«La carità anima di una pastorale viva e unitaria» (ETC, 29)

 

Verso una pastorale organica

 

di Vincenzo Chiarle

 

È evidente la funzionalità di una pastorale organica, espressione dell'unità tra gli operatori. Tuttavia essa non va perseguita con criteri prevalentemente sociologici: il cuore della pastorale, pur nella serietà delle analisi e dei progetti, è la ricerca d'incarnazione del vangelo della carità. L'abbondanza e la qualità dei frutti sono una conseguenza. Abbiamo chiesto ad uno dei vicari episcopali della diocesi di Torino di narrarci la sua esperienza a riguardo.

 

Prima unità: tra i responsabili diocesani

Sono stato chiamato dal mio arcivescovo, il card. Saldarini, all'incarico di vicario episcopale nel territorio nord della diocesi di Torino. È un distretto pastorale di 83 parrocchie, curate da quasi 150 tra presbiteri e diaconi, con 260.000 abitanti.

Per poter promuovere una pastorale unitaria, capivo che prima di tutto ero chiamato a cercare la più profonda comunione con coloro con i quali dovevo condividere la responsabilità diocesana. Infatti, lo statuto per i vicari episcopali territoriali della nostra diocesi comincia con queste parole: «Il vicario episcopale è, cumulativamente al vicario generale (che nel nostro caso è il vescovo ausiliare), il primo e più diretto collaboratore del vescovo».

In quell'avverbio «cumulativamente» ho colto l'impegno a stabilire con il vescovo ausiliare quel rapporto che permette di affermare la verità nella carità, senza paure o umane sottomissioni che non hanno nulla a che fare con il vangelo, ma anche nell'atteggiamento di «saper perdere» per vivere una giusta sintonia con le sue vedute, di pazienza, di distacco, di povertà interiore, che permettono che si manifestino i frutti tipici della presenza di Cristo nella comunità e del suo Spirito.

Avverto che, quando riesco a stabilire anche con gli altri tre vicari episcopali quella comunione che, nel confronto delle idee e nel rispetto della libertà e del pluralismo, ci porta a cercare l'unanimità di pensiero (1 Cor 1, 10), il nostro contributo di consiglio e di collaborazione all'arcivescovo porta più luce e serenità nelle decisioni che egli deve prendere.

 

Fraternità presbiterale

Sempre ho avuto a cuore quell' «unità tra i presbiteri e i vescovi così particolarmente necessaria ai nostri giorni», di cui parla il Vaticano II (PO 7).

Tra l'altro perché, come soleva ripetere Toni Weber 1, al quale tanto devo riguardo a queste tematiche, «urge il rinnovamento dei sacerdoti, dal quale dipende in gran parte il rinnovamento della Chiesa» 2.

Sempre nello statuto che ho prima menzionato, al n. 5, si legge: «Il vicario episcopale promuove un dialogo fraterno e costante con i vicari zonali, i presbiteri, i diaconi, i religiosi ed i laici operanti nel distretto, curando in particolare lo svolgimento di incontri di spiritualità e di formazione, con speciale attenzione al clero».

Questo però non si improvvisa. Devo riconoscere che non saprei muovermi in tale senso adesso, se non ne avessi fatto esperienza da decenni, con altri sacerdoti, attraverso la spiritualità dell'unità.

Cerco di mettermi davanti ad ogni sacerdote e alle persone che incontro con quell'atteggiamento di ascolto che ci fa amare Gesù nell'altro, e che permette spesso di sciogliere dei nodi a prima vista insolubili.

Per esempio, incontrando sacerdoti anziani, soli, in situazioni desolanti, che rispecchiano una formazione di altri tempi, è stato proprio questo atteggiamento che ha permesso loro di aprirsi, di accettare le cure e, in alcuni casi, di presentare le loro dimissioni da parroci, pur nella sofferenza del distacco dopo 20 o 30 anni di permanenza nella stessa piccola parrocchia. Ricordo uno di loro che dopo avergli dettato la lettera di dimissioni da presentare al cardinale, consegnandomela, tra le lacrime mi baciava e mi ringraziava.

Per un altro sacerdote ho dovuto cercare per parecchi mesi una sistemazione confacente alla sua situazione. Venendo a portarmi la lettera delle dimissioni da parroco, mi ha fatto commuovere: pur nella sofferenza di dover lasciare la parrocchia, mi portava due regali, con un atteggiamento veramente fraterno e con riconoscenza per quanto avevo fatto.

Anche la pratica della correzione fraterna, vissuta regolarmente in questi anni con quei sacerdoti con cui ho condiviso in modo più stretto e concreto la mia vita, mi aiuta ad affrontare situazioni delicate quando ad esempio devo fare delle osservazioni. Non è facile: si è tentati di fare il superiore che rimprovera o l'amico che per paura o accondiscendenza nasconde parte della verità. Autoritarismo e ipocrisia che non servono certo all'edificazione della Chiesa in senso evangelico. È lì che l'esperienza fatta in passato mi aiuta nel dire la verità nella carità, con la comprensione di chi non vuole giudicare nessuno e soffre con un fratello, ma con la fermezza di chi presenta a se stesso e all'altro quella che sembra essere la volontà di Dio che, quando c'è buona volontà, diventa l'unico bene da perseguire per tutti.

 

La carità fa miracoli

Tipico è stato un caso difficile che dovevo risolvere, di fronte al quale in un primo momento mi è venuto spontaneo pensare di poterlo affrontare soltanto con la presenza del vescovo ausiliare. Poi, nella preghiera e cercando di seguire lo Spirito Santo, ho capito che in realtà cercavo un appoggio per evitare di affrontare personalmente una situazione incresciosa e che avrei fatto perdere del tempo prezioso al vescovo. Allora ho chiesto ad un mio parrocchiano, «esperto» nella vita di unità, di accompagnarmi. Prima abbiamo fatto un atto di carità visitando un sacerdote anziano e dedicando a lui tutto il tempo necessario. Poi ci siamo recati dal parroco che dovevo trovare. Ho detto a chi mi accompagnava: «Tu stai in macchina, conto sulla tua unità».

Mentre salivo la scalinata che porta alla casa mi ripetevo: «Adesso vai lì soltanto per amare Gesù in questo fratello, solamente per ricercare la volontà di Dio e non la soluzione che hai in mente. Ascoltalo fino in fondo, trasforma in amore ogni situazione dolorosa che troverai, qualunque reazione possa capitare, in modo che lo Spirito possa metterti sulle labbra le parole necessarie...». Bussai alla porta con serenità e pace. Facemmo il nostro colloquio e, con grande sorpresa mi accorsi che quanto io proponevo era ciò che questo sacerdote desiderava in quel momento! Poi mi fece visitare la casa, la chiesa, le opere parrocchiali. Ritornai in macchina con in cuore la riconoscenza a Dio e ripartii con chi mi accompagnava. Avevo ancora una volta sperimentato quanto dice il Crisostomo: «Gesù li mandò a due a due, perché avessero la carità tra di loro». E la carità fa miracoli.

 

Una pastorale unitaria

Gli Orientamenti pastorali dell'episcopato italiano per gli anni '90, sollecitano chiaramente un'«azione concorde» di tutta la Chiesa italiana, una «pastorale organica e unitaria sotto la guida del vescovo» (n. 29).

Quando ho accettato l'incarico dall'arcivescovo, gli dicevo che avevo ritrovato un testo del card. Pellegrino, il quale in una delle sue prime lettere pastorali alla nostra diocesi — aveva per titolo «L'idea centrale del Vaticano II» ed ebbe molta risonanza nella Chiesa italiana ed anche all'estero, poneva la comunione trinitaria come «germe di vita» e «idea-forza» della corresponsabilità da attuare nella Chiesa, asserendo che il modello trinitario era «il fondamento ontologico della corresponsabilità».

Nella mia vita personale, come in quella della comunità nella quale continuo ad essere parroco, constato quanto questo ideale sia attuale e concorra a portare quella freschezza di vangelo che affascina. Questa realtà, oggi sempre più riscoperta ed approfondita nella Chiesa, è alla base di ciò che cerco di costruire anche in ambito diocesano come, per esempio, nella configurazione delle «unità pastorali». Esse, com'è noto, sono sinonimo di collaborazione interparrocchiale: sono costituite da una pluralità di comunità parrocchiali che si uniscono per camminare pastoralmente insieme sotto la guida di uno o più sacerdoti.

Tali unità pastorali si rendono necessarie per la progressiva diminuzione e invecchiamento del clero, da noi sempre più accentuati. Ma soprattutto per esigenze teologiche e spirituali del nostro tempo, cioè per la concretizzazione vitale di una Chiesa-comunione, con nuove forme di collaborazione tra presbiteri, diaconi permanenti, vita consacrata e laici, attivando i vari Consigli pastorali parrocchiali e portando avanti una maturazione dei vari ministeri laicali.

Questa corresponsabilità dei laici in una pastorale di comunione gestita insieme in un territorio omogeneo, fa sì che si eviti il disperdersi di energie, che le persone più capaci in un certo ambito abbiano un raggio d'azione più ampio senza moltiplicare inutilmente le medesime attività, e così via.

 

Le unità pastorali

Un esempio concreto. C'era nella mia zona pastorale un territorio con circa 7500 abitanti distribuiti in sei parrocchie, alcune molto piccole e a pochi chilometri l'una dall'altra, con quattro sacerdoti tra i 62 ed i 71 anni, parroci in quelle parrocchie da 25-30 anni. Li ho radunati ed abbiamo parlato a fondo della situazione. Ho constatato che gradivano degli aiuti ed erano disponibili per una pastorale gestita insieme con ritmi coordinati (infatti fra questo gruppo di parrocchie erano già avviati dei tentativi di collaborazione a livello di Caritas, gruppo famiglie e feste degli Oratori).

Si è aggiunto anche un diacono che conoscevo bene poiché da più di 20 anni seguo la formazione dei diaconi permanenti della diocesi, e una comunità di 4 suore della carità di s. Giovanna Antida Thouret, che avrebbero potuto svolgere diverse attività: catechesi itinerante nelle varie comunità, formazione dei catechisti, pastorale giovanile, servizio infermieristico ad anziani e ammalati, visita alle famiglie e animazione della preghiera nelle piccole frazioni. I parroci si sono resi disponibili a sostenere finanziariamente le attività pastorali delle suore, e a sua volta la provinciale non ha voluto pesare sul bilancio delle parrocchie per il sostentamento delle suore in quanto quelle inviate percepiscono una pensione.

Certamente, perché iniziative di questo genere funzionino, non basta la buona volontà e una collaborazione operativa. Tali nuove forme di evangelizzazione diventano efficaci nella misura in cui le persone che ne partecipano hanno un'esperienza di autentica comunione o sono aperte a costruirla in base all'amore evangelico. Come diceva il nostro cardinale nella lettera indirizzata al sacerdote che avrebbe coordinato questa esperienza, «sarà l'unità, cercata e voluta, che garantirà un positivo cammino di evangelizzazione, perché Gesù ha detto “Padre, che essi siano una cosa sola... perché il mondo creda”».

Posteriormente, vedendo gli echi positivi riscossi anche da altre esperienze analoghe avviate nel mio distretto pastorale, mi sono rivolto agli Istituti religiosi femminili della diocesi, di comune accordo col vicario episcopale per la vita consacrata, chiedendo se potevano offrire una disponibilità per un maggiore impegno pastorale, nel presente o in un prossimo futuro. E ciò non solo per venire incontro a delle comunità sprovviste di parroco, ma anche come una possibilità di inculturare i rispettivi carismi nella Chiesa locale e come un dono di Dio per il territorio.

Penso infatti che la «presenza» stessa di persone votate a Dio, la loro preghiera, la loro totale donazione al Signore, il loro forte contributo alla comunione che viene dalla vita consacrata femminile come particolare manifestazione del «profilo mariano» della Chiesa, potrà portare un arricchimento alle comunità parrocchiali, cellule insostituibili della Chiesa.

 

Promozione del laicato

Nella stessa direzione di ricerca della comunione, di costruire «famiglia» fra tutti attraverso la carità, mi muovo nei riguardi dei laici.

Da una parte valorizzando le associazioni ed aggregazioni tradizionali ed i nuovi carismi e movimenti ecclesiali che Dio ha suscitato in questo tempo, e che promuovono tra i laici tante conversioni, approfondimento formativo e concreto impegno ecclesiale, a servizio dell'unica Chiesa rendendola più viva e più bella.

Ma anche, ad un livello più ampio, promovendo una vita di santità nella quotidianità e una sempre più necessaria qualificazione del laicato, vista l'urgenza di avere laici più maturi e in grado di assumersi sempre più delle nuove responsabilità.

È un'esigenza sentita da loro stessi. In questi mesi ho infatti avuto la possibilità di fare per tre volte un'esperienza significativa: delle giornate di ritiro per tutti i membri dei consigli pastorali di due zone vicariali. Ad una di queste erano presenti più di 300 persone. Mi hanno chiesto di trattare il tema «essere cristiani oggi — i ministeri laicali».

Sono state giornate tanto proficue per il clima fraterno e impegnato creatosi tra tutti, e nelle relazioni emergeva la necessità di affrontare il tema della coerenza tra fede e vita, si chiedeva un maggior coinvolgimento dei laici, una formazione permanente alla vita di comunione, da testimoniare nella gioia e nell'entusiasmo che scaturiscono da un'esperienza evangelica vissuta, un'attenzione sempre più viva all'ascolto della Parola di Dio, alla famiglia, all'accoglienza nelle nostre comunità, alla testimonianza nel sociale e nel politico. Realtà belle e forti, indice di un serio desiderio di presenza laicale viva.

Si constata permanentemente che la pastorale acquista nuovo respiro nella misura in cui cresce la dinamica trinitaria tra ministri, persone consacrate e laici, perché favorisce nella Chiesa la corresponsabilità e un cammino comunionale coerente con il progetto di Dio sull'umanità.

 

Vincenzo Chiarle