Dialogo con i lettori

È

 difficile far entrare nel tessuto ecclesiale l’interesse per l’ecumenismo. I sacerdoti stessi non gli danno molta importanza, da una parte perché hanno già troppo lavoro, e dall’altra perché è minima la presenza di altre denominazioni cristiane nella nostra zona. Cosa fare? Come presentare l’ecumenismo perché se ne capisca il valore?

(Gabriella Biagioni, Commissione diocesana di ecumenismo - Frascati)

 

Ecumenismo:
chiamata
a un cristianesimo
 più genuino

Succede con l’ecumenismo qualcosa di analogo con ciò che accade con la povertà. Oggi non si può essere cristiani senza aver presenti i problemi sociali. Nei Paesi ricchi, i cristiani non solo troveranno sempre dei «nuovi poveri», ma inoltre non possono limitarsi alla realtà che hanno vicino, perché la loro casa è il mondo intero e 3/4 della popolazione della terra vive nella povertà e nella miseria.

Lo stesso può dirsi dell’ecumenismo: è una dimensione essenziale del cristianesimo, anche se nel nostro territorio non si vede mai un cristiano di diversa tradizione. Non si può essere cristiani oggi senza avere in cuore la passione per l’unità. Tanto più per l’unità tra gli stessi cristiani, dal momento che è un controsenso che siano divisi proprio coloro che dovrebbero continuare l’opera di Colui che è venuto ed è morto per fare l’unità della famiglia umana.

Quando voi aiutate, ad esempio, la catechesi nella vostra diocesi ad essere più ecumenica, nei suoi testi e nella mentalità dei suoi catechisti, e cercate che sia rispettato e valorizzato quanto c’è di positivo negli altri fratelli cristiani, negli ebrei, nelle persone di altre fedi o in coloro che non ne professano nessuna, in realtà non fate altro che cercar di vivere un’elementare esigenza del vangelo. O quando noi nell’approfondire o studiare la religione cristiana a tutti i livelli, esponiamo lealmente e teniamo conto della posizione dei cristiani di chiese diverse dalla nostra, sottomettendo il nostro cristianesimo ad un sano confronto, lo stiamo arricchendo.

L’ecumenismo, come primo frutto, ci porta ad un cristianesimo più genuino ed autentico, perché mettendoci davanti a forme diverse, ci obbliga a verificare quanto il nostro modo di vivere e di pensare sia aderente al vangelo.

Perciò quel grande ecumenista che fu Y. Congar, recentemente scomparso, poteva dire: «Ogni volta che noi progrediamo nel senso evangelico, facendo le cose in modo più perfetto, od ogni volta che cerchiamo di evitare quegli sbagli che sono stati fatti prima della scadenza fatale delle grandi rotture, noi curiamo le ferite del corpo cristiano, diamo vita e vigore al movimento che lavora all’unità tra i cristiani».

Se è vero – nonostante tutti i rischi che ciò implica, come ben mostra la storia – che la chiesa deve poter riconoscere al suo interno ciò che è concorde con la fede cristiana e ciò che la nega, è pur certo che molti dei motivi che hanno separato i cristiani non erano teologici, ma culturali, politici, economici,  cioè più dovuti alla debolezza umana che a esigenze evangeliche.

Per cui aveva ragione P. Foresi nel dire che è successo fra le chiese cristiane quello che spesso accade tra gli sposati: le differenze, i momenti di crisi fra marito e moglie sono inevitabili; solo che quando c’è l’amore si superano, ed anzi risultano preziosi per far crescere e maturare il rapporto fra i due; quando l’amore non c’è, si utilizzano quei problemi come motivazione per separarsi. Ma la separazione avviene non tanto per i problemi ma, normalmente, perché è mancato un amore sufficientemente maturo!

L’ecumenismo si esercita perciò non soltanto dialogando, pregando o servendo l’umanità insieme a cristiani di altre denominazioni. Lo si fa anche vivendo, pure all’interno della nostra propria comunità, in modo veramente evangelico. Con ciò si evitano altre future spaccature e si cresce nell’unità anche con gli altri cristiani, perché si diventa di più Cristo, Colui che ci fa uno. È questo che si riconosce quando si dice che l’ecumenismo ci ha fatto passare dall’ecclesiocentrismo (pretendere che gli altri si convertano alla nostra propria chiesa), al cristocentrismo, cioè alla permanente riforma e conversione al vangelo per crescere tutti di più verso il Cristo.

Conosciamo delle parrocchie cattoliche in luoghi dove non esistono cristiani di altre tradizioni che, con il consenso del loro vescovo, hanno fatto dei «gemellaggi» con comunità cristiane di denominazioni diverse, di altre regioni o Paesi. Con esse fanno degli scambi di visite e mantengono corrispondenza, per crescere nella conoscenza e nell’amore fraterno, per aiutarsi a vicenda nei loro bisogni, per uno scambio di doni significativi o pregando per le reciproche necessità, ecc.

Ma prima ancora di andare lontano, quando siete invitati da una comunità della vostra diocesi a parlare di ecumenismo, questo non è altro che un «pretesto» per cercare di contribuire a migliorare la qualità cristiana di quella comunità. Infatti, descrivendo l’ecumenismo e vivendolo, li aiutate a crescere nell’amore e nel rispetto reciproco, insegnate le condizioni e la «tecnica» evangelica del dialogo, proponete di conoscere meglio e soprattutto di vivere la Parola... Tutto ciò, infatti, prima ancora di aggiungere nuove  attività, vivifica ed affina evangelicamente quelle che già ci sono. E questo può interessare tutti. Anche i parroci.

a cura della redazione