L’abbandono di Gesù:
scoperta vitale


Enzo Maria FONDI

Tra i primi focolarini, Enzo Maria Fondi ha vissuto come giovane medico la nascita del Movimento nella Germania dell’Est e nell’America del Nord. Ordinato sacerdote negli anni ’60, da molti anni vive al Centro internazionale del Movimento dove, assieme a Natalia Dallapiccola, è incaricato per l’aspetto della spiritualità e della vita di preghiera e per il dialogo interreligioso.
Col suo contributo introduce la conversazione di Chiara Lubich sulle pagine immediatamente seguenti.

S

i è parlato in questi giorni di unità, di spiritualità dell’unità. Ebbene, come in ogni via di santificazione che fa parte del patrimonio e della tradizione della chiesa, doveva avvenire necessariamente l’incontro con la croce, che rimane sempre e per tutti la «porta stretta» per la quale si va al Regno.

Eccovi, in breve, cosa accadde nei primi giorni della nuova esperienza spirituale.

Dopo la prima scoperta e la scelta di Dio Amore, lui fece capire in modo nuovo e originale alle prime focolarine fino a che punto egli ci ha amati.

Era il gennaio del 1944 e intorno a Chiara c’era solo un piccolo gruppo di ragazze: quattro o cinque. Un sacerdote si reca a portare la comunione in casa di una di loro che era ammalata. Era presente anche Chiara. Il sacerdote chiese: «Sapete dirmi quando Gesù ha sofferto di più?». Loro rispondono, secondo l’opinione del tempo: «Nell’orto degli ulivi». E lui: «No, Gesù ha sofferto di più in croce quando ha gridato: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”».

Quelle parole ebbero l’effetto – dice Chiara – di una rivelazione e di una chiamata. E Chiara, quasi pensando ad alta voce, disse: «Se è lì che Gesù ha sofferto di più, è lì che Gesù ha amato di più. Facciamo allora di Gesù crocifisso che grida “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato” l’ideale della nostra vita».

Da quel momento entrò nella loro vita un personaggio, anzi il personaggio che la riempì tutta. E ogni dolore della loro esistenza divenne un dono prezioso di Dio, perché permetteva di amare come Gesù, di essere più simili a Lui, di essere uniti con Lui. Egli aveva dato un nome ad ogni sofferenza umana, perché l’aveva presa su di sé. Anche la sofferenza di sentirsi abbandonato da Dio, dal Padre, per amore nostro1.

Quella scelta fu radicale e significò fin dall’inizio un amore esclusivo: «Ho un solo Sposo sulla terra, Gesù abbandonato. Non ho altro Dio fuori di Lui». Queste parole di Chiara richiamano alla mente san Paolo: «Non conosco che Cristo e questi crocifisso».

Ma ben presto si resero conto che lo Spirito Santo aveva suggerito loro in questo modo il segreto dell’unità. Sì, per quel dolore, per quel grido, per quella morte, era avvenuta la redenzione del genere umano, la riunificazione degli uomini con Dio e fra di loro. E proprio per questo Gesù abbandonato era anche il modello di una santità da ricercare e da vivere insieme, perché modello di quell’amore e di quelle virtù vissute eroicamente, che servono a generare l’unità: un amore senza limiti, una povertà e un’obbedienza totale, un’umiltà abissale.

Gesù abbandonato e l’unità furono visti come due facce della stessa medaglia. Non c’è l’una senza l’altra, e fra le due c’è tutto il vangelo.

Scriveva Chiara in una lettera del 1948: «Il libro di luce che il Signore sta scrivendo nella mia anima ha due aspetti: una pagina lucente di misterioso amore: unità. Una pagina luminosa di misterioso dolore: Gesù abbandonato. Sono due aspetti di un’unica medaglia»2.

Qual è stato, ed è, concretamente, nella prassi della vita quotidiana, l’atteggiamento dei membri del Movimento verso il dolore? Lo si può riassumere in due momenti essenziali:

1)    Per prima cosa, quando giunge un dolore, si dice, in fondo all’anima a Gesù crocifisso e abbandonato: sì, è te che ho scelto, è te che preferisco. E si abbraccia quella croce che Dio ha messo sul nostro cammino.

2)    Fatto questo passo, come è in grado la nostra volontà di farlo, non ci si ferma a contemplare o a crogiolarsi nel dolore, ma ci si butta fuori ad amare il prossimo, o a far bene quella volontà di Dio che è, per esempio, studiare o lavorare o telefonare.

Accade a questo punto una specie di «alchimia divina». Si abbraccia il dolore e si trova l’amore. Ricompare così nell’anima la luce, e nel cuore la consolazione e si sperimentano i doni dello Spirito. Dice san Paolo che Gesù è divenuto maledetto nella morte di croce affinché «noi ricevessimo la promessa dello Spirito» (cf Gal 3, 13-14). E con lo Spirito, dunque, si sperimenta la gioia che è come il «fiore dell’amore», è la riprova dei doni dello Spirito.

Questa gioia, che ha radici così profonde, è quasi il distintivo di quelle persone che vivono la spiritualità dell’unità. Ed è una testimonianza visibile della presenza di Dio, del Signore Risorto, e della unione dell’anima con Dio.

Illustrando a un gruppo di Vescovi amici del Movimento questo cardine della spiritualità dell’unità, Chiara ha diviso l’argomento in due parti. Nella prima parte che fin qui ho cercato di riassumervi, molto in breve, ha parlato di «Gesù abbandonato, chiave dell’unità con Dio». Nella seconda, che è strettamente collegata con la prima, ha parlato di «Gesù abbandonato, chiave dell’unità con i fratelli».

Se posso dare un suggerimento è quello di accogliere le parole di Chiara con semplicità, con apertura d’animo, senza cercare di filtrare attraverso categorie ed ermeneutiche cui lo studio della teologia ci ha abituati. Si tratta di una esperienza di vita che si può verificare solo con la vita. E quindi richiede tempo, pazienza e l’aiuto fraterno di chi ha già fatto un tratto di strada e può darci una mano per riuscire ad andare avanti, e a scoprire quei tesori che il Signore ha nascosto lungo il percorso.

Questa riflessione su Gesù abbandonato non basta rimeditarla nel cuore, ma occorre soprattutto cercare di tradurla in vita, di applicarla alle situazioni dolorose alle quali inevitabilmente saremo esposti, come cristiani.

E penso anche che potrà essere molto utile per vivere il sacerdozio che ha la sua fonte proprio lì, sulla croce, nella passione e nell’abbandono di Gesù.

Enzo Maria Fondi

 

1    Cf C. LUBICH, L’unità e Gesù abbandonato, Roma, Città Nuova 1984, p. 49ss.

2     Op. cit., pp. 7-8, pp. 66-67.