La carità come risposta ai dilemmi dell'umanità contemporanea

 

Vangelo della carità e cultura

 

di Aldo Giordano

 

La storia ci insegna che nei momenti di confusione a poco serve perdersi in analisi parziali e frammentarie... occorre ricercare i fondamenti. Gli orientamenti pastorali della CEI per gli anni '90 spingono in questa direzione: la nuova evangelizzazione come interrogazione sulle tensioni tipiche del nostro tempo e come opzione che investa le loro radici.

 

Amore, libertà e verità

Il nodo culturale cruciale con cui il documento Evangelizzazione e testimonianza della carità appare confrontarsi è la tensione vissuta dalla nostra epoca tra libertà e verità o tra storia e assoluto. Da una parte i sentieri della modernità sono approdati ad una precisa consapevolezza della radicale storicità dell'esistenza umana e questo significa che tutto è affidato alla libera scelta personale. Eliminare la libertà è annientare l'essere umano. Dall'altra la radicale storicità sembra far precipitare nell'oblio ogni discorso veritativo che implica il riferimento ad una dimensione assoluta, fuori dai ritmi sempre cangianti e divoranti della storia. Ne consegue il rischio della caduta di ogni senso ultimo, del riflusso ad un individualistico privato, del relativismo, della frammentazione che respiriamo ad ogni poro, dell'affidarsi a speranze corte.

Se vogliamo dispiegare ulteriormente la questione e soprattutto non fermarci a sintomi secondari, troviamo che il problema non è prima di tutto di tipo organizzativo o ecclesiale o morale, ma implica la realtà stessa di Dio. Lentamente, ma inesorabilmente, nella cultura occidentale si è creata una conflittualità tra l'essere umano e Dio che ha «costretto» alla «morte di Dio» come unica via per poter affermare la libertà umana o almeno ha generato un totale disinteresse per un assoluto che non abbia niente a che fare con la nostra storia concreta e la nostra voglia di vivere. Paradossalmente proprio dalla critica dei dogmatismi (responsabili di privare della libertà) è sorto il più pericoloso e acritico dei dogmatismi: quello del ritenere indiscutibile il fatto dell'assenza di Dio. Abbiamo visto il «figlio primogenito» di questo enorme avvenimento nell'esplosione della questione etica: si è instaurata un'opposizione tra desiderio e dovere, tra libertà e comandamento che, ancora per affermare la libertà, ha messo in crisi ogni morale, peraltro ormai priva di fondazione dopo «il ritiro degli dei».

Questa l'impresa che attende la «nuova evangelizzazione»: annunciare una verità che non sia in antitesi con la libertà, ma sua realizzazione, un Dio che non sia in inimicizia con l'essere umano, ma sua «festa» eterna, un comandamento che non spenga i desideri, ma che mantenga le promesse e le attese contenute nel cuore umano. Specie il mondo giovanile manifesta chiaramente un'esitazione davanti ad un impegno radicale in un'esperienza di fede per la paura, più o meno conscia, che questo implichi un perdere qualcosa della propria libertà o gioia della vita.

La via da percorrere che il documento dei vescovi indica è la riscoperta del nesso inscindibile tra verità e amore (nn. 8 - 10).

 

L'amore come fondamento e inizio.

La verità annunciata dal cristianesimo è l'evento di Gesù Cristo stesso. Egli è l'Assoluto che liberamente diventa storia, entrando nelle vicende della libertà umana e si rivela totalmente come amore nello «scandalo» e «follia» della croce (nn. 10 - 14). Davanti ad una «verità crocifissa» nessuno è costretto a nulla: la si può schiaffeggiare, si può sputare sopra, come si può restare nella pura indifferenza, ma, se liberamente la si accoglie, si diventa figli nel Figlio. La libertà viene a coincidere con la figliolanza; Gesù ci rivela che la più profonda radice di noi stessi — dove scompaiono le altre dimensioni umane — è l'essere figli. Se attingiamo a questa radice, di fronte abbiamo solo la libertà del Padre, cioè niente inferiore a Dio, aldilà di ogni condizionamento. E il Padre che in Gesù abbiamo conosciuto non è il nostro estremo e fatale condizionamento — come hanno pensato rappresentanti autorevoli del pensiero — ma un Amore che per noi ha donato la vita del Figlio, perché noi potessimo in Lui essere liberi.

Nessuna «morte di Dio» proclamata dalla nostra cultura contemporanea, è andata così in là fino a pensare che gli uomini potessero crocifiggere un Dio, e quindi la verità cristiana che si concentra sul Dio crocifisso, dal di dentro, radicalizzando ancora l'abisso della nostra cultura, appare risposta interiore e inauditamente dialogica.

Il «non perdersi» della verità, nel suo essere puro dono, è l'evento del Risorto che continua a vivere in mezzo ai suoi (n. 9). La verità non è una teoria  o  una realtà statica,  ma è un evento,  un accadimento. I discepoli di Emmaus (Lc 24) vivono un'esemplare esperienza veritativa: da soli non sono in grado di possedere la verità, ma è la verità stessa del Risorto che cammina con loro, fa l'ermeneutica della Scrittura e li invita al banchetto e così li avvolge. Ed è ancora l'evento di un amore. Non siamo noi i possessori della verità, ma è la verità sempre inesauribile che possiede noi se liberamente ci lasciamo avvolgere.

Ma l'evento della Pasqua è anche la rivelazione culminante del volto dell'Assoluto stesso: Dio è Amore trinitario, cioè la massima unità insieme alla massima distinzione e libertà (n. 15). Dio-Amore non è una verità (unità) che divori le libertà delle singole persone (Padre, Figlio e Spirito), ma neppure delle libertà che perdono la possibilità della comunione nel nome della loro diversità.

 

L'amore al di là dei dualismi

Una prima urgenza che emerge è quella di dare una decisa valenza ontologica-esistenziale-culturale all'amore. La verità cristiana si rivela come amore. Nella nostra mentalità, anche come categoria linguistica, il termine amore appare svenduto, tanto da non essere quasi mai usato nei luoghi di cultura «seria» come le università o i convegni.

Ma più in profondità si tratta di ripensare alla luce dell'amore — inteso come l'incontrarsi di unità e distinzione, di libertà personale e alterità — i concetti di fondamento, di inizio, di essere, di sostanza e di verità. L'essere non può più venir pensato come una realtà statica, immobile, fissa, ma come evento e più precisamente come un rapporto di differenze. L'inizio è un rapporto (un amore), un donarsi radicale tra alterità. Se questa è la verità, essa rimanda immediatamente alla libertà: non esiste dono senza libertà e senza un'alterità libera. Questa verità apre alla storia perché in sé è già dinamismo, rapporto, storia.

La distinzione tra Dio e l'essere umano, assoluto e storia, verità e libertà, se vissuta come amore, non cade più nella separazione dualista e conflittuale e così il ritrovamento della verità non implica la negazione della libertà umana.

C'è quindi un legame costitutivo tra unità e verità (n. 27). Questo dischiude ad una visione dell'uomo che non cade in unilateralità e parzialità: la persona umana è una ricchezza di elementi e dimensioni che insieme formano un'armonia e una bellezza. Se invece si comincia a perdere qualche dimensione (la razionalità o la spiritualità o la corporeità) s'inizia un corrosivo lavoro di impoverimento come se all'uomo si togliesse un occhio o una gamba.

Si apre così un sentiero per superare lo spinoso problema del rapporto fra identità e dialogo (n. 32). Un vero dialogo avviene solo dove c'è libertà ed ognuno può essere radicalmente se stesso senza dover avviarsi verso compromessi; ma nella sua profondità il dialogo (dia-Logos) è lo spazio dell'accadimento dell'evento veritativo (Logos) di cui nessuno è proprietario perché ci trascende radicalmente. A me cristiano il Logos (il Risorto) chiederà la conversione e il divenire discepolo ed all'altro (altra confessione cristiana, altra religione, non credente) chiederà la medesima cosa: l'altro non dovrà mai convertirsi a me, ma alla Verità che lo avvolge e ci avvolge in quanto si fa presente fra noi.

 

L' amore come ethos

L'amore, cuore della verità e dell'antropologia, diviene anche il criterio fondamentale dell'agire.

Se l'agire umano sorge immediatamente dalla spontaneità, dal desiderio, dal piacere, dalla libertà, dall'energia vitale, esso sembra incontrare un nemico nel dovere, nella legge, nella morale che appaiono inibire la voglia di vivere. Anche questo dualismo tra desiderio e dovere, consumato dalla nostra cultura, appare distruttivo.

Nessuno di noi oggi è interessato ad un dovere che appaia contrario alla libertà, alla spontaneità vitale, ma d'altra parte si scorgono i tragici rischi di una vita affidata unicamente al piacere immediato e irriflesso che sfociano fino alla distruzione (cf tossicodipendenza, alcoolismo, potere...). Occorre ricominciare la ricerca per scoprire un dovere (una morale) che sia realizzazione del desiderio più profondo che c'è nell'essere umano. Questa è ancora la promessa del vangelo: Gesù dà un comandamento (dovere, legge) che richiede obbedienza (l'uomo dove essere salvato), ma che insieme ci rende liberi e genera la pienezza della gioia. Obbedienza e libertà si incontrano, come dovere e gioia. Ma il segreto sta proprio nel comandamento che Gesù dà: quello dell'amore. L'amore è da una parte il più serio e forte dovere, perché implica un andare aldilà di ogni superficialità da cui potremmo essere tentati, per attingere la nostra profondità più intima e dall'altra è la più grande gioia e libertà, perché la libertà ultima sta nella capacità di possedere integralmente la propria vita e decidere di donarla. È il Crocifisso risorto che ci ha aperto la strada: chi dona la vita la possiede. La via per la risurrezione, cioè per l'eternizzazione della vita, bellezza, intelligenza, capacità di amare è quella della «morte», del donare fino ad eliminare ogni traccia di egoismo. E questa è la vita stessa di Dio Trinità.

L'amore appare l'anima di cui il nostro mondo ha estrema urgenza. Le strade di una cultura dualista che ha generato azioni violente e istituzioni vuote, abbiamo già sperimentato dove portano: rimane da prendere sul serio questa via nuova.

Se pensiamo in termini di creazione ed evoluzione potremmo domandarci: se la potenza d'amore della creazione sta nel fatto che Dio ha creato una realtà a sua volta capace di creare ed è sgorgata l'evoluzione creatrice e se la specie umana è il culmine dell'evoluzione e non c'è da attendersi un «super-uomo», cosa siamo chiamati a creare noi ora, per essere fedeli alla nostra capacità di creare? Possiamo creare un nuovo rapporto, perché un'umanità che si uccide o si lascia morire di fame non ha ancora realizzato il «sogno» di Dio. Nemmeno una mera tolleranza o un rapporto fondato su compromessi che dimentica il problema veritativo è la via risolutiva. Il nuovo rapporto è la realizzazione del comandamento dell'amore che diviene lo spazio della presenza del Risorto tra i suoi. San Giacomo nella sua lettera dice «non siate semplicemente uditori obbedienti della Parola, ma poietai tou logou», facitores Verbi (Gc 1, 22) e questa appare la nostra grande possibilità: l'amore reciproco diviene il luogo generatore, della presenza del Verbo che sarà anche lente di ingrandimento della Sua presenza nella Parola, nell'Eucarestia, nel prossimo... Sarà il Verbo fra noi l'Evangelizzatore e l'unico Maestro di cui sempre siamo chiamati a diventare discepoli.

 

Aldo Giordano