In vista del Congresso «UNO perché tutti siano UNO», seminaristi di tutto il mondo hanno inviato domande a Chiara Lubich. Dopo aver scelto quelle di interesse più generale, Chiara aveva appuntato in forma sintetica le sue risposte. Impegni improvvisi hanno impedito alla fondatrice dei Focolari di intervenire di persona al Congresso e quindi questi appunti sono stati letti ai partecipanti

 

Dialogo con
Chiara Lubich

L’unità

T

 u sei la fondatrice di un movimento per l’unità. Cos’è per te l’unità? E come possiamo contribuire, noi che siamo in seminario, alla realizzazione di questa causa nel mondo?

L’unità è l’oggetto della preghiera sacerdotale di Gesù: quindi il supremo desiderio di lui; è come affermò Paolo VI il riassunto, la sintesi, il vertice del vangelo; è la vita trinitaria in terra; è la più forte testimonianza al mondo: lo dice Gesù stesso: «Che siano uno, affinché il mondo creda»; è un segno dei tempi perché, nonostante le divisioni, gli scontri, le guerre, il mondo tende all’unità.

Lo dice, nel mondo cristiano, lo Spirito Santo, che spinge le varie chiese e comunità ecclesiali all’unificazione dopo secoli di indifferentismo e di lotta. Lo dicono i papi, come Paolo VI, la cui dottrina è intrisa di quest’idea dell’unità. E Giovanni Paolo II, con i suoi viaggi in tutto il mondo, il Concilio Vaticano II, i cui documenti tornano ripetutamente su quest’idea. Lo ha detto conseguentemente l’istituzione di Consigli pontifici per l’unità fra i cristiani, per il dialogo con le altre religioni e con tutti gli uomini di buona volontà.

Lo dice il Consiglio ecumenico delle chiese. Dicono questa tensione persino ideologie che noi non possiamo condividere. Lo dicono enti e organizzazioni internazionali; così come favoriscono l’unità i moderni mezzi di comunicazione.

Cos’è l’unità per me? L’ho scoperto un giorno quando ho scritto nel ’47: «Oh! L’unità, l’unità! Che divina bellezza! Non abbiamo parole umane per dire che cosa sia! È Gesù». In una lettera del ’48 si legge ancora: «L’unità! Ma chi potrà azzardarsi a parlare di essa? È ineffabile come Dio! Si sente, si vede, si gode ma... è ineffabile! Tutti godono della sua presenza, tutti soffrono della sua assenza. È pace, gaudio, amore, ardore, clima di eroismo, di somma generosità. È Gesù fra noi!».

L’unità è effetto dell’amore e dell’amore reciproco: uno scatto di qualità; è l’attuazione della Parola: «Dove due o tre sono uniti nel mio nome, ivi sono io in mezzo a loro». È dunque una presenza di Cristo nel mondo: quella della comunità. Voi potete contribuire ad essa vivendola, cominciando da voi come abbiamo cominciato noi: amando i poveri, tutti; attuandola fra noi, nella comunità.

Gesù abbandonato

R

iguardo alla croce, si sente spesso parlare nel Movimento di «Gesù Abbandonato». Che cosa significa per te Gesù Abbandonato?

È tutto. Ho scelto Dio-Amore; ma Dio-Amore si è manifestato tutto in quel grido. (Ha dato tutto: la Madre, i discepoli, la vita, la sua unione con Dio). Quindi è il mio Ideale.

Lo amo: nei dolori spirituali; nei prossimi che lo rispecchiano; nelle divisioni fra generazioni, razze, popoli, in tutte le divisioni che scontriamo nel mondo e nella Chiesa; nelle Chiese divise; nella divisione fra religioni diverse; nelle calamità naturali e provocate, ecc.

La Parola di vita

O

gni mese il Movimento diffonde in tutto il mondo un tuo commento alla Parola di vita. Che cosa è per te la Parola di vita?

È una presenza di Gesù (le altre presenze: Gesù nell’Eucaristia, Gesù in mezzo a noi, Gesù nella gerarchia, Gesù nel povero).

Occorre quindi cibarsi di essa come dell’Eucaristia. Ma come basta un pezzettino d’Ostia, così basta una Parola.

Cibarsi significa tradurla in vita (non solo leggerla o solo meditarla).

Si produce così in noi, nel nostro amare, pensare, agire, una rievangelizzazione: si diventa sempre più Gesù, Vangeli viventi.

La preghiera

C

ome vivi tu la preghiera, l’unione con Dio?

Vivo tutte le pratiche che la Chiesa suggerisce: le preghiere del mattino e della sera, la meditazione, la confessione, l’Eucaristia, l’esame di coscienza, il giorno di ritiro, gli esercizi spirituali. Ma il tutto sulla base dell’amore reciproco. Sì, perché la carità è così: più si ama il prossimo, più cresce l’amore di Dio e viceversa.

Inoltre, ricordando che occorre pregare sempre, cerco di offrire a Gesù tutto quanto faccio con un «Per te».

Rapporto con la gerarchia

I

l rapporto di noi seminaristi con i nostri vescovi è molto importante. Ma è anche vero che il mondo di oggi fa fatica a comprendere il ruolo della gerarchia nella Chiesa. Puoi dirci qualcosa del tuo rapporto con la gerarchia?

Tutti siamo Chiesa, ma la gerarchia è l’ossatura della Chiesa. Cristo l’ha voluta così. Non si può amare Cristo se non si ama la Chiesa ed in essa la gerarchia.

Il mio rapporto con la gerarchia risale ai primi tempi del Movimento quando ci siamo imbattuti nella frase: «Chi ascolta voi, ascolta me» (Lc 10,16). E questa presenza di Gesù l’abbiamo poi sempre scoperta nel Papa e nei vescovi. Hanno parole che nessuno ha. Nemmeno i migliori teologi. È la luce e l’unzione del loro carisma.

D’altra parte il vescovo di Trento capì che questa è Opera di Dio (capì il nostro carisma) dalla nostra obbedienza.

Donarsi a Dio

U

n giorno saremo chiamati a dire un «sì» totale a Dio attraverso il nostro vescovo. Cosa ha significato per te donarti a Dio?

Ha significato tagliare. Come un ponte che crollava dietro le spalle: non potevo più tornare indietro.

E di conseguenza ha significato avere una sola possibilità: andare avanti, seguire Dio; perciò una grandissima grazia.

Ha significato, infine, concorrere con Dio a mettere la prima pietra del Movimento e ad essere uno strumento nelle sue mani.

L’unità tra le Chiese

S

ono qui anche alcuni futuri ministri di altre Chiese e comunità cristiane. Sappiamo che hai una grande passione per l’ecumenismo. Puoi dirci come vedi il cammino verso l’unità tra le Chiese?

Il peccato ci ha divisi. La santità ci unirà.

Sono importantissimi i dialoghi teologici: sgombrano il terreno da molte prevenzioni.

Ma assai importante è il dialogo della preghiera, e anche il dialogo della vita: perché l’unità è prima di tutto opera di Dio. Poi anche nostra.

Riguardo al dialogo della vita sentiamo nostra la convinzione espressa recentemente dal S. Padre: Dio ha permesso tutto per un bene (cf Varcare la soglia della speranza, p. 167). Vogliamo perciò vivere sin d’ora quello che sarà: lo scambio delle proprie ricchezze.

È utile in ciò una spiritualità dell’unità.

Ma: «Se vi amate, la carità in voi è perfetta» (cf 1 Gv 4, 12) ed ecco la santità.

Una spiritualità per oggi

A

vvertiamo che in questo momento nei seminari – sia da parte dei superiori che dei seminaristi – si sta cercando una nuova luce per la formazione. Cosa può offrire il Movimento in questa situazione?

Può offrire la sua spiritualità, che è Vangelo di oggi, dei nostri tempi.

Oggi il mondo è invaso dal materialismo, ereditato dal comunismo, o dall’indifferentismo, mentre qui si sottolinea la scelta di Dio.

Si vuole la libertà sfrenata, e qui si sottolinea la volontà di Dio.

Ci sono divisioni, scontri, guerre, frutti dell’odio, mentre il Movimento sottolinea l’amore. Si punta all’avere; qui invece si propone il dare, la cultura del dare; che coincide con l’essere, perché l’uomo tanto è quanto si dona.

Oggi va di moda l’affermazione di sé, mentre tra noi, anche come effetto del Concilio, si sottolinea l’unità, la comunione, la comunità, la collegialità. Per questo si richiede una spiritualità collettiva.

Ci si nutre di voci, di parole, con i mass-media; qui si sottolinea la Parola che non passa.

Di fronte alla ricerca del benessere e della felicità, la nostra spiritualità sottolinea il valore del dolore, come via alla vera felicità.

Allo stordimento dell’edonismo contrappone come modello Maria, la tutta pura, la vergine.

Oggi non si vuol sapere della chiesa? Qui la si ama fino a viverla...

Santità di popolo

A

 cuore aperto, qual è il tuo più grande desiderio per noi?

Che viviate in maniera di far parte di quella «santità di popolo» prevista da qualche teologo e reclamata da Paolo VI.

Ha scritto a suo tempo Karl Rahner: «Noi più anziani (...) siamo stati spiritualmente degli individualisti, data la nostra provenienza e la nostra formazione. (...) Se c’è un’esperienza dello Spirito fatta in comune, comunemente ritenuta tale, (...) essa è (...) l’esperienza della prima Pentecoste nella Chiesa, un evento, si deve presumere, che non consistette certo nel casuale raduno di una somma di mistici individualistici, ma nell’esperienza dello Spirito fatta dalla comunità (...). Io penso che in una spiritualità del futuro l’elemento della comunione spirituale fraterna, di una spiritualità vissuta insieme, possa giocare un ruolo più determinante, e che lentamente ma decisamente si debba proseguire lungo questa strada»1.

Paolo VI, quando era ancora cardinale, ha detto che in questi tempi ormai l’episodio deve farsi costume e che il santo straordinario, pur essendo venerato, cede il posto in certo qual modo alla santità di popolo, al popolo di Dio che si santifica2.

Questo per mostrare al mondo la Chiesa più santa e più una.

Spiritualità individuale e spiritualità comunitaria

D

a molte parti nella formazione sacerdotale prevale una spiritualità che punta fortemente sul singolo. In una spiritualità come quella dell’unità si sottolinea invece con forza la dimensione comunitaria. Come conciliare nella nostra vita questi due indirizzi?

Se si capiscono bene le cose, non sono proprio due indirizzi: solo se si vive bene come singoli, si può vivere bene una spiritualità comunitaria e viceversa (più cresce in noi l’amore di Dio, più cresce l’amore del prossimo e viceversa).

Naturalmente la spiritualità comunitaria, per attuarla con pienezza, ha delle esigenze per cui occorre il consenso dei superiori perché la si possa vivere (p.e.: iniziare con nuclei che sono però tali se aperti a tutti dove ci si comunicano le esperienze spirituali, della Parola di vita, e così via).

Se Dio vi chiama per questa strada troverà il modo di farlo capire ai vostri superiori. E finché non lo vogliono, si obbedisca (anche questo esige la spiritualità comunitaria), cercando però di informare i superiori su come la Chiesa stima questa spiritualità, a cominciare dal Papa e dalle centinaia di vescovi che l’approvano e la incoraggiano.

Come costruire l’unità?

U

na volta sacerdote, vorrei essere un costruttore di unità. Ma nella nostra cultura mi trovo di fronte alla differenza di razza e di educazione, alle disuguaglianze economiche e al pluralismo religioso. Come fare?

Non mi preoccuperei assolutamente di queste differenze. La Buona Novella ci dà una libertà assoluta.

L’ideale dell’unità esige che si veda e si ami Gesù in tutti. Non c’è più né il simpatico né l’antipatico, né il brutto né il bello, né il ricco né il povero, né il tedesco né il francese, né il cristiano né il seguace di altre fedi... Si vede e si ama Gesù in ognuno: o perché c’è in lui per la grazia, o perché anche col nostro amore può «nascere» in lui. Così abbiamo fatto noi fin dall’inizio.

Vuoi essere dunque costruttore di unità? Fa’ come nel Movimento, dove si sono aperti dialoghi con tutti: fra i cattolici, fra i cristiani, con i credenti, con chi ha altre convinzioni.

Amare se stessi?

C

ome sacrificarci per gli altri senza perdere il senso di chi siamo noi stessi come persona? E come avere la necessaria cura di se stessi senza diventare egoisti?

Non occorre tanto pensare a se stessi. Gesù non ha mai detto: salva la tua personalità.

Guarda la Trinità e come si comportano quelle tre Persone: il Padre è proprio tale – e salva quindi la propria personalità – perché è in relazione al Figlio; così il Figlio; così lo Spirito Santo.

Ama dunque te stesso come gli altri.

Chi è il sacerdote?

S

pesso alla domanda «chi è il sacerdote?» si risponde piuttosto con quello che egli «fa», e questo è forse uno dei motivi per la scarsità delle vocazioni sacerdotali. Avresti una risposta alla domanda: «Chi è il sacerdote»?

Il sacerdote è quello a cui Gesù ha detto: «Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi» (Gv 20, 21).

Egli continua Cristo. È un altro Cristo ed in certe occasioni è lo stesso Cristo. Questo per l’ordinazione sacerdotale. Come logica conseguenza il sacerdote è chiamato ad essere Cristo anche per virtù.

Il patrimonio dell’Oriente

N

ei tuoi libri e nei tuoi discorsi troviamo anche delle citazioni e dei pensieri dei Santi Padri dell’Oriente. Quale attrattiva ha per te questo patrimonio classico della Chiesa? Quale attualità attribuisci ad esso? (domanda di un gruppo di studenti di teologia ortodossi).

La massima attrattiva, perché sono spunti dottrinali meravigliosi che costituiscono il patrimonio della Chiesa. E sono anche attualissimi perché vi è lo Spirito Santo.

Chiara Lubich