Flash di vita

 

 

Evangelizzare
nella gioia

Gli studi di esegesi biblica mi hanno dato tante conoscenze sulla Parola di Dio, ma è stata la testimonianza di persone molto umili a farmela scoprire come Parola di vita, raccontandomi episodi piccoli, semplici, ma così veri da non potervi opporre resistenza. Mi impressionava la loro convinzione che il vangelo ci è stato donato per essere messo in pratica, parola per parola, nelle circostanze ordinarie della vita.

Così quella mamma che, con toni lusinghieri, mi raccontava il cambiamento inatteso di suo figlio: era diventato un bravo ragazzo e non era più il prepotente di prima che metteva a soqquadro la casa. Era davvero orgogliosa di questo figlio, che un giorno però le disse: «Vedi, mamma, se sono cambiato non è perché ho voluto diventare un giovane educato, ma solo perché me lo dice il vangelo: Gesù mi ha insegnato ad amare tutti, cominciando dalla nostra famiglia».

Così pure una ragazza che, al termine del lavoro, presentando al capufficio alcuni fogli dattiloscritti, è stata da questi ingiuriata e umiliata con parole irriguardose per alcuni errori commessi. Tornata alla scrivania per rifare le pagine, con tanto dolore nel cuore, le è venuta in mente una frase del vangelo: «Qualunque cosa avete fatto al più piccolo, l’avete fatta a me»; e si è chiesta: «Ma qui chi è il più piccolo? Sì il più piccolo è il mio capo ufficio, perché non ha pace». Con questo atteggiamento ha rifatto lo scritto: le importava solo amare, andando al di là di quell’umiliazione. Terminato il lavoro ha presentato il foglio, dicendo che era pronta a riscriverlo di nuovo se necessario. Il capo ufficio, stupito e impacciato per la serenità della ragazza, le ha risposto: «Va bene, va bene; ora puoi andare. Grazie!».

Questi e tanti altri piccoli e semplici episodi hanno fatto decidere anche me a tentare di porre in pratica il vangelo nella vita di tutti i giorni.

La prima cosa che ho provato è stato un rapporto nuovo con Dio. Egli era più presente nella mia mente e potevo finalmente dire che era al primo posto, e tutto il resto ne veniva di conseguenza. Così ogni cosa si ridimensionava, molti attaccamenti perdevano la loro attrattiva, tante cose vane non mi attiravano più; un equilibrio nuovo nasceva dentro di me e la sapienza evangelica ordinava la mia giornata.

Un giorno mentre andavo a celebrare la messa e avevo la mente tutta in subbuglio per le molte cose da fare – e questo mi porta sempre una certa agitazione e una fretta confusionaria – davanti al silenzio e alla tranquillità della natura intorno a me, mi sono fermato come di scatto e mi son detto: «Ma io assomiglio veramente a un pazzo che si agita!»; e mi è risuonata forte nella memoria la parola del vangelo: «Marta, Marta, tu ti preoccupi di tante cose, ma una sola cosa è necessaria!». Mi sono subito ripreso e ho iniziato a fare con calma una cosa alla volta, senza correre e soprattutto a mettere in primo piano il rapporto con ogni persona che incontravo.

Spesso noto che la gente si accorge subito se sono sereno o meno. Varie volte mi è capitato, uscendo da qualche casa, sentirmi dire: «Quando si parla con lei, si rimane più leggeri, come se ci portasse via le nostre preoccupazioni».

Nel Movimento dei focolari chi vuole chiede a Chiara Lubich, la fondatrice, una Parola di vita, cioè una frase della Scrittura che diventa luce a cui ispirarsi nel proprio agire. L’ho fatto anch’io e mi è stata data questa: «Dio ama chi dà con gioia» (2 Cor 9, 7). Ho sentito subito che effettivamente questa doveva essere la parola guida della mia vita. Mi era anche molto confacente, in quanto il mio carattere è portato all’entusiasmo, ma nello stesso tempo mi chiedeva di non lasciarmi guidare dall’emotività, di aprirmi alla vera gioia, che è molto più esigente. E poi capivo che non era sufficiente essere generoso, disponibile sempre: esigeva il «dare» sempre nella gioia, senza ombre di preoccupazioni, di tensioni e di attaccamenti. Questo sia nell’ordinaria vita quotidiana, che nei momenti più importanti.

Due anni fa mi è morto un fratello ancora in giovane età e ho cercato di vivere nella fede quell’avvenimento. Sono stato molto aiutato in questo da alcuni amici sacerdoti. Uno mi diceva: «Vivi bene questo momento»; un altro: «Offri a Dio questo dolore, perché diventi fecondo anche per gli altri»; e ancora: «Questo è un momento di Dio: vivilo nella sua volontà». Alla messa ho comunicato quello che avevo in cuore, dicendo quello che Dio aveva realizzato nel mio fratello durante la lunga malattia e quanto questo aveva illuminato e unito la mia famiglia. Al termine della messa il vicario generale mi ha ringraziato per la testimonianza che avevo dato: «La tua serenità è stata la vera predica».

Nella vita di tutti i giorni mi ripeto spesso la Parola di vita, cerco di lasciarmi guidare, e mi rimetto in essa quando mi accorgo che le cose mi prendono la mano e mi trascinano alla fretta.

Appena prima di Pasqua, stavo con un giovane albanese, che lavora come muratore nella mia parrocchia. Approfitto spesso, quando viene nel negozio vicino casa a far la spesa, per scambiare con lui due parole, affinché non si senta solo, lontano dalla sua patria. Quel giorno gli chiedevo notizie sulla sua famiglia e gli facevo gli auguri pasquali. Una persona mi ha avvertito: «Ma guarda che lui è musulmano!». «Bene! Allora gli facciamo gli auguri di essere un buon musulmano, come noi ci dobbiamo sforzare di essere dei buoni cristiani».

Rimasti soli, il giovane mi confida: «Vorrei che tu mi parlassi un po’ di Gesù. Lo chiedo a te, perché fin da quando ti ho conosciuto, sono rimasto ben impressionato; ti vedo sempre contento! Nessuno mi ha mai insegnato la gioia. Anche quando prego mi ritrovo col volto scuro e triste. Vorrei che tu mi aiutassi a trovare la strada della gioia».

Io sento che è stata la Parola di vita, il vangelo vissuto, a darmi questa gioia e a farmi cercare un rapporto nuovo con le persone. Il vangelo mi ha aperto anche all’unità con i sacerdoti, a curare l’amicizia e la fraternità con loro. Ho fatto delle piccole cose, mai fatte prima: una sera, ad esempio, telefono al sacerdote della parrocchia vicina per gli auguri di buon compleanno. Mi dice che non era mai successo che un prete si fosse ricordato del suo anniversario e il sabato seguente viene a trovarmi, «perché – questo il suo commento – l’amicizia vera bisogna coltivarla».

Per otto mesi è rimasto nella mia casa un sacerdote ammalato. Sono stati mesi di condivisione, nel semplice far famiglia tra di noi. Quand’era in seminario un professore gli aveva detto: «Non illuderti troppo. Nel momento del bisogno non troverai un prete che ti darà una mano». E concludeva: «Non volli credere a quel professore e feci bene, perché ora constato che ci sono ancora dei preti con i quali sentirsi in famiglia. Nel momento del bisogno, una casa io l’ho trovata».

Vedo sempre con maggior chiarezza che non occorre necessariamente fare grandi cose nell’attività pastorale per far penetrare il vangelo nel cuore delle persone: l’importante è sforzarsi di mettere in pratica sempre con semplicità e concretezza quell’amore che è il cuore stesso del messaggio evangelico.

G. Q.

 

 

La fantasia
mossa dall’amore

Novoli è una simpatica cittadina del sud Italia in provincia di Lecce con circa novemila abitanti. Vi sono due parrocchie e in una di queste si sta verificando tra i giovani un fatto interessante.

«Una decina di anni fa – racconta il parroco don Gerardo – dopo aver conosciuto la spiritualità dell’unità insieme ad alcuni parrocchiani, abbiamo cominciato a viverla e sono sorti tra noi rapporti nuovi. Questo stile di vita, basato sul vangelo vissuto comunitariamente, ha fatto crescere il numero di coloro che sentono la gioia di assumersi lo stesso impegno. Oggi siamo circa cinquanta tra adulti, giovani e ragazzi di ambo i sessi: una piccola comunità cristiana molto viva, in seno alla quale sono fiorite anche vocazioni alla vita consacrata».

Questo gruppo consistente di cristiani impegnati, non volendo chiudersi in se stesso e neanche occuparsi solo del 20% delle persone che vanno in chiesa la domenica, ha tentato ogni mezzo per avvicinare soprattutto i giovani indifferenti alla pratica religiosa.

Per prima cosa hanno messo in piedi una cooperativa di lavoro per venire incontro ai disoccupati ma poi, di fronte a risultati non molto soddisfacenti, hanno cercato di ascoltare più direttamente i giovani per rispondere alle loro esigenze. È nata così l’idea del campus.

Il campus, che quest’anno è alla sua ottava edizione, consiste in una settimana di convivenza tra giovani che ha luogo  verso la fine di giugno, prima che le famiglie vadano in vacanza. All’inizio, su richiesta dei giovani stessi, era un semplice incontro tra amici con momenti di dibattito su temi particolarmente sentiti, ma la partecipazione era scarsa. «Ancora non avevamo imbroccata la strada giusta – interviene Fabio, uno degli animatori – perché tanti giovani dicono di voler discutere problematiche, ma in fondo hanno un grande bisogno di comunione».

Hanno allora organizzato delle gare, avendo l’accortezza di mettere in ogni squadra uno o due giovani già con una certa esperienza nel creare rapporti armoniosi. Alla fine della settimana il campus si conclude con uno spettacolo, nel quale ogni squadra evidenzia attraverso mimi, canti, danze, scenette un argomento di particolare attualità e di interesse generale.

La cosa non solo è piaciuta, ma ha avuto ogni anno un buon successo, «soprattutto perché – continua Luana, che vi è dentro fino ai capelli – durante la preparazione si sono stabiliti dei rapporti profondi con tanti giovani, che hanno voluto conoscere il vero motivo della nostra gioia e del nostro impegno ed ora condividono il nostro stesso ideale di un mondo unito»

L’anno scorso quasi tutti i 1500 giovani della cittadina sono stati coinvolti in questa esperienza. Durante lo spettacolo finale il sindaco, osservando un giovane a lui ben noto perché con problemi di disadattamento recitare con disinvoltura, ha detto commosso: «Sono contento di vederlo integrato con gli altri. Non so come ringraziarvi per quest’opera di socializzazione che state facendo nel nostro comune. Peccato che il campus duri una sola settimana!».

La comunità ha preso sul serio questa osservazione del sindaco pensando di fare qualcosa che duri tutto l’anno. Appena fuori del paese c’è un caseggiato di 3000 metri quadri su un terreno di tre ettari. Il complesso era stato costruito da un sacerdote e affidato ad alcune suore, ma dopo alcuni anni era stato chiuso. Per sei anni era ormai in balia dei vandali ed era divenuto un rifugio per drogati.

«Prenderlo significava impegnarsi in uno sforzo economico non indifferente e la comunità parrocchiale – osserva don Gerardo – non aveva i mezzi per una simile impresa; ma dopo esserci consultati, abbiamo concluso che per il bene dei giovani valeva la pena lanciarci nell’avventura fidandoci della Provvidenza».

In un anno sono accaduti fatti umanamente imprevedibili. Sebbene la parrocchia sia piccola, ogni mese è riuscita a coprire le uscite ed ha già speso 550 milioni di lire. Si sono costruiti campi da tennis, da calcetto, da pallavolo, pallacanestro; messo su un bar, restaurato sale per incontri e abbellito spazi verdi.

«Noi giovani più impegnati – commenta Luana – cerchiamo di essere l’anima di questa struttura in modo che tutti gli altri trovino qui un luogo di aggregazione dove respirare un’aria di famiglia. Quando essi vengono, sentendosi accolti e vedendo il nostro impegno nel servirli, si mettono anch’essi al lavoro per darci una mano».

Tante iniziative sono già partite ed altre sono in cantiere in questo Centro Giovanile: campionati sportivi, un’esposizione di pittura, un complesso musicale, lavori in cartapesta, ecc.

«Stiamo constatando – dice Fabio – che Dio si può trasmettere anche con queste attività, senza troppe parole, col clima d’armonia che riusciamo a creare tra tutti. Un gruppo di musicisti avevano chiesto di poter usufruire delle nostre strutture per i loro corsi e si son trovati così bene che ora ci aiutano, mettendo a disposizione le loro capacità professionali. Non solo, ma nella convivenza con noi si sono riavvicinati alla chiesa ed hanno riscoperto il vangelo come Parola di Dio da mettere in pratica».

Anche nello sport sono molti i giovani che organizzano con serietà tornei di calcio e di tennis. Spesso si tratta di persone che mai avrebbero messo piede in un ambiente religioso e qui attraverso il gioco imparano a mettersi a servizio degli altri.

Si è sviluppato molto anche il volontariato. Per esempio, un architetto non troppo vicino alla chiesa, sta donando molto del suo tempo libero per i lavori di restauro. Anche Gigi, un impiegato messo in cassa integrazione, non si è rinchiuso in se stesso, ma sta curando tutto il settore del giardinaggio.

Naturalmente non si può lasciare disabitato tutto questo complesso che piano piano sta riprendendo vita ed acquistando armonia e allora i coniugi Fabio e Patrizia hanno lasciato le comodità della loro casa nel paese e si sono trasferiti al Centro Giovanile. Essi non sono semplicemente i custodi dello stabile, ma il cuore sempre pronto ad accogliere  coloro che arrivano.

Attualmente il Centro è a servizio di tutti e le parrocchie vicine lo utilizzano per incontri formativi o per attività sportive. Abbiamo ospitato 1500 scouts ed altri gruppi del Movimento dei focolari, come il Gen Verde e il Gen Rosso. Si creano così occasioni preziose nelle quali i nostri giovani possono conoscere e avvicinare loro coetanei seriamente impegnati nella vita cristiana.

Non avremmo pensato, qualche anno fa, che questi edifici abbandonati potessero diventare un luogo di incontro e di formazione per giovani di ogni estrazione e mentalità.

G. I.