Dialogo con i lettori

 

«Ho sentito più volte dei teologi o dei sacerdoti far  riferimento  alla carità  come “forma” della Chiesa. Cosa significa precisamente? Quale novità apporta, dal momento che la carità c'è sempre stata nella Chiesa?».

(Luciano Pavan, diacono permanente, Torino)

 

 

 

La carità forma della Chiesa

 

Certamente questa sottolineatura della carità come «essenza» della Chiesa è un dato teologico e una realtà anche vissuta, tipica del nostro tempo, soprattutto dopo il Concilio Vaticano II, anche se riprende una tradizione teologica e spirituale molto ricca nella Chiesa, fin dalle origini. Penso, ad esempio, a quella straordinaria «summula» della vita ecclesiale (come ortodossia e ortoprassi) che è la 1 Gv, o alla definizione di Chiesa-carità che davano Sant'Ignazio di Antiochia e Sant'Agostino. Ed è una visione che ha un sicuro fondamento biblico, proprio perché il Nuovo Testamento è tutto centrato nella rivelazione di Dio come «agápe», e — di conseguenza — nella configurazione della comunità che è, essa stessa, «agápe».

C'è però — mi sembra — una novità che emerge appunto dopo il Concilio Vaticano II. In passato — nonostante alcune punte di intuizione più a carattere mistico e personale che pratico-storico e condiviso a livello di tutto il popolo di Dio — la visione della carità era piuttosto in chiave individuale, nel senso della «virtù principe», anzi, della «forma di tutte le virtù», secondo la lapidaria formula di San Tommaso. Nella situazione ecclesiale che lo Spirito Santo ha determinato dopo il Concilio Vaticano II, la concezione più comunionale della Chiesa comporta anche una nuova comprensione della carità. Per cui c'è il passaggio dalla carità come forma di tutte le virtù, alla carità come forma dei rapporti tra le persone. Ciò non significa svalutare la concezione precedente che rimane assolutamente fondamentale per la valorizzazione della singola persona, ma essere più conformi a tutta la ricchezza del dato biblico: dove definire il cristiano come «colui che ama» (ho agapôn — secondo la 1 Gv) significa appunto definire il suo rapporto nuovo con Dio e con i fratelli, di più, significa definire la sua esistenza di fede appunto come «relazione». A immagine e somiglianza e nell'interiorità delle relazioni d'amore tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo — di Dio, appunto, che si è rivelato come «agápe».

Un altro accento di novità messo in rilievo dopo il Concilio Vaticano II è che oggi si comprende meglio come la carità non sia solamente servizio, «opera caritativa», ma rappresenti l'essenza della Chiesa, e cioè quel rapporto nuovo tra le persone in Cristo risorto, per opera dello Spirito Santo, che è l'amore reciproco, il «comandamento nuovo» di Gesù. Questa è la novità cristiana, che definisce prima l'«essere» che l'«agire» della comunità messianica. Da un lato, la Chiesa è là dove c'è l'amore reciproco; dall'altro, e inscindibilmente, questa realtà si esprime nell'amore per gli ultimi e i poveri. Queste sono le due dimensioni che connotano la carità ecclesiale: per cui non si può dare in verità l'una senza l'altra. Tutto ciò — penso — lo Spirito Santo lo ha sottolineato molto bene nel Concilio Vaticano II: perché in esso troviamo, da un lato, l'affermazione della carità come mistero di Dio partecipato all'uomo nell'amore reciproco (penso a LG 2-5; 9; DV 2; GS 22; 24); e, dall'altro, troviamo l'affermazione che la Chiesa è Chiesa dei poveri (cf LG 8), e cioè, Chiesa che vive per e con i poveri e che è essa stessa povera, capace di vivere comunitariamente il distacco e la condivisione dei beni. Essendo Chiesa dei poveri, è perciò Chiesa che con la legge dell'amore reciproco è chiamata anche a trasformare la società per debellare ogni forma di ingiustizia (GS 38).

Un'ultima novità che emerge dalla visione della «carità ecclesiale» nel Vaticano II è la dimensione dell'incarnazione della carità, nelle strutture ecclesiali e quindi anche, di conseguenza, sociali. Ciò si comprende oggi molto più chiaramente che in passato, perché viene valorizzata la dimensione incarnata dell'esistenza umana e la storicità della vita della Chiesa, per cui si sottolinea che la carità deve permeare l'incarnazione della fede cristiana nel mondo.

 

Piero Coda