Dialogo con i lettori

«I

l nostro lavoro pastorale aumenta sempre di più, e rischiamo di perdere la pace e la salute. Come salvare l’essenziale e saper scegliere, in mezzo alle sempre nuove proposte e documenti, per portare avanti una evangelizzazione feconda senza essere schiacciati?»

(don Osvaldo Maddaleno
e un gruppo di sacerdoti di Torino)

Una pastorale che ammazza il pastore?

Si dice che un giorno il segretario del card. Newman, vedendo la sua agenda sempre strapiena di impegni, ebbe a sbottare: «Ma non è possibile andare avanti così...». E lui avrebbe risposto: «Sì, è vero, occorre aggiungere mezz’ora di meditazione». Non per niente Chiara Lubich chiede sempre a coloro che la seguono nel suo carisma, di non tralasciare mai i momenti di preghiera di ogni giorno, ma di considerarli come la realtà più importante («la prima cosa è la prima cosa»); e raccomanda anche di cercar di fare la meditazione al mattino, perché essa ci aiuta ad avere maggior luce per vivere la giornata. È ben logico che sia l’unione con Dio ad illuminarci sui suoi piani e a farci capire come orientare la nostra vita.

Un’altra indicazione importante possiamo ricavarla da quello che ormai costituisce un segno dei tempi, cioè la riscoperta con nuova profondità nella chiesa dell’importanza della comunione fraterna. L’esperienza di sacerdoti che, per cercare di realizzare quell’unità che Cristo ha chiesto al Padre, vivono insieme o almeno si trovano regolarmente per costruirla, mostra quanto ciò li aiuti anche a ordinare le loro attività. Basta una giornata vissuta nella fraternità, dove ogni cosa ha trovato il suo posto: riposo, scambio di esperienze di vita evangelica, aggiornamento, ecc. perché tornando alla pastorale si avverta che è cresciuta dentro la capacità di ordinare le cose secondo la sapienza.

Ma c’è un altro versante del problema. È difficile – solo per fare qualche esempio – trovare in un sacerdote il senso di arredare la casa in modo tale che tutti coloro che arrivano si sentano accolti; o il saper «perdere tempo» per costruire rapporti con le persone, per fare famiglia e generare la comunità; o il saper riposare per poter servire meglio le persone e dare così più gloria a Dio... Si potrebbero trovare diverse spiegazioni a queste lacune. Ma bisogna anche riconoscere che nessun essere umano può avere tutte le qualità possibili o sviluppare da solo, armoniosamente, ogni caratteristica della sua personalità. Soltanto l’unità con altri può darci la lucidità e l’equilibrio di crescere nel vivere ordinatamente tutti gli aspetti di cui è composta l’esistenza, in mezzo alle mille tensioni e richieste a cui siamo sottoposti. Solo nell’unità riusciamo ad avere l’equilibrio di capire che per l’efficacia della nostra pastorale, l’armonia della casa è importante quanto l’armonia dei rapporti, che il riposo è importante quanto lo studio o le attività apostoliche, e così via.

Un altro problema realisticamente segnalato nella domanda è il fatto dei numerosi documenti ed attività che oggi sono proposti da parte della chiesa. Da un lato costituisce un segno di vitalità ecclesiale e di crescita nella consapevolezza che è necessario tendere ad una pastorale più incisiva ed organica. Però il fatto è che i parroci sono sopraffatti e non riescono né a leggere tutti quei documenti, né a concretizzare, in tanti casi, tutte le indicazioni che arrivano dalla diocesi.

Anche qui non esistono, naturalmente, ricette magiche. Se il pastore ha però uno stile evangelico di vita, acquista una maggiore capacità di cogliere l’essenziale di quei documenti e di attuare ciò che le circostanze gli richiedono, poiché ha un quadro vitale di riferimento che gli serve di chiave di lettura; ed inoltre, dato che «la presenza di Cristo nella comunità è altoparlante della presenza di Cristo dentro di noi», lo scambio e il confronto con altri sacerdoti realizzato in un clima di comunione autentica, è un potente aiuto in questo discernimento.

Ancora un’indicazione che può sembrare solo organizzativa ma che è in sintonia con quanto stiamo dicendo. Tempo fa un gruppo di sacerdoti nostri amici aveva conosciuto un nutrito numero di pastori evangelici interessati a trovarsi per crescere nel dialogo e nella comunione fraterna. Solo che gli uni e gli altri erano così impegnati (e ciò mostra che non si tratta di un problema solo dei preti cattolici), che nonostante tutte le buone intenzioni il tempo passava e non si riusciva a concretizzare quegli incontri. Finché uno di loro disse una frase che diventò tra loro proverbiale: «Finché non si scende dal cuore all’agenda, gli incontri non si realizzano». Ciò per dire che un altro elemento fondamentale per chi ha una funzione pastorale fatta d’impegni abbondanti e svariati, è «saper usare l’agenda».

Infatti, fare un programma annuale, mensile, settimanale, giornaliero – lasciando sempre spazio e apertura d’animo per gli imprevisti, accolti come interventi del Padre che non complicano ma arrichiscono le cose – oltre ad essere funzionale, è liberante ed equilibratore. Ovviamente ci sono persone costituzionalmente più portate a saper fare questa programmazione, altre di meno. L’aiuto reciproco può essere espressione dell’amore fraterno anche in questo campo.

È questo tipo di cose che ha permesso, a tante persone arrivate ad un’esperienza evangelica matura, di esclamare a un certo punto della loro vita che tutto è possibile, tutto si può fare. Sembra che trovino tempo per fare ogni cosa al momento giusto, senza lasciarsi «mangiare» dalle circostanze. Infatti, nella misura in cui cresce il rapporto con Dio e l’esperienza d’unità cogli altri, si sente che cresce in noi anche questa capacità, poiché impariamo a seguire le ispirazioni dello Spirito ed a muoverci sempre più in sintonia, momento per momento, con il progetto di Dio.

Ci sarebbe poi, tra l’altro, tutto il capitolo della corresponsabilità nella chiesa, sulla necessità di saper condividere il lavoro. Ma è un tema di cui parleremo un’altra volta, giacché abbiamo ricevuto una domanda precisa in tal senso.

La redazione