Le tappe ineludibili per la costruzione di un’autentica comunità

 

Come nasce una
comunità cristiana

di Ferenc Tomka

 

 

Dopo la svolta politica del 1989 si riaprono le porte dei quartieri periferici della capitale dell’Ungheria all’azione pastorale del cristianesimo, ma ci si trova davanti ad uno spettacolo desolante: un popolo sbandato e senza speranza, soprattutto tra i giovani. L’autore dell’articolo, il dott. Ferenc Tomka, professore di teologia pastorale, coinvolto in prima persona in quest’azione evangelizzatrice, ci racconta come anche un deserto può rifiorire alla vita. Quale il segreto?

A

bbiamo accettato in due sacerdoti l’invito del vescovo a lavorare in un quartiere periferico di Budapest, sorto tra l’85 e il ’91, con attualmente circa 40.000 abitanti, di cui circa 26.000 cattolici almeno di nome, per aver ricevuto il battesimo. La popolazione è formata soprattutto da giovani senza alcuna formazione religiosa e morale, completamente abbandonata a se stessa, fatta eccezione per pochissimi che hanno avuto la fortuna di appartenere ad una famiglia veramente cristiana. Purtroppo il regime comunista non aveva costruito in questo luogo delle infrastrutture che permettessero ai giovani di potersi ritrovare per fare sport o altre attività ricreative.

Quando siamo entrati nel quartiere non avevamo neanche un posto dove abitare. Dopo un mese siamo riusciti ad affittare un piccolo appartamento in una casa prefabbricata, le cui pareti permettevano di udire ogni sorta di rumore, compresi i litigi e le non rare bestemmie dei vicini.

Abbiamo celebrato la messa domenicale nella sala delle riunioni del partito comunista, ora di proprietà del comune, con la capienza di circa 150 persone.

Dopo aver sparso l’invito in tutti i caseggiati per la messa festiva si sono presentate circa un centinaio di persone, metà bambini. Abbiamo saputo in seguito che durante il comunismo circa 150 persone, per non essere notate, andavano in chiesa in posti lontani.

La messa feriale invece la celebravamo in casa in una stanza di circa 40 metri quadrati. All’inizio eravamo solo noi due, poi sono venuti altri, specialmente giovani, e attualmente sono sempre 30-40 persone.

Cominciando dai pastori

Appena arrivati, io e Lajos Javorka ci siamo chiesti come iniziare un lavoro pastorale in questo pezzo di mondo così secolarizzato. L’unica nostra certezza è stata che almeno noi due, vivendo da cristiani, mettendo cioè in pratica il comandamento dell’amore mutuo, potevamo avere la presenza del Buon Pastore tra noi. Con questa convinzione continuiamo tuttora ogni mattina a pregare insieme e rinnoviamo il patto di dar la vita l’uno per l’altro per essere disposti a darla anche per la nostra gente. A sera poi ci ritroviamo ancora per un momento di preghiera in comune e per raccontarci se siamo riusciti o meno a vivere il vangelo nelle varie circostanze della giornata. Settimanalmente apriamo un dialogo ancora più profondo, per chiarire eventuali difficoltà che possono essere sorte tra noi e rimetterci nella luce di una fiducia reciproca senza alcuna ombra.

Sin dall’inizio abbiamo capito che sarebbe stato inutile pretendere di avvicinare le folle. Abbiamo puntato su un piccolo gruppo di persone disposte a formare un’autentica comunità, dove si sperimentasse la presenza del Cristo come nelle prime comunità cristiane.

L’atmosfera della comunità

Il clima d’armonia che siamo riusciti a creare tra noi due ha attirato altre persone. Nelle celebrazioni liturgiche, nei piccoli gruppi di catechesi per bambini e per adulti e in ogni altro tipo di incontro abbiamo spiegato che il motivo vero del trovarci insieme è l’amore fraterno, è creare un clima di accoglienza dell’altro, del servizio, vedendo in ognuno la presenza del Cristo. Questa verità fondamentale del vangelo è stata capita e subito messa in pratica. Chi veniva una volta tra noi, spesso non solo tornava ma portava altri.

Col tempo la comunità è cresciuta, ma questo primo pilastro è rimasto sempre in piedi. Anche quando organizziamo delle feste o gite, lo scopo è sempre l’amore fraterno per poter godere della presenza del Cristo in mezzo a noi.

È stato normale ad un certo momento sentire che era maturo il tempo per costituire una parrocchia e costruire una chiesa: l’abbiamo chiamata «Parrocchia della Santissima Trinità», perché vorremmo vivere «alla Trinità» ed offrire al nostro quartiere la possibilità di sperimentare Dio presente tra noi.

La Parola

Il secondo pilastro della nostra pastorale è la Parola di Dio, prima vissuta da noi, poi donata per essere vissuta da molti e infine ci ritorna incarnata nelle esperienze che mettiamo in comune raccontandocele. È una dinamica molto impegnativa per noi sacerdoti, perché per predicare il vangelo, dobbiamo prima farlo divenire vita della nostra vita. È anche una dinamica molto fruttuosa, perché è un linguaggio che tutti capiscono e molti si sentono spinti a fare altrettanto.

Abbiamo approfittato di una consuetudine molto radicata da noi: quella di fare gli esercizi spirituali durante i tempi forti dell’anno liturgico come l’avvento e la quaresima.

Una volta ci troviamo fuori città per cinque giorni interi con quegli adulti e giovani che ormai sono i perni della comunità. Con loro si può andare in profondità in quella spiritualità collettiva così rispondente alle esigenze attuali. Con gli altri della grande comunità ne facciamo tre per i giovani e tre per gli adulti. Qui i perni sono particolarmente preziosi, perché si mettono a servizio degli altri e creano quell’ambiente di comunione fraterna che permette alla Parola di entrare nei cuori. Gli esercizi, infatti, come dice il loro nome, non sono più una serie di predicazioni ma un’esperienza concreta di vangelo vissuto, un allenamento per continuare in casa e nel lavoro la stessa vita di donazione fraterna vissuta durante quei giorni di raccoglimento.

Il contenuto dei nostri esercizi è costituito dai principi fondamentali della vita cristiana, così come vengono presentati nella spiritualità dell’unità. Abbiamo sperimentato anche il vantaggio che, donando un punto alla volta, per es. Dio amore, le persone colgono da quella determinata angolatura l’essenza del cristianesimo ed hanno subito la luce necessaria per viverlo.

Concretamente seguiamo questo metodo: la sera precedente trattiamo un tema che riassumiamo con una frase chiave della Scrittura, una Parola da vivere durante tutto il giorno, applicandola alle varie circostanze e sperimentandone gli effetti. La sera seguente ci si ritrova per mettere in comune le esperienze vissute e approfondire un altro tema con la stessa tecnica.

Questo metodo si è rivelato fecondo, perché non è comune nell’evengelizzazione pensare che la Parola di Dio possa illuminare in maniera così concreta i fatti del giorno, modificando radicalmente i rapporti umani. Tanti, sia giovani che adulti, dopo aver sperimentato questo stile di vita, hanno sentito il bisogno di legarsi più strettamente tra di loro, dando vita alla comunità cristiana, dove tutti, anche noi sacerdoti ovviamente, ci mettiamo alla scuola della Parola.

Naturalmente abbiamo applicato questo metodo anche alla catechesi dei bambini, dei giovani e degli adulti. Ogni incontro ha una parte espositiva di una verità della fede che si conclude con l’impegno di incarnarla, guidati da una corrispondente Parola della Scrittura. Quando nel seguente incontro catechetico ci si comunicano le esperienze vissute, si approfondisce anche la conoscenza della fede, perché se ne scopre la fecondità nell’applicazione nei diversi ambienti in cui ciascuno è chiamato a vivere.

È interessante notare il ruolo che la Parola ha avuto nella conversione degli adulti: essi hanno riscoperto la fede non più come un elenco di dottrine avulse dalla vita, ma come una luce che dall’alto illumina e guida l’esistenza, dandole il vero significato, riempiendola di gioia e trasformando la realtà attorno a sé nella famiglia e nella società.

Abbiamo oggi 17 catechiste che vivono così e ognuna di loro si prende cura di uno o due gruppi di ragazzi, per i quali il catechismo diventa un’interessante avventura di convivenza con Gesù.

Ci sono poi una quarantina di giovani, gruppi di adulti ed intere famiglie che cominciano la giornata pregando e ricordandosi a vicenda la Parola di vita che la comunità si è impegnata a vivere in quel periodo.

Questo sta creando nella nostra comunità l’abitudine di mettere in comune spontaneamente le esperienze, viste come frutto della potenza creatrice del vangelo quando viene accolto e vissuto non solo individualmente ma anche comunitariamente.

Nel nuovo clima di libertà che abbiamo ora, dopo tanti anni di vita nascosta, cerchiamo di approfittare di tutti i mezzi a nostra disposizione per crescere in questa vita. Così molti hanno frequentato le Mariapoli (incontri di diversi giorni, promossi dal Movimento dei focolari) ed hanno visitato in due pullman la cittadella di Loppiano. Vedere bozzetti di società con tutte le vocazioni e le età che si lasciano guidare dalla sola legge del vangelo è stato per loro un forte incoraggiamento a portare questa stessa vita nella nostra parrocchia.

La comunione

Il terzo pilastro della nostra pastorale è cercare di vivere la comunione in tutti i campi. Abbiamo iniziato riunendo le persone toccate dalla Parola di Dio ed abbiamo mostrato le necessità concrete della comunità nascente. Spontaneamente tanti si sono sentiti responsabili per vari compiti, e hanno dato vita a gruppi di lavoro con uno stile nuovo: non sono dei leaders che trascinano gli altri, ma persone che vedono insieme come agire per poi fare una revisione accurata delle attività svolte.

Attualmente ci sono gruppi che lavorano nel campo assistenziale e in quello liturgico; altri che curano l’armonia dei nostri ambienti e lo sport, soprattutto per i giovani; altri ancora che si sono impegnati più specificamente nell’evangelizzazione o nella cultura; ed altri infine che mantengono i contatti non solo con gli abitanti della nostra parrocchia, ma anche oltre i confini della nostra patria.

Ci è capitato infatti che alcuni sacerdoti dell’Europa occidentale, nostri amici, quando hanno conosciuto la nostra esperienza, sono venuti a trovarci con alcuni loro parrocchiani. Sono nati allora rapporti molto belli tra noi e gruppi di tedeschi, italiani, austriaci, jugoslavi, romeni e, naturalmente, anche ungheresi.

Tanti di questi, riconoscenti per la freschezza di vita evangelica trovata tra noi e vedendo le nostre necessità materiali, hanno voluto aiutarci economicamente nei nostri bisogni più immediati. È nata così una gara d’amore che ci ricordava quanto era avvenuto tra la comunità di Gerusalemme e le prime comunità cristiane del mondo greco-romano ad opera soprattutto dell’apostolo Paolo.

Le conversioni

Il fatto però più importante che si sta verificando è quello delle conversioni. Ce ne sono tante, provenienti dai più svariati ambienti: dall’ateismo, dall’indifferentismo e anche da forme religiose non genuine.

Ci sono genitori prima indifferenti, che hanno riscoperto la fede attraverso i loro bambini, e giovani che vogliono conoscere la comunità per il cambiamento radicale notato nei loro genitori. Lo stesso avviene tra colleghi di lavoro o compagni di scuola. Il vangelo vissuto ha un’attrattiva particolare che poi viene non solo confermata, ma addirittura moltiplicata quando vengono a conoscere la comunità, perché qui sperimentano la presenza del Risorto. È per questo motivo, crediamo, che i membri della nostra comunità in questi pochi anni da un centinaio sono passati a circa 800 e quelli che frequentano regolarmente la catechesi da 80 a 350.

Sono venuti da noi anche membri di altre chiese cristiane e perfino ebrei ed un musulmano, attratti dalla vita di parenti o conoscenti. Alcuni, che non avevano avuto veri legami con le loro chiese, sono diventati cattolici; altri invece hanno ritrovato la comunione con le loro comunità, ma vogliono conservare il contatto con i nostri gruppi perché si sentono sostenuti nella fede. Il musulmano, che accompagna sua moglie alla messa, dice: «Io non ho in questo quartiere una moschea, ma in mezzo a voi sento la presenza di Dio, posso pregare e mi sento più vicino alla mia fede musulmana».

La posa della prima pietra

Nel 1991 abbiamo preparato una festa per mettere la prima pietra della chiesa parrocchiale. Prima della cerimonia, alla presenza del vescovo, del presidente della Repubblica e di tanta gente, abbiamo raccontato un po’ la storia della nostra comunità. Molti erano commossi. Uno dei poliziotti, presente per il servizio d’ordine, ha detto: «Non sono credente, ma come vorrei far parte del vostro gruppo!». Molti che si professano atei sono venuti a ripeterci espressioni simili.

Così si è espresso il presidente della Repubblica: «Sono commosso. Ero venuto per mettere la prima pietra di una chiesa ed ho trovato una chiesa viva, perché voi non parlate di cristianesimo, ma lo vivete... Sono convinto che questo amore che sperimento tra voi rinnoverà tutto il quartiere». Il mattino seguente poi, lo stesso presidente, rispondendo nella radio nazionale ad una domanda sulla povertà e sulle difficoltà finanziarie del nostro Paese, ha detto: «Purtroppo la situazione economica non migliorerà in Ungheria nei prossimi anni, ma ieri sono stato a Kaposztásmegyer in una comunità cattolica e vorrei dire che se il popolo ungherese imparasse a vivere come questa comunità – e raccontava qualche esperienza sulla comunione dei beni attuata da noi – tanti nostri problemi sarebbero più facilmente risolti. La sola esistenza di simili comunità mi dà speranza».

Il vescovo terminava commosso il suo discorso citando uno scritto di Chiara Lubich: «Immagino una città d’oro dove il divino è in rilievo splendente di luce, e l’umano fa da sfondo...».

E concludeva: «Mi sembra che qui questa città sognata comincia già ad esistere...».

Le difficoltà non mancano mai

Sono sei anni che ci troviamo in questo quartiere ed abbiamo passato anche giorni difficili. C’è stata la sostituzione di uno dei sacerdoti. Avrebbe il nuovo arrivato accettato di lavorare in questo stile di comunione? Ma egli con spontaneità ha fatto sua la legge che prima di tutto vale la testimonianza del mutuo amore tra noi.

Anche in seno alla comunità, dopo il primo periodo di luce, sono nate diverse tensioni tra persone e gruppi. È stato il momento del dolore ed anche dell’approfondimento del mistero della croce, del dare la vita gli uni per gli altri. Così la comunità nel suo insieme si è consolidata e la presenza del Risorto ha messo radici più profonde.

All’inizio il vescovo ci aveva affidato il compito di costruire la chiesa e il complesso parrocchiale. Era umanamente assurdo pensare una cosa simile in un luogo senza soldi e senza cristiani. Oggi la chiesa e il centro sono pronti, ma soprattutto sono strapieni di persone, perché prima ancora del tempio materiale Dio ci ha fatto partecipare, quasi attoniti, alla nascita della sua chiesa viva.

I numerosi gruppi che vengono a visitarci, vedendo la gioia e l’armonia che regna tra noi, ce ne domandano il segreto. Rispondiamo che dipende dalla presenza del Cristo in mezzo a noi, ma aggiungiamo anche che questa si verifica quando, accettando le disunità, le debolezze, gli sbagli di ognuno, cerchiamo di andare oltre, trasformando il dolore in amore. Perché Gesù risorto è passato attraverso la morte per giungere alla risurrezione.

Ferenc Tomka