Intervista a Pasquale Foresi

 

La novità della
spiritualità collettiva

A cura della redazione

 

Quest’anno in cui Chiara Lubich ha cominciato un nuovo approfondimento della «spiritualità collettiva» tipica del Movimento dei focolari, presentiamo alcuni concetti di don P. Foresi raccolti in forma d’intervista. In modo sintetico e con l’immediatezza del linguaggio parlato, offrono interessanti puntualizzazioni per meglio cogliere, nella continuità con quanto di positivo c’è stato nel passato, l’originalità e l’apporto specifico di un carisma del nostro tempo.

Cos’è un carisma?

GEN’S: In questi ultimi decenni è stata sviluppata la teologia dei carismi nelle varie chiese cristiane ed è molto forte l’esigenza della loro valorizzazione e promozione. In termini semplici, come descrivere un carisma, quali sono le sue caratteristiche fondamentali?

P. FORESI: Nell’Antico Testamento si annuncia che nei tempi messianici tutti avranno la capacità di profetizzare perché riceveranno lo Spirito di Dio (vedi Gl 3, 1-5, ripreso in Atti 2, 17-18). Come sappiamo, «profetizzare» nel giudeo-cristianesimo vuol dire molte cose: preannunciare il futuro, incoraggiare, interpretare il significato degli avvenimenti, ma soprattutto fare tutto ciò a nome di Dio, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo.

Gesù promise poi l’invio dello Spirito sui discepoli, e se ne avvertirono i doni già dai primi momenti della chiesa (ricordare il fatto, nella Pentecoste, del discorso di Pietro, che «ognuno capiva nella propria lingua»). Oltre all’assistenza particolare dello Spirito che Gesù aveva promesso agli Apostoli, altri carismi sarebbero stati dati a uomini e donne indistintamente. Infatti Paolo dà per scontato che le donne profetizzino (1 Cor 11, 5), e negli Atti degli Apostoli si parla delle quattro figlie di Filippo «che avevano il dono della profezia» (21, 9). Lungo tutto il corso dei secoli questi carismi si sono rinnovati nella comunità cristiana.

In modo molto sintetico, si può dire che i carismi sono doni dello Spirito Santo per il bene della comunità: «a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune» (1 Cor 12, 7). Un’altra caratteristica importante è che essi sono dati da Dio per rispondere alle necessità particolari di ogni epoca.

Carismi dei primi secoli

GEN’S: Facciamo qualche esempio...

P. FORESI: Si possono prendere in considerazione alcuni grandi carismi sorti nelle epoche e circostanze storiche più diverse, e si avverte senza forzature che quelle caratteristiche sono sempre presenti.

Nei primi secoli, ad esempio, abbiamo gli eremiti, quei cristiani che andavano a vivere da soli «nel deserto», cioè fuori dalle città. Perché lo facevano? Tutti sappiamo che Costantino con il cosiddetto editto di Milano concesse la libertà di vivere il cristianesimo, ma posteriormente, nel 380, Teodosio proclama il cattolicesimo religione di stato. Lui lo faceva con una finalità politica, per rafforzare l’unità dell’Impero romano, e per il cristianesimo risultò negativo, giacché tanti diventavano cristiani per convenienza, affievolendo nelle comunità il fervore evangelico dei primi tempi. Di fronte ad un tale inquinamento, gli eremiti, per vivere il vangelo in modo più puro, andavano a vivere isolati. Non fu soltanto una ricerca personale di maggiore perfezione, ma costituì una scossa positiva per la chiesa del tempo e contribuì a salvare certi valori del vangelo, mettendo al primo posto Dio e non i beni materiali.

Dopo un po’ gli eremiti si accorsero che vivere da soli non era sufficiente, che ci doveva essere una certa comunione almeno fra loro, e allora venne in luce la figura di un padre spirituale che potesse aiutarli e al quale professavano ubbidienza. Fu chiamato abbas, cioè «padre». Questa è la prima forma di carisma con una certa vita comunitaria che si andò formando in senso genuinamente cristiano nei primi secoli del cristianesimo. Ebbe un tale seguito che in Egitto si parla di piccoli raggruppamenti che avrebbero raggiunto fino a 7.000 eremiti.

Più tardi verso il IV secolo nascerà il monachesimo con san Basilio in Oriente e nel VI con san Benedetto in Occidente. I monaci non vivevano più isolati, ma insieme. Anche qui il carisma aveva un aspetto comunitario, però si continuava a mettere in evidenza soprattutto l’aspetto dell’unione personale con Dio. Come si sa, i monasteri hanno avuto un influsso enorme, non solo spirituale ma anche culturale e persino economico, nella civiltà agricola della loro epoca.

Un altro grande carisma noto a tutti è quello degli ordini mendicanti, nel secolo XII. San Francesco non concepisce i suoi «frati» chiusi in un monastero, ma inviati nel mondo a portare dovunque la Parola di Dio con l’esempio e la predicazione. Inoltre, di fronte allo sviluppo del commercio, che aveva suscitato una ricerca smodata della ricchezza in contrasto con la miseria delle masse, Francesco sceglie per sé e per i suoi di mettersi con i poveri.

Fu una vera testimonianza profetica che portò un soffio di rinnovamento nella chiesa. Mentre i monaci facevano personalmente il voto di povertà pur essendo le loro abbazie ricche, Francesco porta un rinnovamento perché vuole la povertà non solo personale ma anche della comunità. Gli stessi domenicani sono «mendicanti», diventano cioè poveri, perché ritengono impossibile predicare il vangelo se non si è poveri come gli Apostoli.

Da allora, quali più quali meno, tutte le famiglie religiose risentirono di questa ondata ed ebbero un notevole influsso anche nella società: basti pensare, ad esempio, alle banche fondate da religiosi, per evitare che i poveri cadessero nelle mani degli usurai.

Nell’epoca moderna

Se facciamo ancora un altro salto e andiamo al periodo del Concilio di Trento, incontriamo tutta una fioritura di ordini religiosi. Tipico di questo tempo è il carisma dei gesuiti. Anche in essi c’è il momento comunitario ma è sottolineata fortemente la personalità dell’individuo, tant’è vero che possono vivere anche fuori convento, da soli.

È l’epoca in cui nascono le grandi monarchie europee e la borghesia concentra il potere nelle sue mani, così che prende il posto della nobiltà feudale. Oltre agli aspetti innovatori e alle esperienze tanto belle che i gesuiti hanno portato avanti nelle missioni, essi hanno avuto come loro finalità formare i dirigenti della società del tempo. A tale scopo hanno fatto nascere i collegi, i quali erano una novità poiché non esistevano le scuole statali. Quest’aspetto educativo è stato portato avanti anche da altre congregazioni nate in quel periodo, come i Barnabiti e gli Scolopi.

Assieme a loro sono nati, tra l’altro, gli ordini caritativi-ospedalieri, i quali hanno fondato i manicomi e gli ospedali, che praticamente non esistevano ancora.

Un altro periodo fu quello degli ordini di carattere più spiccatamente sociale. Per esempio Don Bosco, nell’Ottocento, fece un’opera meravigliosa con i giovani figli del sottoproletariato, i quali con l’industrializzazione erano sfruttati e poi emarginati ed abbandonati dalla società liberale del tempo.

I salesiani sono stati di un’utilità grandissima sia alla chiesa (basti pensare quanti vescovi e sacerdoti hanno dato, e le migliaia e migliaia di famiglie che, grazie a loro,  hanno testimoniato il cristianesimo nel mondo), sia alla società civile, poiché con le loro scuole professionali hanno preceduto di cento anni quelle istituzioni educative che poi sarebbero state sviluppate anche da parte dello stato.

Il carisma dell’unità

GEN’S: Veniamo adesso alla nostra epoca: cosa porta di nuovo la spiritualità dell’unità?

P. FORESI: Ciò che è caratteristico è appunto l’aspetto comunitario, vissuto non come un elemento – pur importante – fra i tanti, ma come centro della vita cristiana, da dove si acquista una nuova prospettiva per vedere tutto il resto. Fra le varie presenze di Cristo menzionate nel vangelo, si riscopre la grandezza e importanza di quella promessa che si verifica nella comunità riunita nel suo nome (Mt 18, 20), con i suoi effetti tipici.

Ciò significa allora che i carismi precedenti non hanno avuto il Risorto presente nella comunità? Certamente l’hanno avuto, anche quando non era particolarmente sottolineato. L’aspetto di comunione c’è sempre stato, sarebbe ingiusto negarlo e segno di poca conoscenza della vita della chiesa. L’Opera nata dal carisma di Chiara Lubich non è avulsa da quanto l’ha preceduta, ma è frutto di tutti questi 20 secoli.

Allo stesso tempo, anche questo, come ogni autentico carisma, porta delle vere e proprie novità.

Una diversità potrebbe essere che mentre prima l’aspetto comunitario era orientato a valorizzare l’aspetto individuale, adesso la vita individuale è importante tanto quanto la vita comunitaria. C’è una sorta di «pericoresi», una mutua e inscindibile implicanza fra queste due dimensioni.

Non si trascura con ciò la vita personale. Anzi, la centralità della «spiritualità collettiva» potenzia la nostra vita individuale: l’esperienza ci mostra che, per quella legge tipica della dinamica trinitaria, la vita di comunione costituisce l’humus nel quale si sviluppano le varie personalità armonizzate fra di loro.

Si potrebbe mostrare in moltissimi modi quanto ciò sia consono alla chiesa e al mondo del nostro tempo, dove la vita collettiva sta avendo un’incidenza enorme. Si può capire perciò come Dio abbia voluto essere presente nel travaglio dell’umanità attuale, mandando un carisma che risponde in modo specifico proprio a quella caratteristica.

La cosa interessante delle persone carismatiche, com’è il caso di Chiara, è che esse non si mettono a tavolino a pensare in che modo vivere il cristianesimo per adattarlo alle necessità della loro epoca. Chiara con le sue prime compagne e con tutti coloro che l’hanno seguita, ha sentito molto importante il vivere tutto il vangelo, ha scoperto vitalmente e sotto una nuova luce l’importanza di Gesù in mezzo e l’unità come il fulcro del vangelo, ha trovato nell’abbandono di Gesù rivissuto anche nella nostra vita la fonte e la chiave per poter realizzare l’unità... È in seguito che ha avvertito come tutto ciò costituisca un grandissimo apporto, profondamente innovatore, in tutti gli ambiti del mondo attuale: a livello sociale, nella ricerca ecumenica, nel rapporto fra le religioni, ecc.

Quale rinnovamento?

GEN’S: In questo contesto, come si potrebbe descrivere sinteticamente il tipo di rinnovamento che portano i grandi carismi che nascono nella chiesa?

P. FORESI: Portano normalmente delle novità all’interno dell’opera che nasce da quel carisma, nella vita e nelle strutture ecclesiali, nel nuovo modo di comportarsi anche socialmente da parte dei loro membri e, inoltre, a livello sociale (politico, economico, educativo, e via dicendo). Bisogna analizzare l’influsso dei carismi sotto tutte queste angolazioni per capirne la loro importanza.

Però un carisma non ha soltanto questi effetti. Prima di tutto porta una trasformazione nelle persone aiutandole a crescere nell’amore di Dio, nell’unione con lui. Altrimenti cadremmo in un materialismo, riducendo l’importanza del cristianesimo alla sua funzionalità umana e sociale, mentre i carismi provengono da Dio e portano a Dio. Tutto il resto che apportano di positivo è una conseguenza.

Un carisma del nostro tempo

GEN’S: Potremmo accennare come tutto ciò si realizza nel Movimento dei focolari?

P. FORESI: Ci vorrebbe molto più spazio per farlo, ma possiamo menzionare qualche aspetto.

Per ciò che riguarda l’ultima caratteristica di cui abbiamo parlato, si trova in Chiara e nella vita del Movimento un profondo incontro con Dio, una grande presenza del divino. Questa è una realtà provvidenziale per il nostro tempo, dal momento che – come hanno segnalato gli ultimi papi e tanti altri – sul mondo d’oggi si estende una vasta «notte» della fede. La visione del cristianesimo presentata fino adesso, per tantissimi dei nostri contemporanei non basta più. Si tratta di un fenomeno tipico delle grandi svolte epocali. Perciò il fatto che, a partire dall’esperienza di Chiara e quindi del Movimento, ci sia un approfondimento delle realtà divine che risponda alle più profonde esigenze dell’umanità di oggi, è un contributo importante ed essenziale.

Se guardiamo poi alla struttura interna del Movimento, vi troviamo delle novità. Per esempio, esso è stato approvato dalla chiesa cattolica, pur avendo in sé come parte integrante non soltanto cristiani non cattolici, ma anche fedeli di altre religioni e persone di convinzioni non religiose. È storicamente comprensibile che la chiesa lo abbia fatto con cautela, utilizzando termini che esprimono queste nuove realtà col linguaggio delle acquisizioni giuridiche e teologiche raggiunte fino adesso; ma lo ha fatto anche con grande apertura, in sintonia con le migliori intuizioni ed istanze del Concilio Vaticano II.

Inseriti nella storia

Se guardassimo gli aspetti sociali, bisognerebbe dire tante cose, non soltanto sull’esperienza di unità trinitaria del Movimento, che porta fondamentali ispirazioni per la vita sociale, ma anche sulla sua laicità, sulla promozione della donna, sulla sua universalità, e altri aspetti ancora, ricchi di spunti per il mondo contemporaneo.

Menzioniamo soltanto l’aspetto economico. Una pratica che è iniziata fin dalla nascita del Movimento è stata la comunione dei beni, non solo tra le persone consacrate ma anche fra tutti coloro che ne facevano parte. Non si obbliga nessuno, ma coloro che colgono la novità della vita evangelica che questo carisma porta, lo fanno spontaneamente: sarebbe un controsenso che dei suoi membri, vergini o sposati, sacerdoti o laici, giovani o adulti, fossero attaccati ai loro beni e non li mettessero in comune, ognuno secondo le possibilità del proprio stato e della specifica vocazione.

Per questo quando si parla della necessità di cambiamenti radicali nell’economia del mondo, non solo non ci si spaventa, ma cerchiamo di esserne protagonisti cominciando dalla nostra stessa vita. Senza una reale uguaglianza economica non ci può essere una reale fraternità spirituale. Una conseguenza di ciò è stato il fatto di impegnarci concretamente nel realizzare ciò che si narra della prima comunità cristiana: «nessuno tra loro era bisognoso» (Atti 4, 34). L’esperienza della comunione dei beni vogliamo trasferirla inoltre, com’è possibile, anche sul piano sociale. Ma questo lo possono fare soltanto delle persone che hanno sperimentato la bellezza e l’importanza di quella comunione.

Una conseguenza di ciò è stata, ultimamente, la proposta di Chiara di un’«economia di comunione», con iniziative che si moltiplicano in tutto il mondo. Ne abbiamo già parlato in queste pagine1 e si continua a parlarne in tante altre pubblicazioni.

L’esperienza di ogni carisma – quindi anche del carisma dell’unità – non rigetta niente di quanto di autenticamente umano c’è nella storia dell’umanità, anzi lo valorizza e lo divinizza, come hanno fatto i primi cristiani, trasformandolo con la perenne novità rivoluzionaria del vangelo. Pensiamo che Dio abbia mandato il carisma dell’unità nel nostro tempo, per contribuire a realizzare ciò che la lettera a Diogneto diceva dei primi cristiani: che essi erano «l’anima del mondo». Anche oggi Gesù in mezzo alla comunità è l’anima del mondo.

A cura della redazione

 

1)   Cf l’intervista allo stesso P. Foresi, Per un’economia di comunione, in Gen’s 6 (1991), pp. 197-200.