Un costruttore di ponti

 

Non so perchè mi è venuto in mente, pensando a Klaus Hemmerle, vescovo e amico, che anche la fisionomia di Gesù si è andata chiarendo e universalizzando solo dopo la sua morte e risurrezione. Succede a tanti, è vero, ma il caso del vescovo di Aquisgrana mi ha fatto pensare a Gesù.

Non si può dire che Hemmerle non fosse conosciuto e stimato da vivo, ma chi lo conosceva non poteva che averne un ritratto parziale. Ora, a un anno appena dalla sua inaspettata morte, piovono da tutto il mondo testimonianze di intellettuali e di semplici popolani che permettono di comporne un abbozzo più completo, anche se ancora provvisorio.

Mi limito per ora a riferire in sintesi quanto è stato detto al I Congresso tenuto su di lui nei giorni 28 e 29 gennaio scorsi presso l’Accademia cattolica di Freiburg in Brisgovia, della quale Mons. Hemmerle era stato il primo direttore.

Il prof. Bernhard Casper, in un’ottica filosofica, ha fatto notare la differenza tra un pensiero che costruisce e definisce ma che nello stesso tempo limita, e il pensiero di Hemmerle, aperto, sì da lasciare libere le persone ad ascoltare quanto viene da Dio.

Il prof. Peter Hünermann, teologo, ha fatto dichiarazioni sorprendenti, insinuando che la teologia di Hemmerle ha un rilievo maggiore di quelle di Rahner e di Hans Urs von Balthasar, in quanto più profonda e fondata, avendo usato le metodologie teologiche e filosofiche più vaste del nostro secolo, ed avendo messo a servizio dell’intellectus fidei le  grandi e nuove dimensioni della filosofia.

Il Dr. Feiter, che è stato segretario dello stesso Hemmerle dal 1983 al 1989, ha trattato il tema: «Raccontami di Dio – Il parlare su Dio nella società postcristiana secondo Klaus Hemmerle» ed ha commentato l’ultima sua lettera pastorale, evidenziando come alla base del suo vivere e pensare non c’era che la Parola di Dio.

Il direttore attuale dell’Accademia ha poi voluto introdurre la relazione di Mons. Karl Lehmann, presidente della Conferenza episcopale tedesca, dicendo che la sua omilia, tenuta durante il servizio funebre di Klaus Hemmerle, ha avuto una risonanza come nessun’altra in tutta la Chiesa del Paese.

E di fatto, la successiva relazione di Lehmann («Il servizio del vescovo Klaus Hemmerle») non soltanto ha confermato la conoscenza profonda che ne aveva quale condiocesano e amico, ma – insigne teologo pure lui – ne ha esaltato il pensiero soffermandosi a commentare in modo particolare due delle sue pubblicazioni: «Tesi di ontologia trinitaria» e «Vivere a partire dall’unità». Ha poi parlato del suo servizio alla diocesi di Aquisgrana, dell’importanza del lavoro svolto nel Comitato centrale dei cattolici tedeschi e, molto dettagliatamente, della sua opera costruttiva in seno alla Conferenza episcopale tedesca e nella Chiesa universale.

Cercando il retroterra dell’originalità del pensiero di Hemmerle, Lehmann ne ha visto la radice teologica e spirituale nel Movimento dei focolari. Ha affermato tra l’altro: «Il focolare non è stato per Klaus Hemmerle un tema marginale o un rifugio dove alleviare il peso dell’essere vescovo. Il focolare e Klaus Hemmerle si sono fertilizzati a vicenda. Klaus Hemmerle, a contatto col focolare, ha ricevuto originalità e solidità per il suo pensiero e per se stesso; e attraverso il suo pensiero ha potuto dare notevoli impulsi al focolare». Con acume ha descritto il primo incontro di Hemmerle col Movimento nella Mariapoli di Fiera di Primiero del 1958, raccontata da lui stesso nell’ultima intervista (pubblicata in Das Prisma 1/’94 e da noi riportata tradotta in questo numero); ma l’ha fatto soprattutto per arrivare al punto centrale della sua scoperta, che è, manco a dirlo, il punto centrale della spiritualità dei Focolari: Gesù Abbandonato. Chiara Lubich, ha detto Lehmann, con Gesù Abbandonato ha toccato un tema che appartiene, è vero, anche alla tradizione patristica, ma che lei ha sviluppato in modo del tutto nuovo, tale da risultare un dono speciale alla teologia e alla vita dei cristiani. «Sì – ha continuato –: Hemmerle, il grande teologo, si è messo con grande umiltà alla scuola di una donna grande. La scuola di vita del focolare è diventata per lui una scuola di teologia. Dall’unità vissuta ha potuto sviluppare una teologia vissuta».

Lehmann ha messo in rilievo, inoltre, il lavoro svolto da Hemmerle fra i vescovi cattolici amici del Movimento, e come essi hanno capito, dalla spiritualità dell’unità, come vivere meglio la collegialità episcopale. Ma ha pure accennato agli incontri ecumenici di vescovi tenutisi a Istanbul, Canterbury, Ottmaring (Germania) e più volte a Roma, incoraggiati da Giovanni Paolo II il quale ha visto e vede, nella dimensione ecumenica del Movimento, una strada per l’unità delle Chiese. Affascinati dal carisma di Chiara, essi trovavano nel vescovo Hemmerle un uomo spirituale che creava famiglia al di là delle distinzioni giuridiche, coniugando ufficio e carisma, teoria e prassi, spiritualità in funzione della comunione.

Un ritratto del genere, abbozzato da Lehmann, completa a dimensione ecclesiale quello delineato, nella copertina di questo numero, da Chiara Lubich a dimensione più personale: «Il vescovo Hemmerle, un dono di Dio».

S. C.