La Chiesa italiana tra riflessione ecclesiologica ed impegno pastorale

 

L'ETC e la maturazione della Chiesa in Italia

 

di Antonio Giliberto

 

Il documento «Evangelizzazione e testimonianza della carità» (ETC), pur non ponendosi, programmaticamente, sul piano della pura riflessione teologica, ma piuttosto su quello «della proposta di alcune linee essenziali dell'impegno pastorale» (n. 2), è comunque ricco di felici «intuizioni» che fanno di esso un punto di riferimento di grande rilievo per la riflessione teologico-spirituale oltre che per l'aggiornamento pastorale della Chiesa italiana. Ce ne parla Antonio Giliberto, parroco e preside dell'Istituto Teologico della diocesi di Caltanissetta in Sicilia.

 

 

L'ETC  ha  un carattere  più assertivo che problematico, come deve essere ogni documento di carattere pastorale, e contiene, mi sembra, seppure in nuce, un superamento interessante di tutti quei documenti della CEI di questi ultimi decenni, nei quali la congiunzione «e» in qualche modo tradiva, oltre che lo sforzo della connessione, un certo nativo estrinsecismo (Evangelizzazione e...).

Significativamente si legge nel documento: «In realtà il pane della parola di Dio e il pane della carità, come il pane dell'Eucaristia, non sono pani diversi: sono la persona stessa di Gesù che si dona agli uomini e coinvolge i discepoli nel suo atto di amore al Padre e ai fratelli» (n. 1).

Questa osservazione è di notevole portata teologica e si inscrive nella più matura riflessione ecclesiologica degli ultimi decenni. Congar, per citare soltanto uno dei teologi più autorevoli in questo campo, ha scritto: «Non può esistere comunità cristiana senza diaconia o servizio di carità, come non può esistere senza celebrazione dell'Eucaristia» 1.

Bisognerà dunque identificare il principio ecclesiologico supremo nella Parola di Dio, nella carità e nell'Eucaristia non come elementi estrinsecamente giustapposti ma colti nella loro dinamica unità. È un'intuizione che include linee dinamiche che si rivelano preziose per la maturazione della comunità ecclesiale.

Alcune indicazioni, presenti nel documento, se ben colte e interiorizzate dalle comunità, potrebbero diventare punti di riferimento seri e linee di sviluppo e di maturazione per tutta la chiesa in Italia.

 

Chiesa-carità e comunione trinitaria

Dire che la Chiesa è carità, e quindi nativamente comunione 2, significa che in essa vengono assunti i registri concreti di solidarietà nei quali si realizza l'umanità che Dio vuole. In questo senso il riferimento trinitario diventa assolutamente ineludibile. La Trinità è la verità più profonda dell'esistenza umana, che attinge la sua pienezza nell'amore reciproco, facendo propria la misura dell'amore di Gesù: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati» (Gv 15, 12). Nel dono reciproco di sé, realizzato per la carità che viene da Dio, si riassume tutta l'antropologia cristiana» (n. 16).

Il documento non rimane chiuso nell'ambito di una solidarietà colta nell'orizzonte solo umano, anzi nota preliminarmente: «È diffusa purtroppo nell'opinione pubblica una immagine di Chiesa che ne offusca la vera natura e missione, perché si ferma in maniera quasi esclusiva sulla sua rilevanza sociale, per apprezzarla o contestarla, lasciando però comunque in ombra la vera radice di questa stessa vitalità sociale e cioè la realtà originaria della Chiesa, come luogo e Sacramento, in Cristo, dell'incontro degli uomini con Dio e dell'unità del genere umano» (n. 6).

Vista nella fede, la Chiesa non è nient'altro che la comunione dei discepoli di Gesù in quanto si trova immersa, per opera dello Spirito, nell'integrale relazione del Padre e del Figlio.

Secondo una felice immagine di Agostino, la chiesa che è costituita da legni ricavati dai boschi e da pietre dai monti, «nondimeno [risulta] casa del Signore solo quando [i legni e le pietre] sono compaginati dalla carità. Se questi legni e queste pietre mancassero di reciproca connessione secondo un determinato ordine, se non si prestassero ad un mutuo giustapporsi strettamente, se mancasse la disponibilità ad una reciproca coesione, se in un certo modo non si amassero, nessuno vorrebbe trovarsi qui dentro» 3.

Ecco allora una linea di verifica, impegnativa ma esaltante, della identità, secondo il disegno del Signore, delle nostre Chiese. Non si tratta di una rilevanza sociale a qualunque costo. La sua rilevanza e significatività è legata (deve essere legata) al suo essere (al suo dover essere).

Quanto più la Chiesa vivrà in attitudine di adorazione e di accoglienza nella vita concreta dell'evento trinitario d'amore che la fonde e la compagina, tanto più avrà la rilevanza storica del fermento e del lievito che, iniettando la prassi dell'amore nella storia umana, forgerà nuovi rapporti e perfino nuove strutture sociali.

Questo significa ancora che tutto ciò che, anche nell'attività pastorale, non parte dall'amore non è cristiano. Né vale aggrapparsi all'efficacia, alla riuscita, alla rilevanza sociale di un progetto e di un'azione.

 

Un amore pluriforme

L'ETC pone l'accento su una meta pastorale che, a ben riflettere, risulta decisiva per la vita della Chiesa italiana alla vigilia del terzo millennio: «L'intimo nesso che unisce verità cristiana e sua realizzazione nella carità». E per sottolineare il profondo e intrinseco rapporto fra evangelizzazione e carità ha scelto la felicissima espressione «vangelo della carità» (n. 10). È Il nodo, sempre problematico e complesso, delle due dimensioni essenziali e inseparabili del vangelo di Cristo: la coscienza della verità e l'impegno a realizzarla nell'amore (cf n. 8).

Si tocca qui il grosso problema, da una parte, del pluralismo che caratterizza il nostro tempo che molto spesso sfocia in un triste e sterile relativismo, che esige di porre il problema della verità e, dall'altra, l'esigenza di realizzare l'annuncio della verità del vangelo nella prassi dell'amore.

Lo stesso amore può far germinare nella Chiesa un'immensa varietà di spazi umani.

Una Chiesa, strutturata sull'esemplarità della carità e della comunione, dovrà tenersi lontana tanto da una uniformità che appiattisca e mortifichi l'originalità e la ricchezza dei doni dello Spirito, quanto da ogni contrapposizione lacerante e relativistica che non risolva nella comunione la tensione tra carismi e ministeri, tra modi di pensare diversi, tra personalità, tra culture, tra spiritualità, perfino tra esperienze sociali e politiche diverse.

Il diverso, se legittimo, ha diritto di esistere nella Chiesa, ma nella carità che accoglie, alimenta e vivifica e non lo fa degenerare nella contrapposizione, ma lo destina all'arricchimento dell'unità sempre più dinamica e articolata.

L'amore e la comunione danno alla verità del vangelo la sua giovinezza. Ireneo ha fortemente avvertito questo dinamismo dell'amore e lo ha espresso con una bella immagine: «La fede, che abbiamo ricevuto nella Chiesa, noi la custodiamo con cura, perché continuamente, sotto l'azione dello Spirito di Dio, come un deposito di grande valore racchiuso in un vaso eccellente, essa ringiovanisce e fa ringiovanire lo stesso vaso in cui è contenuta» 4.

È questa una linea di vita ma anche un'indicazione di sviluppo e di crescita delle nostre Chiese soprattutto in riferimento al tema dell'evangelizzazione. La confessione, la proclamazione e l'annuncio della fede appartengono all'essere più profondo della Chiesa; ma occorre cogliere la radicalità del legame che unisce il contenuto della fede confessata e la realtà vissuta e attualizzata nella comunione.

Questo legame, vissuto, è segno inequivocabile di una Chiesa che vive: «È una parola di verità che la Chiesa sa di dover vivere, annunciare e testimoniare nella carità, perché il suo contenuto centrale è tutto e solo carità. Perciò l'apostolo Giovanni può riassumere il comandamento di Dio per la Chiesa in questa duplice e inscindibile esigenza: “Che crediamo nel nome del Figlio suo, Gesù Cristo, e ci amiamo gli uni gli altri” (1Gv 3, 23)» (n. 14).

In questa direzione l'ETC vede una chiara priorità della vita interna della Chiesa, indicando nell'amore il mezzo per rifare il tessuto della comunità ecclesiale: «La rievangelizzazione delle nostre comunità è, in questo senso, una dimensione permanente e prioritaria della vita cristiana nel nostro tempo. Del resto la carità, prima di definire l'agire della Chiesa, ne definisce l'essere profondo» (n. 26).

 

Un amore universale

Parlando della missione universale e della cooperazione fra le Chiese, il documento auspica: «Occorre fare un passo avanti e vivere questa apertura come una dimensione permanente dell'evangelizzazione e della testimonianza della carità, consapevoli che il primo dono di cui siamo debitori ai fratelli è Cristo, pane di vita (...). In questo spirito di autentica cattolicità deve anche crescere la disponibilità alla cooperazione fra le nostre Chiese e le altre Chiese sorelle (...). Veramente cattolica è quella comunità che non si preoccupa solo di dare, ma anche di riconoscere, di accogliere, di valorizzare il patrimonio di ricchezza spirituale e culturale delle altre Chiese, in spirito di comunione» (n. 36).

È stato giustamente notato che «l'interdipendenza sociale, economica, politica, a livello di comunicazione e cultura, è il fatto decisamente emergente nella storia dell'umanità... La sfida è quella di saper coniugare l'attenzione al particolare, l'incarnazione nel territorio, il rispetto delle varie identità razziali, culturali, politiche con l'orizzonte della mondialità» 5.

In questa direzione l'ETC indica veramente una via di maturazione. In fondo si tratta di un richiamo semplice, e tuttavia dalle molteplici implicazioni, del costitutivo dell'essere di ogni comunità ecclesiale nella «Cattolica». La responsabilità di una Chiesa particolare può, a tal riguardo, essere così riassunta: fare in modo che ciò che lo Spirito le dà e ciò che essa proclama, passino nel suo essere e nel suo agire. Questa sollecitudine dovrebbe essere tale da appartenere alla sua preghiera, da determinare la sua vita, da suscitare le sue iniziative.

L'essere e la vita delle nostre Chiese devono essere ripensati in rapporto alla totalità e alla cattolicità, superando lo scandalo della settorialità, che si ripiega sui propri interessi o su un angusto proselitismo dimenticando la totalità dinamica e finale.

Avere il senso della cattolicità non significa tanto vantarsi della rappresentanza di tutti i popoli che la Chiesa contiene, ma vivere nelle nostre comunità con la consapevolezza di agire come parte di un tutto. Questo criterio dell'universalità fa della comunità cristiana una comunità aperta, consapevole di non avere consistenza in se stessa. La comunione non si esaurisce nel quadro strutturale di una comunità.

Ma il discorso sulla cattolicità della Chiesa richiama anche quello ancora più a monte della comunione nella Chiesa stessa. Si tratta del superamento di personalismi ma anche di particolarismi geografici ed etnici paralizzanti in favore di una coscienza ecclesiale nutrita di mondialità. Si tratta dello spostamento del punto centrale dalla persona e dalla Chiesa particolare alla coscienza ecclesiale pura e totale. Si tratta di riflettere sull'unità che precede, ontologicamente, ogni distinzione.

Chi non pensa e non agisce in queste direzioni, lo voglia o no, spezza o almeno immiserisce la Chiesa: l'unità diventa tristemente un pio sentimento evanescente e non un centro ardente di coscienza ecclesiale matura.

 

Da verificare nella vita

Tutto ciò porta a uno sbocco naturale e necessario: l'esigenza di trasferire il pensato sul piano del vissuto, dell'esperienza.

Isacco della Stella, riassumendo per altro una tradizione molto antica, abbozzata già prima da Ambrogio e da molti altri padri, afferma: «Ogni anima fedele è sposa del Verbo di Dio, madre, figlia e sorella di Cristo (...). La stessa cosa è detta universalmente per la Chiesa, specialmente per Maria, singolarmente per ogni anima fedele» 6. In verità la Chiesa, nella sua universalità e oggettiva realtà si alimenta e, in ultima analisi, si concretizza storicamente in una molteplicità di esperienze che sono come il volto, qui ed ora, dell'esperienza della Chiesa come soggetto credente collettivo.

Ogni esperienza ecclesiale autentica diventa un modo d'essere di tutta la Chiesa, una specie di tutto nel frammento, di universo contratto.

Chi scrive è convinto che le felici intuizioni presenti nel documento sono di tale natura, sia per il loro oggetto sia per il modo e il taglio con cui sono state pensate, da necessitare di una specie di laboratorio esistenziale che ne verifichi la validità sul piano dell'esperienza vitale. Occorre accoglierle con fede e verificarle sul piano della vita e inoltre privilegiare quelle modalità di esistenza ecclesiale che, quasi per un istinto evangelico, sono disposte a «fare la verità».

Riportare la Parola, ma anche la norma, all'esperienza: ecco il compito della spiritualità, di una spiritualità che si fa storia. Dalla norma all'esperienza e dall'esperienza alla norma in un movimento che è modificazione verso il meglio del vangelo: ecco il circolo ermeneutico e pratico.

L'uomo spirituale che emerge da queste considerazioni è una figura antropologicamente inedita. Non più e non solo il singolo come trasparenza e portatore di Dio, ma la comunità come il luogo dell'amore di Dio. «Amore che passa come una corrente tra rapporti interpersonali fino a costruire la Chiesa, un corpo, una comunità, una comunione, la cui anima è la stessa vita trinitaria, lo stesso amore che passa tra il Padre e il Figlio nello Spirito» 7.

È questa, in fondo, l'esperienza che la Chiesa oggi desidera fare e, in essa, le associazioni, i movimenti e la varie aggregazioni ecclesiali: una vita che diventa testimonianza del Dio-Trinità. «È la vita della Santissima Trinità che noi dobbiamo procurare di imitare, amandoci tra di noi con la grazia di Dio, come le persone della Santissima Trinità si amano tra loro. Ma è proprio questa vita la più forte testimonianza di Dio al mondo» 8.

 

Antonio Giliberto