essere riassunte in tre grandi tensioni1.

Una prima tensione si manifesta in un’esigenza di emancipazione che può essere interpretata come aspirazione fondamentale alla libertà. Essa si esprime attraverso i molteplici processi di liberazione caratteristici del nostro tempo, come ad esempio l’emancipazione della donna e le tante rivendicazioni di indipendenza, legate ad una concezione più liberale della vita. È un modo col quale l’uomo reagisce al rischio di alienazione e tenta di riappropriarsi della propria identità e soggettività.

Un’altra tensione si esprime come ricerca delle origini che include una profonda domanda di senso. Lo sviluppo della tecnologia che orienta il nostro vivere ad essere sempre più programmato e il suo uso sfrenato generano nell’uomo il rischio di perdere il senso delle proprie origini, il legame alle fonti della vita e quindi il fine della propria esistenza. Da qui scaturiscono le «domande esistenziali» che l’uomo moderno si pone: chi sono? da dove provengo? dove vado? Come reazione a queste esigenze sono sorti all’inizio di questo secolo e anche oggi rinascono numerosi movimenti ecologici, sotto la spinta di voler ritornare alla natura nella sua originarietà e ad un rapporto con essa. Spesso, però, si corre il rischio di non accettare l’evoluzione e si preferisce rinchiudersi nelle forme del passato. Talvolta queste aspirazioni si trasformano anche in atteggiamenti aberranti (cf certi modi di ritornare al passato che si esprimono anche nel razzismo, nel nazismo, nei conflitti etnici...).

Una terza tensione può essere riscontrata in una crescente esigenza di socialità. Si tratta della consapevolezza che non si può vivere se non in comunione, e si spiega quindi la ricerca di forme collettive di vita comune, espressione del desiderio individuale di essere-con, di condividere, di socializzare. In questa spinta alla socialità rientrano: la crescente tensione universale verso l’unità di tutti gli uomini, la nascita e la maturazione di una democrazia che poggia sui diritti e sui doveri di ogni uomo.

Questo quadro socio-culturale è lo sfondo della nostra condizione di vita attuale e ci consente chiaramente di cogliere le due dimensioni fondamentali della persona: la libertà e l’unità.

LA LIBERTA

In termini comuni si dice che è libero chi può fare ciò che vuole, chi ha eliminato ogni ostacolo per appartenere solamente a se stesso.

I Greci ritenevano che l’uomo è libero per natura sua in quanto con l’intelligenza e la volontà egli è padrone di se stesso, non dipende da nessuno, da nessuna forza esteriore. L’uomo conquista la sua libertà nella fuga dalle realtà ambientali, per cercare se stesso, la propria interiorità, dove egli regna come padrone assoluto su di sé, lontano dal tumulto del mondo. È evidente che con questa concezione di libertà è facile scivolare nel culto di se stessi, in una forma di narcisismo.

Nell’Antico Testamento, il concetto di libertà si è sviluppato a partire dall’esperienza storico-religiosa che Israele aveva vissuto nel passato: l’esperienza dell’Esodo e dell’Alleanza del Sinai. In essa si rilevano alcuni tratti caratteristici sui quali si innesterà il pensiero neo-testamentario e quindi cristiano. Essi sono i seguenti:

–  la libertà è frutto di una liberazione e di un legame a Dio;

–  Dio è fonte della libertà. L’uomo è libero non perché è uomo, ma perché membro di un popolo scelto, amato e liberato da Dio;

–  non esiste autentica libertà al di fuori o senza Dio. Questo perché secondo l’ebreo l’uomo appartiene sempre a qualcuno che non sia egli stesso;

–  la legge viene data come segno di appartenenza a Dio. Chi la osserva rimane nell’Alleanza e si garantisce la vita.

Tuttavia le numerose infedeltà all’Alleanza sono la conseguenza responsabile di un male che l’uomo porta in sé, che lo spinge a ripiegarsi su se stesso e a non riconoscere la relazione tra creatura e Creatore. Il nemico della libertà non è dunque da cercarsi fra le potenze straniere ostili, quanto nell’uomo stesso quando, volendo affermare se stesso, rompe il rapporto autentico con Dio e con la comunità.

Chi libera l’uomo da questo laccio interiore che lo lega a se stesso?

Il profondo bisogno di liberazione dell’uomo trova la sua risposta definitiva nel Nuovo Testamento. Gesù rende pienamente manifesta la reale situazione dell’uomo. Con la sua morte in croce egli libera l’uomo da un’esistenza chiusa e senza speranza, dalla lontananza da Dio. La libertà si fonda essenzialmente su un dono: dono che Gesù crocifisso e abbandonato fa all’uomo, accettando la morte per amore del Padre, e ristabilendo un rapporto nuovo con Dio. Perciò il fondamento della libertà non è la natura dell’uomo, ma un dono gratuito; il dono di essere rigenerati come figli di Dio. Essere figlio significa essere in un rapporto, in una relazione continua con il Padre. La libertà non è, allora, questione di emancipazione, ma di fiducia in un Dio che libera l’uomo, lo restituisce a se stesso e lo pone nell’esistenza.

Quali sono le conseguenze di questa libertà?

–  Innanzitutto la «parresia» che significa l’essere a viso aperto cioè il poter stare a testa alta dinanzi a Dio superando la timidezza e il timore (cf Ef 3, 12; 2, 18; Rm 5, 2). Questo atteggiamento non manca di ripercuotersi nelle relazioni con la comunità umana. Infatti chi ritrova il rapporto autentico con Dio non rischia di cadere nel culto di altre persone, di divinizzare un altro uomo.

–  Chi si sente figlio di Dio appartiene a Dio solo, non è schiavizzato da niente e da nessuno, libero da tutto ciò che non è Dio non teme l’ignoto, l’influenza degli astri o di altre forze occulte (cf Gal 4, 9ss.). La scienza non basta per rendere l’uomo maggiorenne; l’autentico rapporto con Dio ribalta il rapporto con la creazione e il cosmo: essa ridiventa la creazione che non è ostile all’uomo, ma che ha il suo capo nell’uomo stesso, secondo il disegno divino impresso dall’origine.

–  Perché Gesù morendo è morto alla morte (facendo di essa un atto di obbedienza totale, espressione della massima libertà), l’uomo ha ricevuto la risposta al perché della propria morte. Liberando l’uomo dall’angoscia della morte vista come inevitabile fallimento, Gesù lo ha nello stesso tempo liberato dalla paura della vita (cf Eb 2, 15) restituendogli la gioia di vivere.

Da ciò si deduce che l’uomo è veramente libero non nell’affermazione di sé, non alla fine di un processo di emancipazione basato sull’io e sulle proprie forze, ma nell’accettare il dono di Dio, il dono di sé a Dio, il vivere per Dio. La libertà non consiste, dunque, nel cercare la propria indipendenza, ma nell’appartenere totalmente a Dio. In questa «rinuncia» alla propria autonomia che lo porterà alla libertà, l’uomo non abdica alle sue facoltà umane, ma anzi le potenzia e le concentra nella radicale donazione. Non viene alienato, non annulla la propria personalità, ma la acquisisce ad un livello sempre più profondo e personale. La persona che vive in contatto permanente con Cristo risorto, tende alla propria realizzazione e può investire pienamente la propria libertà per realizzare il progetto divino su di sé.

L’UNITA’

Per delineare il vero volto della persona dobbiamo mettere in luce, insieme alla dimensione della libertà, anche quella dell’unità.

L’unità è la misura culminante dell’amore e lo scopo per il quale Gesù ha rivolto al Padre la sua ultima grande preghiera per gli uomini. L’amore come dono e accoglienza, come apertura di sé, è, nella sua costituzione profonda, la capacità di superare la forza di gravitazione egocentrica che ripiega l’uomo su se stesso e di aprirlo in un modo vero verso l’altro. Quando Gesù si rivolge al Padre nella preghiera chiede la pienezza dell’amore per gli uomini. Perciò la libertà è il contenitore, la condizione: se è vuota di contenuto collassa, cade su se stessa; essa si attualizza pienamente soltanto nell’amore. E l’amore nella sua espressione massima porta all’unità.

Le esigenze di socialità, così diffuse oggi nel mondo, ci sospingono, in definitiva, a comprendere ancor meglio la dimensione dell’unità. L’unità è dono di Dio; la sua vera origine è nel mistero trinitario di Dio. L’uomo non solo come singolo, nel reciproco rapporto delle sue facoltà spirituali divinizzate dalla grazia, è immagine della Trinità, ma lo sono anche i cristiani nelle loro mutue relazioni d’amore vissute in Cristo.

Il Nuovo Testamento, infatti, ci presenta l’umanità nuova ricreata in Cristo e san Paolo, riferendosi alla chiesa, parla di un unico uomo nuovo e uno in Cristo, in cui è ricapitolata tutta l’umanità: «... non c’è più greco o giudeo, ... schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti» (Col 3, 11), e se Cristo è «tutto in tutti», allora i cristiani sono «uno in Cristo Gesù» (Gal 3, 28).

Giovanni, dal canto suo, riporta nel vangelo la preghiera di Gesù, in cui egli, prima di morire, invoca dal Padre, come dono supremo d’amore, l’unità dei suoi in lui, unità a immagine di quella stessa della SS. Trinità. A questo proposito si può ricordare il noto testo della Gaudium et Spes al n. 24: «Il Signore Gesù quando prega il Padre, perché “tutti siano uno, come io e te siamo uno” (cf Gv 17, 21-22), mettendoci di fronte orizzonti impervi alla ragione umana, ci ha indicato una certa similitudine tra l’unione delle Persone divine e l’unione dei figli di Dio nella verità e nella carità. Questa similitudine manifesta che l’uomo, il quale è in terra la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stessa, non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé (cf Lc 17, 33)».

Il carisma dell’unità ci fa comprendere in profondità il passaggio dalla prospettiva individuale, sinora prevalente nell’antropologia cristiana, ad una specificamente comunitaria, o meglio «trinitaria». Ci basta riportare un testo di Chiara Lubich che sottolinea questa riscoperta: «Dio che è in me, che ha plasmato la mia anima, che vi riposa in Trinità (con i santi e con gli angeli), è anche nel cuore dei fratelli. Non è ragionevole che io lo ami solo in me. Dunque la mia cella (come direbbero le anime intime a Dio) è noi: il mio Cielo è in me e come in me nell’anima dei fratelli. E come lo amo in me, raccogliendomi in Esso – quando sono sola – lo amo nel fratello quando egli è presso di me. Allora non amerò il silenzio, ma la parola (espressa o tacita), la comunicazione cioè del Dio in me col Dio nel fratello. E se i due cieli si incontrano ivi è un’unica Trinità ove i due stanno come Padre e Figlio e tra essi è lo Spirito Santo (...). E giacché questa Trinità è in corpi umani, ivi è Gesù: l’uomo-Dio»2.

Ecco dunque l’altra dimensione della persona umana: l’unità.

Quali conseguenze vede prodursi chi vive l’unità? La persona umana è tanto più se stessa quanto più è «una cosa sola» con le altre persone; e tanto più libera quanto più vive la comunicazione, e viceversa. Proprio come avviene, analogamente, nella vita della SS. Trinità. Tutto è in comune, tutto è dono reciproco tra le diverse persone (cf Gv 16, 14-15): eppure, anzi proprio per questo, ciascuna di loro è se stessa con una «identità personale» – se così si può dire – di cui non è possibile pensare la maggiore.

Dobbiamo dunque guardare alla Trinità: in essa scopriamo che l’unità nella carità e nella libertà, in cui la persona umana pienamente si realizza, non è mai una uniformità mortificante e livellatrice dell’identità libera e irripetibile della singola persona, ma ne è anzi, se autentica, il potenziamento e il compimento. Ciò è possibile proprio perché l’unità evangelica, per la quale Gesù prega il Padre a favore degli uomini, è un’unità trinitaria, cioè non monolitica e chiusa, ma aperta al dialogo e alla partecipazione, alla responsabilità personale, perché è Amore.

La chiesa è il luogo in cui l’uomo in pienezza scopre e accede, in Cristo, alla sua vocazione profonda: essere persona nella libertà e nell’unità. Ma anche tutta l’umanità è chiamata a partecipare a questa vocazione, grazie alla presenza dello Spirito Santo, spirito di concordia e di unità.

Vincenzo Zani

 

1    Cf K. HEMMERLE, Lo Spirito Santo e la sua azione nel mondo di oggi, in: Gen’s 20 (1990), pp. 169-170.

2    Scritto del 6.1.1949 citato in: J. POVILUS, «Gesù in mezzo» nel pensiero di Chiara Lubich, Roma 1981, p. 73.