Gesù abbandonato:
chiave dell’unità
con i fratelli


Chiara LUBICH

«Gesù crocifisso e abbandonato è il modo di amare i fratelli. La sua morte in croce, abbandonato, è l’altissima, divina, eroica lezione di Gesù su cosa sia l’amore», afferma, in questa sua conversazione, la fondatrice e presidente del Movimento dei focolari.

Nell’abbandono di Gesù, Chiara ha intuito la chiave non solo per l’unione con Dio ma anche per costruire realisticamente l’unità fra gli uomini.

G

esù abbandonato non è solamente via, chiave per l’unità della nostra anima con Dio. Egli è anche chiave dell’unità con i prossimi, del modo di amarli, della maniera di amarci tra fratelli.

È questo un tema essenziale per la nostra Opera.

Come si sa, la scelta di Dio-Amore ha voluto dire, sin dai primi tempi di questa nuova vita, la scelta della via dell’amore. In una sintesi, veramente divina, lo Spirito ci ha fatto riconoscere subito nel tipico comandamento di Gesù: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 13, 34) tutto quanto Egli desiderava da noi.

L’unità con i fratelli, l’unità tra fratelli è quindi un argomento di estrema importanza per noi. Non per nulla, quando ci chiedono chi siamo, non sappiamo spesso trovare modo migliore per rispondere, che narrare la nostra piccola storia iniziale: il crollo di tutte le cose nei tempi di guerra, la scelta di Dio, e, per corrispondere ad essa, la pratica di questo comandamento.

A tale imperativo di Gesù torniamo sempre come all’ispirazione prima e fondamentale; esso ci affascina, ci attrae, lo riscopriamo nuovo ogni volta che lo approfondiamo; vivendolo, ci sentiamo come nel nostro elemento.

Ci prende l’entusiasmo, poi, quando costatiamo che, se esso è un argomento di così grande importanza per noi, piccoli figli della chiesa, lo è stato anche per la chiesa alle sue origini («Poiché questo è il messaggio che avete sentito da principio: che ci amiamo l’un l’altro» dice Giovanni1), così come è di grande importanza anche per la chiesa di oggi. Il Vaticano II precisa che la legge del nuovo popolo di Dio è il comandamento dell’amore. Nell’amore, infatti, non è solo una legge di Cristo, ma tutta la sua legge. «Chi ama il prossimo – ha sempre affermato la Scrittura – ha pienamente adempiuto la legge» (Rom 13, 8). «Tutta la legge si compie in un solo precetto: “amerai il prossimo”» (Gal 5, 14).

L’amore, la carità, partecipazione a quell’agape, che è la vita stessa di Dio («Dio è agape»; 1Gv 4, 8), è la nota più alta del cristianesimo, anzi è tutta la nostra religione.

Il cristiano liberato da ogni schiavitù per lo Spirito, che vive in lui, proprio per questo Spirito, i cui frutti sono «carità, gaudio, pace, longanimità, benignità, bontà, fedeltà, mitezza» (Gal 5, 22-23), diventa schiavo di qualcuno: dei suoi prossimi. Il cristiano vive la sua vita assolvendo un perenne debito: quello di servire i propri simili (Cf Rom 13, 8).

E quest’amore che Cristo comanda verso i fratelli, il servizio che comanda, non è fatto soltanto di atti, che si susseguono, ma è come uno stato in cui il cristiano deve venire a trovarsi, stato nel quale raggiunge, nella maniera migliore, la sua perfezione. Il servizio al prossimo è, infatti, la via per eccellenza della perfezione cristiana. «L’amore è il vincolo della perfezione» (Cf Col 3, 14).

Il Vaticano II, pur citando ad esempio i voti dei religiosi come mezzi efficaci per il raggiungimento della santità, non esita a porre il servizio al prossimo al di sopra di essi (Cf LG 42), perché l’amore al prossimo è veramente lo specifico del cristiano: san Paolo, del resto, pone la carità sopra tutti i carismi (Cf 1 Cor 13).

Gesù crocifisso e abbandonato:
divina lezione
su cosa sia l’amore

E allora, se così pensa la chiesa, se così, proprio così, ci ha sempre insegnato lo Spirito Santo direttamente nel nostro cuore, possiamo capire quanto sia importante conoscere il modo migliore di amare i fratelli, la maniera più idonea di realizzare con essi l’unità.

Gesù ha detto: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri»; ma non ha lasciato senza modello questo amore, perché ha aggiunto: «come io vi ho amati» (Gv 15, 12). E non l’ha lasciato senza spiegazione quando ha soggiunto: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 13).

Sì: Gesù crocifisso e abbandonato è il modo di amare i fratelli. La sua morte in croce, abbandonato, è l’altissima, divina, eroica lezione di Gesù su cosa sia l’amore.

Questa visione di Gesù crocifisso e abbandonato è ciò che lo Spirito Santo ha scolpito nel cuore dei membri del nostro Movimento perché si sappia cos’è l’amore. Su di Lui – per quanto consente la loro debolezza – essi conformano la loro vita.

Modello del farsi uno

Abbiamo già visto in precedenza come amare significa servire e come non c’è modo migliore di servire che «farsi uno» con i prossimi.

Nessuno, come Gesù abbandonato, s’è fatto uno con i fratelli. Per questo Egli è il modello di colui che ama, è la via e la chiave dell’unità con i prossimi.

«Farsi uno».

Ma cosa significano e cosa esigono queste due piccole parole, così importanti da essere il modo d’amare?

Non si può entrare nell’animo di un fratello per comprenderlo, per capirlo, per condividere il suo dolore, se il nostro spirito è ricco di una preoccupazione, di un giudizio, di un pensiero... di qualunque cosa. Il «farsi uno» esige spiriti poveri, poveri di spirito. Solo con essi è possibile l’unità.

E a chi si guarda, allora, per imparare questa grande arte d’esser poveri di spirito, arte che porta – lo dice il vangelo – il Regno di Dio con sé, il regno dell’amore, l’amore nell’anima? Si guarda a Gesù abbandonato. Nessuno è più povero di Lui: Egli, dopo aver perso quasi tutti i discepoli, dopo aver donato la madre, dà anche la vita per noi e prova la terribile sensazione che il Padre stesso lo abbandoni.

Guardando Lui, si comprende come tutto va dato o posposto per amore dei fratelli: vanno donate o posposte le cose della terra ed anche – se occorre – in certo modo, i beni del Cielo. Guardando Lui, infatti, che si sente abbandonato da Dio, quando l’amore per i fratelli ci chiedesse (e può succedere anche spesso) di lasciare persino – come si dice – Dio per Dio (Dio per esempio nella preghiera, per «farsi uno» con un fratello nel bisogno; Dio in quella che ci sembra un’ispirazione per essere completamente vuoti ed accogliere in noi il dolore del fratello), guardando Lui è possibile ogni rinuncia.

E il «farsi uno» comporta questa rinuncia, anche se poi sappiamo quale ne è il guadagno. I fratelli amati così sono spesso conquistati a Cristo («Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi son fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno»; 1 Cor 9, 22). E, una volta conquistati, anch’essi amano ed ecco l’unità.

Dice lo Statuto del Movimento: «La vita d’unione tra i fedeli... esigerà dai suoi membri un amore tutto particolare alla croce e in particolare a Gesù nel mistero della sua passione: divino modello per quanti desiderano cooperare all’unione degli uomini con Dio e fra loro, vertice di spogliazione esteriore ma soprattutto interiore...»2 ; ed esso cita, poi, il grido di Gesù: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?».

È Gesù abbandonato, dunque, la causa dell’unità.

Via per essere
perfetti nell’unità

Gesù abbandonato è via all’unità con i fratelli, però, anche in altro modo.

Dice Gesù: «Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità» (Gv 17, 23).

È Gesù, dunque, presente in ciascun cristiano, che li fa perfetti nell’unità.

Ma come è possibile che Gesù realizzi in noi il suo «Io in loro»?

Abbiamo approfondito ciò parlando di Gesù abbandonato, chiave dell’unità dell’anima con Dio. Occorre abbracciare sempre, generosamente e senza tentennamenti Lui, che si presenta nei dolori di ogni giornata, nelle rinunzie che la vita cristiana e tutte le virtù comportano. Allora il Risorto, che si spera già in noi per la grazia, emana tutto il suo splendore; i doni del suo Spirito fluiscono nelle nostre anime; è una Pasqua ogni volta rinnovata; Gesù vive in ciascuno di noi pienamente.

Ma se Gesù vive in me, e vive anche nel mio fratello, è evidente che, quando ci si incontra, siamo già uno, siamo perfetti nell’unità.

E che cosa ha reso possibile tutto ciò? L’amore a Gesù abbandonato.

Chiave per ricomporre
l’unità infranta

Gesù abbandonato è via all’unità con i fratelli anche perché aiuta a ricomporre l’unità ogni volta che venisse infranta. Può succedere, infatti, che si sia già provata quella gioia piena, quella pace, quella luce, quell’ardore, quella propensione ad amare, tutti quei frutti dello Spirito che il Comandamento Nuovo messo in pratica produce. Può essere cioè, che si conosca già cosa comporta la presenza di Gesù fra due o più cristiani uniti nel suo nome. E si sia sperimentato quale altissimo senso essa abbia dato alla nostra esistenza, anche nei suoi particolari: come abbia illuminato circostanze, cose e persone. Ma ad un tratto, ecco che un atto di superbia, d’orgoglio, un moto d’egoismo proveniente dall’una o dall’altra parte, ci fa ripiombare in una esistenza simile a quella che si conduceva prima di conoscere più pienamente Gesù, esistenza senza calore e colore, e peggio ancora. Il disagio invade l’anima; tutto perde senso; non si comprende il perché del cammino intrapreso. Manca il più: manca Lui che aveva reso piena la nostra vita, colmato la nostra gioia. È come se un sole soprannaturale tramontasse.

Che si fa?

In quel momento solo il ricordo del nero abbandono, in cui era piombata la sua anima divina, può esserci di luce. Non avrebbe potuto perdere di valore per Gesù l’aver vissuto tutta la vita per il Padre, se, nel culmine dell’offerta, lo abbandonava? E che senso aveva ora il morire? Ma Egli non ha dubitato: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23, 46).

Noi, turbati ora nell’anima dalla piccola o grande disunità, consci di partecipare un po’ a quella sua agonia, si va in fondo al cuore e si abbraccia il nostro dolore e poi – che siamo stati noi oppure altri i responsabili (il vangelo, quando chiede di non portar l’offerta all’altare prima di essersi riconciliati con i fratelli, non fa differenza fra colpevole e non colpevole) – si corre dal fratello a ricomporre la piena armonia. E Gesù torna fra noi e con Lui di nuovo la forza e la felicità.

Gesù abbandonato è sempre la chiave d’ogni unità ricomposta.

Offerta in croce
per fare di tutti uno

Gesù nel suo abbandono è via all’unità con i fratelli anche in un altro modo: misterioso questo, ma reale.

Egli ha detto: «Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12, 32), e cioè: farò di tutti uno.

Questa parola il cristiano, se è vero che Cristo vive in lui, la può ripetere, in certo modo, di sé. Noi sappiamo quanto abbiano concorso all’unità nel nostro Movimento tutti quei crocifissi vivi che, giorno dopo giorno, la volontà di Dio alza sulla croce di brevi o lunghe malattie o anche di morti offerte per la nostra Opera. Dio lo sa. Certamente la loro moneta è sempre di alto prezzo, se nell’economia divina il dolore è l’elemento più fecondo.

Ma a chi guardano tutte queste creature che consumano per gli scopi del Movimento la loro Messa, come continuazione della sua? Guardano a Lui, alla cui Passione uniscono la propria, perché gli uomini «siano tutti uno».

Causa dell’unità con chi soffre

Gesù abbandonato è, infine, causa dell’unità con i fratelli anche perché si vede Lui, una sua qualche sembianza, in tutti coloro che soffrono. Lo si vede nei tribolati, nei rifiuti della società, nei perseguitati, negli indigenti, in chi ha fame e sete, in chi è ignudo, ammalato, moribondo, in chi non ha casa. Lo si vede nei carcerati: chi più prigioniero e inchiodato di Lui nel corpo e anche nell’anima per la terrificante impressione d’essere abbandonato dal Padre con cui è una sola cosa?

Lo si vede nei dubbiosi. Quale dubbio più grande del suo che, per noi, sembra credere l’assurdo degli assurdi: e cioè che Dio abbandoni Dio?

Lo si vede negli afflitti, negli sconsolati, negli abbandonati, nei falliti, nei traditi, negli emarginati, in chi subisce insuccessi o si trova in situazioni senza via d’uscita, nei disorientati, in chi è senza difesa o è disperato o è sommerso dalla paura...

Lo si vede anche nel peccatore, perché Egli s’è fatto per noi peccato, maledizione (Cf Gal 3, 13).

In tutti questi, e in tutti coloro che soffrono pene nell’anima e nel corpo, non è difficile ravvisare il suo volto. E perché si vede il suo volto, lo si ama.

Così la sua figura, che queste creature nel dolore ricordano, è causa del nostro amore. Gesù abbandonato è la via all’unità con loro. Ed esse, poi, amate, il più delle volte amano a loro volta. Ed ecco ancora l’unità.

Segreto per un amore universale

E si comprende bene come i membri del Movimento, perché amano Gesù abbandonato, sono aperti ad amare tutta l’umanità e ad orientarla – là dove la incontrano – all’«ut omnes». (...)

Ecco: amare. Amare tutti gli uomini, perché tutti conoscano cos’è l’amore e si amino a vicenda come Gesù desidera, è l’anelito del nostro Movimento.

Per questo, in quest’epoca in cui è nato, accarezzata da potenti soffi dello Spirito Santo, ma minacciata anche dalla guerra atomica, esso ha il suo segreto: Gesù abbandonato, colui che ha ricongiunto gli uomini a Dio e fra loro. Con la sua spiritualità incentrata su di Lui, vera «atomica divina», come la chiamiamo coi nostri Gen (sembra, infatti, in quel grido che l’unità stessa, che è Dio, si spezzi: è Dio colui che grida: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»!), con questa spiritualità il Movimento sente di vivere all’unisono con la chiesa attuale e di poter perseguire con essa il suo scopo di oggi e di sempre: attuare il Testamento di Gesù: «Che tutti siano uno» (Gv 17, 21).

Chiara Lubich

 

1    1 Gv 3, 11.

2    Parte I, cap. 1, artt. 2-10.

 

Per il testo integrale di questa conversazione, cf Chiara Lubich, L’unità e Gesù abbandonato, Roma 1984, pp. 101 - 119.